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 Home page > Tribuna Libera > La Calabria è ancora un luogo di morti di fame?

La Calabria è ancora un luogo di morti di fame?

L’assurda sentenza d’assoluzione dei 12 imputati nel processo Marlane, la fabbrica di Praia a Mare che avrebbe causato più di cento decessi, è l’ennesimo atto d’ingordigia di una Calabria che cede alle regalìe di pochi ai quali conviene lasciare nel limbo questi territori, popolazioni comprese. Alla stregua di quei 1600 metri di pontile che si corrodono sulla costa lametina, della Pertusola di Crotone, della Liquichimica di Saline Joniche, alcune delle tante promesse d’industrializzazione mai andate in porto o che hanno lasciato ferite indelebili che la Calabria sta ancora pagando, e ora la Marlane con le sue morti e la sentenza con le sue assoluzioni, confermano che questo tipo di politica della sussidiarietà è prassi in Calabria, è legge, è decreto, sono soldi di un’economia fatta in casa, l’economia di una Calabria che ha prosciugato l’ex CASMEZ (Cassa per il Mezzogiorno) progettando opere faraoniche, desuete alla posa della prima pietra (quando è stata posta) in un territorio con tutt’altra vocazione.

L’aspetto che lascia sbigottita l’opinione pubblica all’indomani della sentenza non è l’assoluzione in sé dei 12 inputati, è lo strano caso delle vittime anticipatamente risarcite con indennizzi da parte di chi, poi, è stato assolto. Il Tribunale di Paola ha assolto chi ha risarcito il danno commesso. Questo è successo venerdì 19 dicembre 2014.

Monta la curiosità nel conoscere le motivazioni della sentenza che saranno depositate tra 90 giorni, si analizzerà la questione sotto più aspetti, partendo per esempio dalle perizie dell’accusa che non sarebbero state in grado di provare il nesso di causalità tra materiali lavorati, ambienti operativi della fabbrica e malattie contratte.

Il millantato benessere e le speranze (promesse) di sviluppo industriale in una terra agricola come la Calabria non si sono fermate al secolo scorso, continuano anche in questi giorni, il comune denominatore è sempre la politica, quindi i soldi.

La scesa dal Piemonte del Conte di Val Cervo negli anni ’50, simile a tante cavalcate per conquistare la Calabria, fu incentivata dal lauto finanziamento a fondo perduto concessogli dalle leggi speciali sugli allora “aiuti per lo sviluppo del sud”. L’imprenditore del nord creò lavoro e su quel lavoro camparono intere famiglie di molti centri dell’alto tirreno cosentino. Famiglie povere con operai che per arrotondare le misere paghe lavoravano il sabato per scaricare bidoni contenenti veleni in spiaggia, respiravano aria avvelenata e s’ammalavano per poi morire. Non prima di lasciare numerose testimonianze (anche video) sul caso che la sentenza non avrebbe pesato.

La Marlane, dagli anni ’80, è stata un prezioso serbatoio di voti, ha creato sindaci dagli operai o dai sindacalisti dello stabilimento.

Purtroppo regge il parallelo tra ieri e oggi, tra la pioggia di denaro investita al sud per elevare, quello che prima era un lavoro della terra, ad un lavoro in fabbrica, e gli incentivi che nell’ultimo decennio hanno creato parchi eolici in Calabria, ha molte similitudini con le operazioni imprenditoriali del passato. Ancora terra di conquista, la Calabria. Il tasso di disoccupazione pone la regione al primo posto in Italia, ecco che attecchisce, con il placet della politica, l’obolo di posti di lavoro in cambio di montagna da disboscare.

Alberi albini di metallo con chiome roteanti, prendono il posto di abeti, lecci, querce, per produrre energia pulita dicono. Sarà anche così ma il paesaggio? L’anidride carbonica trasformata in ossigeno dalla vegetazione? I rumori dei rotori che spaventano gli animali e danno fastidio alle genti locali? Nessuno dei 14 sindaci che hanno optato per le pale eoliche in cambio di una manciata di assunzioni, si è posto il problema del paesaggio violentato, di rispettare quell’entità naturale e soprannaturale legata a un luogo che i latini chiamavano Genius Loci. Nessuno di loro, nessuno dei presidenti delle province per territorio appartenenti (CZ, KR e CS), si è chiesto perché nelle Marche, in Lombardia, in Valle d’Aosta, in Friuli Venezia Giulia non c’è neanche una pala, se non qualche impianto di mini-eolico residenziale, quindi non impattante. A fronte di posti di lavoro e contributi si va in deroga agli indirizzi pianificatori adottati negli ultimi anni dagli Enti territoriali che, evidentemente, hanno lavorato a vuoto.

Non si ammalerà nessuno di neoplasie e mai potrà nascere un processo tipo Marlane per l’operazione-eolico, ma gli indennizzi ricevuti e quei pochi posti di lavoro non risaneranno le foreste private delle loro piante e non alzeranno il PIL di Jacurso, Olivadi, Caraffa, Melissa, Strongoli, Tarsia, e tanti altri.

La Calabria è ancora un luogo di “morti di fame”, così ci vede chi viene ad investire in attività del genere, terra ancora da conquistare col beneplacito della politica e dei calabresi con i paraocchi. Lo era negli anni ’50, lo è ancora nel 2014, lo sarà nel futuro, almeno fino a quando tolleranza e rassegnazione caratterizzeranno la mentalità del calabrese medio.

In Calabria s’intitolano piazze agli imprenditori del nord che hanno sfamato, e “ucciso”, la gente del sud. Quella stessa gente che produceva prodotti made in Calabria diventati fiore all’occhiello del tessile italiano. Nel 2004 la Marlane di Praia a Mare chiude, la nuova proprietà Marzotto trasferisce l’attività in Romania ma il termine “Marlane” è ancora presente tra i marchi Marzotto, forse a memoria? E’ una collezione di “qualità accessibile” dicono, quella qualità che un centinaio di persone non potranno mai vestire.

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