L’intelligenza artificiale e noi: scrivere non è più cosa umana?
Entusiasti o scettici, tutti ne parlano. Chat GPT e gli altri strumenti di elaborazione che trasformano in pochi secondi le domande in risposte e le traducono in testi: una rivoluzione silenziosa che coinvolge tutti, chi produce contenuti e chi ne fruisce. Punto d’arrivo o svuotamento di senso senza ritorno? Non si tratta solo dell'allarme per alcune professioni intellettuali che rischiano forse di scomparire, i dubbi vanno molto oltre.
Non leggiamola soltanto come una questione etica, o di deontologia professionale, non riduciamo il complesso delle domande a una generica alternativa tipo "tecnofilo o tecnofobo, favorevole o contrario?". Gli interrogativi sul presente e il futuro dell'intelligenza artificiale implicano molto di più, coinvolgono la vita stessa nella sua specificità.
La tecnologia si è evoluta - ed evidentemente continuerà a procedere - in direzioni ben diverse da quelle prospettate dai vari filoni della fantascienza, tra voli spaziali, viaggi nel tempo e androidi che somigliano a esseri umani dalle capacità fisiche e mentali infinitamente superiori. Niente, o quasi, di tutto questo. Il progresso digitale ci sta portando a un punto di rottura con il passato sensibilmente differente da quanto immaginato parecchi decenni fa. La nuova rivoluzione avanza nel senso opposto rispetto a quella industriale alla fine del XIX secolo. Le macchine, i mostri che i luddisti - gli operai tessili inglesi - volevano distruggere con un moto istintivo e primordiale, erano il nemico delle loro mani, del loro saper fare. Ora è al contrario in discussione il saper pensare e rielaborare, il principio dell'“osare servirsi della propria intelligenza”, come avrebbe detto Kant. Dall’invenzione dei primi macchinari industriali fino quasi a oggi, nell'avanzamento dell'automazione, informatizzazione e archiviazione digitale una cosa non era mai stata messa in discussione, e cioè il processo creativo, la sua originalità. Nel passato, le cosiddette "professioni liberali" erano riservate ai fortunati che non avevano l’obbligo di usare le mani e potevano quindi coltivare le facoltà della mente. A differenza di qualsiasi altro strumento o supporto, l’intelligenza artificiale si pone, non sappiamo ancora in quale misura, in concorrenza con il pensiero, individuale e collettivo, e con tutte le attività che lo impiegano in modo predominante.
Le potenzialità di uno strumento come Chat GPT (Generative Pretrained Transformer) - lanciato sul mercato da OpenAI e già forte di centinaia di migliaia di utenti - sono oggetto di commenti tecnici o filosofici, analisi e pronostici. Ci si chiede fin dove potrà arrivare, quanto impatterà non soltanto sul mondo del lavoro, ma anche sulla creatività umana in sensoampio, non necessariamente connessa all’uso della scrittura.
Come funziona dunque, a che punto è la sua evoluzione e quanto l’intelligenza artificiale è applicabile oggi alle esigenze quotidiane, per esempio nel caso del giornalismo chiamato “di servizio” che più che informare spiega come una guida o un manuale? Ho fatto una prova pratica, molto semplice. Ho chiesto al programma disponibile in rete, gratuito e alla portata di tutti, una definizione del rapporto tra uomo e tecnologia:
“L’uomo e la tecnologia hanno una relazione stretta e interdipendente. La tecnologia è stata creata dall’uomo per risolvere i problemi e migliorare la vita quotidiana. Al contempo, l’utilizzo della tecnologia ha un impatto significativo sul modo in cui l’uomo vive, lavora e comunica. La tecnologia continua a evolversi rapidamente e l’uomo deve adattarsi continuamente a trarne il massimo vantaggio”.
Niente di eccezionale, però ineccepibile. Ho continuato sottoponendo ad AI un tema più puntuale, relativo a se stessa: "Scrivi un articolo sull'intelligenza artificiale”. Questa è stata la risposta della chat, battuta sul monitor nel giro di pochi minuti, con un tempo di reazione un po’ più rapido rispetto a un redattore che aprisse un foglio di Word e cominciasse a buttare giù qualche idea sullo stesso soggetto, dopo essersi mediamente documentato:
Titolo: Intelligenza artificiale, il futuro è ora
Svolgimento: “L'intelligenza artificiale, o AI, è una delle tecnologie più promettenti e avanzate del XXI secolo. Con la sua capacità di apprendere e di adattarsi continuamente, l'AI sta rivoluzionando molti settori, dalla medicina alla finanza, dal marketing alla produzione. L'AI utilizza algoritmi sofisticati per analizzare i dati e prendere decisioni automatizzate, che possono essere molto più accurate e veloci rispetto a quelle prese da un essere umano. Ad esempio, i sistemi di AI possono essere utilizzati per diagnosticare malattie, identificare i trend del mercato e gestire i processi aziendali in modo più efficiente. Tuttavia, nonostante i suoi vantaggi, l'AI solleva anche preoccupazioni importanti riguardo alla privacy e alla sicurezza dei dati. Inoltre, c'è il rischio che l'automatizzazione porti a una riduzione dei posti di lavoro, soprattutto in settori come la produzione e l'amministrazione. Per questo motivo, è importante che l'AI sia sviluppata e utilizzata in modo responsabile e sostenibile. Ciò significa garantire che i sistemi siano trasparenti e che le decisioni prese dall'AI siano comprensibili e controllabili dall'uomo. Inoltre, è necessario investire in nuove competenze e opportunità di formazione per i lavoratori, in modo da prepararli alle sfide e alle opportunità offerte dalla tecnologia. In definitiva, l'AI rappresenta una grande opportunità per l'umanità, ma richiede anche una attenzione e un impegno costante per garantirne un utilizzo responsabile e sostenibile. Con la sua capacità di migliorare la vita quotidiana e di aiutare a risolvere i problemi globali, l'AI è destinata a diventare una delle tecnologie più importanti e influenti del nostro tempo”.
Una ventina di righe ne sono uscite, tanto per cominciare, ma a insistere con altre domande avrebbe potuto diventare un articolo vero e proprio, o magari una tesi universitaria, un breve saggio. Preciso e banale, pratico e disumano. Ai redattori rimarrà invece incollata una porzione del lavoro che AI non farà mai, per esempio scrivere didascalie, passare i testi (cucinarli, come si dice in gergo), magari aggiungere le note e precisare qualche concetto. Il collaboratore virtuale è a costo zero, onnisciente e veloce.
Da dove vengono però tutte queste informazioni, sintetiche e asettiche, prive di dubbi o pathos, ma corrette in italiano, poco accattivanti eppure accettabili, niente a che vedere con gli orrori che uscivano ogni tanto, per esempio, da google translator? Ecco, parole e concetti vengono da molto, molto lontano, niente è veramente inventato dalla macchina che non sarebbe in grado di elaborare un discorso, un ragionamento, un testo, se non avesse a disposizione i dati. Lì ha, infatti: tutto lo scibile umano, le produzioni, il sapere digitalizzato, tutti i testi del mondo sono il patrimonio delle AI già esistenti e di quante saranno ancora inventate e perfezionate. Non si è ripetuto più volte, del resto, che tutto è già stato detto e scritto e non possiamo ormai che copiare il passato? Bisogna soltanto cercare e rimestare, e una macchina è fatta proprio per questo. Non sarà mai capace di scrivere “Guerra e pace”, potrà tuttavia all’occorrenza citarne qualche frase, se dovesse servire. Il mercato non chiede niente più di così, perché il testo è un oggetto di consumo, un prodotto come un altro. Per chi svolge un lavoro intellettuale senza essere un genio, lo scenario è più devastante di quello che poteva profilarsi di fronte alla velocità e alla precisione dei telai meccanici dell’800. Letteralmente ora c’è qualcuno che “pensa in sostituzione”, e pare lo farà sempre meglio. O almeno, funzionalmente al risultato da ottenere. Confrontato a un articolo, a un atto giudiziario, a una lezione o a una tesi redatti con AI, l’ormai vecchio gioco del copia e incolla scoperto grazie a Internet diventa un’attività altamente creativa, perché implica se non altro lo sforzo di costruire un palinsesto, leggere, accorpare e dare un senso.
Chi è scettico o inquieto rispetto a questo nuovo “oltre” non per questo può essere etichettato come luddista del XXI secolo. No, perché l'argomento è sensibile, la riflessione s’impone e non si tratta di un accanimento contro il futuro e per la difesa dello status quo della realtà.
Se ancora nel mondo esiste qualche attività umana che non rientra e non potrà rientrare a breve tra quante possono essere svolte dai supporti digitali, la dobbiamo cercare non più nell’universo del logos, bensì in quello della manualità che si prende così una lunga rivincita dall'eterno complesso di inferiorità. L’artigiano, l’idraulico, persino l’operaio sono adesso meno facilmente sostituibili di un redattore o di un saggista medio, diciamo non straordinario. Non è la vecchia storia di sempre, "con la cultura non si mangia, a cosa serve studiare, il lavoro non c'è"; è piuttosto un vero e proprio capovolgimento delle parti, del valore delle professionalità.
L’intelligenza artificiale che scrive in autonomia è l’ultima tappa di un cammino non soltanto tecnologico, ma anche culturale ed economico. È il limite estremo di un progressivo svilimento del personalizzato e della forma con cui viene comunicato. La sostituzione del pensiero con la macchina, il nuovo linguaggio comunicativo che implica, sono consequenziali alla riduzione di ogni produzione alla categoria dell’utile, del monetariamente vantaggioso.
Osservi a bocca aperta il tuo articolo che si scrive da solo riga dopo riga e ti sembra, a guardare, che l’umanità abbia compiuto un prodigioso salto nel futuro, che non abbia più limiti di potenza. La domanda successiva è: “E poi?”. Per la vita della collettività, per ciascuno singolarmente, quale sarà il vero guadagno materiale, e come si andrà a impiegare - in che cosa di meglio - tutto il tempo risparmiato dalla fatica di ricercare, elaborare e scrivere?
In questo salto nel futuro la civiltà tecnologica, superavanzata, si riscopre un giorno primitiva di fronte a un piccolo virus cinese o a un terremoto, i fenomeni ricorrenti che riportano indietro, all’impotenza di sempre di fronte alla mortalità. Siamo davvero così sicuri di investire soldi ed energie nella direzione giusta, o è stato scelto soltanto il percorso più facile e remunerativo? Forse il piano delle priorità e degli investimenti andrebbe desisamente rivisto.
Eleonora Poli
Foto di Alexandra_Koch da Pixabay
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