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 Home page > Attualità > Scienza e Tecnologia > L’uomo di vetro adora la pubblicità carnivora

L’uomo di vetro adora la pubblicità carnivora

Dal Panopticon alla video sorveglianza, fino ad arrivare all’onniscienza della Rete: la privacy sembra ormai un diritto che abbiamo imparato a svendere, dato spensieratamente  in pasto ad inserzionisti famelici.

La città di vetro

È il sogno arcaico di ogni Governo, la trasposizione moderna del Panopticon benthamiano, l’edificazione di una città di vetro attraverso cui monitorare contemporaneamente ogni attività di ognuno dei suoi cittadini. È il sogno del controllo.

Ideando quella che doveva essere la prigione perfetta, il Panopticon appunto, Bentham professava proprio un’onniscienza invisibile in grado, a sua volta, di vedere e controllare tutto.

Agli albori del terzo millennio possiamo dire di esserci andati piuttosto vicino a questo modello di prigione onnisciente, oggi riprodotto in scala metropolitana, regionale, globale. Ogni angolo delle nostre città, ogni semaforo, vetrina o portone, pare essere impassibilmente adornato da sistemi di sorveglianza “invisibili” che rubano istantanee della nostra vita quotidiana e le registrano archiviandole nell’immenso database di un Grande Fratello ubiquo che tutto vede e tutto sa. Eventi dal drammatico impatto emotivo, poi, come l’11 settembre, hanno contribuito ad aumentare i controlli dei Governi sui propri cittadini in maniera esponenziale, favorendo progetti politico-economici non necessariamente incentrati sull’idea di sicurezza e tacciando come sospetto chiunque tentasse di difendere anche il più minimo brandello della propria intimità.

Il cittadino consumatore

Cittadini come codici a barre, dunque, merce animata di cui è possibile tracciare la provenienza, sorvegliarne gli spostamenti fino a determinarne la destinazione, chissà. Oggi, infatti, una nuova entità, più subdola e seducente, ha superato i Governi in questa loro attività di controllo e conoscenza: la pubblicità, modello aspirazionale di illusoria perfezione, assoluta divinità post-moderna sul cui altare ci si spoglia di tutto e si sacrifica anche il nostro più intimo sentire.

La pubblicità sa tutto di noi. E la più infallibile spia a sevizio di sua Maestà è Internet. Grazie al supporto delle nuove tecnologie, infatti, la pubblicità on-line è oggi in grado di definire “bersagli” precisi e di colpirli con l’accuratezza di un cecchino più che di un creativo. Basti pensare alla pubblicità comportamentale portata avanti da Google: un sistema di inserzioni che in base al comportamento che gli utenti hanno sul Web propone annunci pubblicitari in linea con ogni singolo profilo. Per fare ciò, gli inserzionisti comprano i dati di traffico che dovrebbero essere custoditi dai provider, fornitori di servizi Internet in grado di tracciare il movimento degli utenti che solcano la rete e, pertanto, di stabilirne i gusti, le abitudini e gli interessi. Sono diverse le aziende che acquisiscono e diffondono in modo sordido e illegale i dati sensibili e i comportamenti degli utenti in rete, in modo da delineare profili appetibili per gli inserzionisti: è il caso di Phorm, sistema di British Telecom, o di Facebook, ad esempio, entrambe accusate di aver violato la privacy degli utenti a scopi commerciali.

È sulla base di simili considerazioni che pochi giorni fa si è levata perfino la voce del padre del World Wide Web, Tim Berners-Lee, il quale in un intervento alla House of Commons inglese ha definito così proprio i sistemi di profilazione della pubblicità comportamentale: “è come se si mettesse una web-cam nella stanza di qualcuno”. Il pioniere internettiano, inoltre, depreca lo “spionaggio in rete”, poiché mette “a rischio l’integrità di Internet in quanto mezzo di comunicazione: monitorando clic e dati del genere si possono trovare molte più informazioni sulle persone di quelle che troveremmo ascoltando le loro conversazioni”.

A contrastare l’avanzata degli inserzionisti armati di cookies e banner vigono già in ogni Paese norme in tutela della privacy e si abbozzano tentativi di autoregolamentazione da parte degli organismi di settore internazionali. Ma l’anello debole della catena sembra essere proprio l’utente: ancor più pericolosamente di quanto non accada già in strada con i dispositivi di sorveglianza, infatti, anche on-line il cittadino della rete resta supino alle minacce che insidiano la propria privacy.


Spiati e contenti (?) 

Un recente studio, ad esempio, rivelerebbe che negli Stati Uniti la maggioranza degli utenti sa di essere spiata nei propri comportamenti e nelle proprie relazioni on-line, e gradisce l’essere oggetto di campagne pubblicitarie mirate. Il dato è fornito dalla Truste, organizzazione a tutela della privacy che tra i propri partner conta organizzazioni e gruppi che operano proprio nel campo della pubblicità on-line, dell’IT e della net-economy.

Dall’altro lato della barricata, però, vi sono personalità altrettanto autorevoli, come quella di Berners-Lee, convinte dell’inconsapevolezza dell’utente e allarmate dal fatto che “usiamo Internet senza pensare che terzi possano sapere su cosa abbiamo cliccato”. Anche la letteratura internettiana inizia a mettere in guardia gli utenti circa il potenziale di penetrazione nella nostra vita privata da parte dei provider, veri e propri nastri trasportatori di conversazioni, segreti, relazioni e omissioni, intesi come la più grave minaccia potenziale mai mossa alla privacy della nostra società. 

Per tutelare l’utente, che consapevole o meno rimane comprovatamene inerme dinanzi al proprio monitoraggio, bisogna quindi affidarsi al fatto che i provider non si lascino tentare dalle lusinghe monetarie dei pubblicitari e si limitino al proprio ruolo di “gestori del traffico”, trovando il giusto equilibrio tra le necessità di osservazione insite nel proprio ruolo e il mero desiderio di intrusione prezzolata. Ma non basta. È necessario, infatti, che la legge si adegui ai parametri in continua evoluzione di Internet, varando strumenti che non si limitino solo alla blindatura del diritto d’autore, ma che tutelino anche l’utente dall’invasività pubblicitaria.

 

L’uomo di vetro

Internet ha segnato il passaggio ad una nuova frontiera dell’intrusione. Dalle città di vetro attraverso cui monitorare ogni azioni dell’uomo, si è passati all’uomo di vetro attraverso cui è possibile scrutare sentimenti, stati d’animo, debolezze. La pubblicità on-line ha fiutato la preda e ha spalancato le porte a quella che già nel gergo (target, killer application) porta in sé il sapore di una caccia, amorevole e premurosa, che grazie al mobile ti segue ovunque fino ad inghiottirti nella virtualità interattiva del 2.0.

Commenti all'articolo

  • Di Caside - (---.---.---.146) 17 marzo 2009 14:03

    La tecnologia è a nostra macchina, prolungamento delle nostre capacità o meglio potenziamento....

    che dire dell’uomo di vetro? Sono assolutamente consapevole della precarietà della sua privacy, ma non credo che la pubblicità ne sia la causa...la pubblicità è sempre stata manifesta, il mercato per quanto vogliamo non crederlo, è fondamentale per la nostra soppravvivenza: l’uomo e la sua esistenza si basa sempre e inequivocabilemente sullo scambio e le su e leggi che lo determinano.
    Non credo che il problema del nostro tracciamento comportamentale sia l’utilizzo che ne fa la pubblicità, il mercato, ma bensì il potere in senso più ampio possibile. Questa sete di potere che le moderne tecnologie, se non controllate, possono condurre alla privazione della libertà!!! Una telecamera nascosta in un angolo di una città mi ricorda molto di più Owen e il suo famoso libro "1984" dove il grandelle fratello aveva telecamere nei parchi ecc...
    Non è la pubblicità che uccide la nostra libertà, ripeto è dichiaratamente persuasiva, e le sue tecniche sono ormai incosciamente assimilate/conosciute da molto pubblico/consumatore.
    Chi uccede la nostra libertà sono la sete di controllo delle organizzazioni siano esse politiche che economiche!! Si continua ad imporre un sistema controllo/sanzione per rendere responsabile un popolo privandolo sempre di più della possibilità della conoscenza e informazione unica via per renderlo civile e responsabile.

    da 10nni navigo nel web, ricerco informazioni...e vi assicuro che le ricerche grazie a gooole ora sono più semplici e meno dispersive. Spesso Goolge a penalizzato negli anni aziende che utilizzavano tecniche di posizionamento scorretto...Inoltre Internet non ha fatto altro che dare strumenti apparentemente più precisi...credo che il margine di errore nella valutazione del comportamento dell’utente (web) è sempre lo stesso che incorre nella valutazione del consumatore (media tradizionali) se l’interpretazione dei dati è superficiale.
    "un utente contento di essere tracciato"? altrimenti potrebbe annegare nella montagna di informazioni con cui viene a contatto perdendo un sacco di energia...l’importante che all’utente sia sempre data la possibilità di scelta. Il problema, a mio avviso è etico e abbraccia una ben più ampia sfera molto al di là di una pubblicità, un banner internet.

    Scusate il commento prolisso...ma credo nn sia giusto continuare a spostare il nocciolo fondamentale della libertà dell’utente alla semplice osservazione dei nostri comportamenti di navigazione...ben più grave credo sia il pervadere delle possibilità di controllo nella nostra vita quotidiana: al lavoro (con un diffondersi del modello "catena di montaggio" atto ad aumentare il controllo e non la produttività) oppure i numerosi divieti divaganti nelle strade...e dove non si possono introdurre divieti si introducono i mostri.
    La paura e il pericolo come fonte di controllo: l’arma più antica del mondo per conquistare il potere e tenerlo.
    Perchè avere ancora paura di uno strumento di comunicazione in quanto tale? e invece non temere il controllo su tale strumento?
    ...era iniziato così bene
    Ciao a tutti

    • Di Andrea Fama (---.---.---.131) 17 marzo 2009 14:44

      Allora, da dove cominciare ...

      Procediamo con ordine: neanch’io credo che la pubblicità sia la causa della mancata privacy dell’uomo, dico solo che quella on-line (conservando ancra moltissimo margine di manovra) è riuscita ad andare ben oltre le telecamere che ci seguono per strada e che ricordano tanto ORWELL, in quanto l’advertising digitale è in grado di seguirci anche "dentro lo studio del medico" nel caso ci rivolgessimo a uno dei molti, e molto consultati, siti di medicina on-line per saperne di più su una nostra patologia; è in grado di sapere se andiamo a caccia di escort e se preferiamo le bionde o le brune, magari; è in grado di sapere se abbiamo problemi finanziari nel caso in cui consultassimo di frequente siti dedicati a mutui, prestiti ecc. Certo, rimane ancora un livello di approssimazione, ma, ripeto, il potenziale tecnologico di provider e compagnia bella è ancora molto, molto ampio.

      Nessuno mette in dubbio la naturalità del mercato, ma il controllo del "potere" di cui parli avviene sì attraverso l’inseminazione della paura, ma anche attraverso la creazione di bisogni ed aspirazioni che legano l’uomo a determinati modelli facili da gestire e guidare per un governo o un potere forte che sia. La "sete di controllo delle organizzazioni politiche ed economiche" non si realizza solo con decreti legge e acquisizioni aziendali, ma anche attraverso la creazione di modelli comportamentali/aspirazionali unificati, in modo da abbattere la soggettività di massa ed avere così a che fare con un unico interlocutore/nazione. In pratica, privare un popolo della consocenza è molto più facile se prima si è indottrinato questo popolo insegnadogli a voler aspirare ad essere Belen Rodriguez piuttosto che Rita Levi Montalcini. E questa funzione di indottrinamento è prorio affidata alla pubblicità, tra le altre cose.

      Ma qui non volevo discutere della seduzione pubblicitaria, bensì delle possibilità tecniche che i pubblicitari hanno per conoscere troppi aspetti della nostra vita privata.

      Per finire, nessuno punta il dito contro Google (anche se la sua etica è tutta da discutere - vedi ciò che fa in Cina). E’ evidente che le ricerche sono più facili e le informazioni più accesibili, ma ciò non autorizza i provider ad impicciarsi dei fatti miei e a svenderli agli inserzionisti: se qualcuno deve cavare anche solo un euro dai miei comportamenti, allora quel qualcuno sono io, e in questo caso sarei disponibile a transare direttamente con i pubblicitari per stabilire il mio cache.

      Nessuno ha "paura di uno strumento di comunicazione in quanto tale", ed il dito è stato puntato proprio su chi dietro le quinte controlla questo strumento.

      Grazie e scuste, è bello lungo pure il mio di post ...


  • Di Caside (---.---.---.146) 18 marzo 2009 18:22

    scusa per l’errore...distrazione
    un tempo era la comunità locale a seguirci all’interno dello "studio medico" . Non ho mai voluto negare le possibilità offerte alla pubblicità dalle tecnologie di rete. Ma quante persone utilizzano nickname diversi poco riconducibili alla loro identità? Riconosco la rintracciabilità del comportamento, ma non era ciò che si diceva della televisione. E in parte è successo, il potere dei mezzi di comunicazione nn è in discussione, quello che voglio mettere in discussione è l’approccio ad uno strumento di comunicazione diverso con la stessa metodologia nonstante abbia metodi di fruizione diversi. Qual’è il problema se l’uomo di vetro sa di essere osservato? come dici diventa "l’uomo di vetro che adora la pubblicità carnivora"

    ...esattamente come tu vorresti un euro per ogni tuo click, io vorrei un euro per ogni sguardo che una vetrina mi ruba mentre passeggio nel centro storico di una città...

    nel post parlavo di sete di poteri delle organizazzioni mi riferivo a poteri e modelli di comportamento ancora molto lontani dal rispetto della privacy...

    Grazie ed è stato bello questa breve discussione
    Caside

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