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L’epoca berlusconiana è finita un anno fa

Avanzo l’ipotesi, forse azzardata, che l’epoca berlusconiana sia già sostanzialmente finita da almeno un anno, senza che nessuno se ne sia accorto; e indipendentemente dal fatto che quest’uomo resti o meno a capo del governo o, nuovamente, dell’opposizione ad una scomposta ammucchiata di burattini avallata dalla “più alta carica” dello Stato (non certo però quella che ha il reale potere in mano, non certo quella che detta la linea di condotta, forsennata e caotica, alla suddetta ammucchiata). Non essersi accorti che quest’epoca è finita, sempre se la mia ipotesi è azzeccata, è dovuto semplicemente al fatto che in questo paese la politica – svolta fa oscuri ambienti truffaldini e reazionari, seguendo interessi propri ma dipendenti dal servizio prestato agli Stati Uniti nella nuova lotta multipolare – è nascosta da polemiche solo personali, da moralismi ipocriti. E, in definitiva, tutto si concentra intorno ad un uomo (Berlusconi appunto): o pro o contro di lui.

Questo per il “pubblico” ovviamente, per la “ggente” che vota “democraticamente”; perché chi ordisce continui ribaltoni, tradimenti, tranelli, doppi giochi, ecc. sa bene che quell’uomo è l’“immagine vuota” del potere (un po’ come in Kagemusha, film di Kurosawa, lo era l’immagine del condottiero, ormai morto).
 
Qualcuno potrebbe a questo punto pensare che la fine dell’epoca in questione possa situarsi nel giorno in cui il modellino del Duomo milanese fu scagliato in faccia al personaggio in questione. Ancora un’interpretazione puramente personalistica, di tipo psicologico, relativa all’eventuale intimorimento di Berlusconi. Io parto da un altro punto di vista, che mette la politica e gli interessi da essa serviti al primo posto. Il cavaliere è stato il “baluardo” (in pratica l’unico trovato all’epoca in cui egli entrò in politica) dietro cui si trincerarono i gruppi (economici, con nuovi rappresentanti nella sfera politica rabberciati alla bell’e meglio) sopravvissuti a “mani pulite”, con successivo smembramento dell’industria “pubblica”. Berlusconi è la soggettivazione, la personificazione, della resistenza (non c’entra nulla la Resistenza, spero si sia capito) di tali gruppi all’assalto della Confindustria di allora (non diversa dall’attuale), in “alleanza” (servitù) con ambienti statunitensi, allora convinti della fine del bipolarismo in direzione di un nuovo totale predominio monocentrico. Gli assalitori erano personaggi alla Ciampi, Amato, Prodi, Draghi, ecc., tutti o quasi collocati “a sinistra” (una sinistra del tutto impropria e che usurpò, grazie agli ex del Pci, questa finta collocazione, come usurpò la qualifica di neoantifascisti che si opponevano all’inesistente fascismo berlusconiano).
 
Da allora, l’Italia ha vissuto una continua e devastante “guerra per bande” (un importante uomo d’affari, etichettato “a sinistra”, ha detto: “come nella Chicago anni ‘20”). Per mettere termine a quest’ultima – alimentata dalla Confindustria (ai cui vertici ci sono gli uomini del metalmeccanico, dei settori della passata fase dell’industrializzazione, reazionari e interessati al predomino statunitense) e dalla finanza emersa dalla svendita ai privati delle grandi banche dell’IRI – sarebbe necessario non certo il vecchio fascismo, fenomeno tramontato come l’antifascismo, come il comunismo, ecc., ma certamente un gruppo politico assai duro e autoritario, che dovrebbe controllare gli apparati di Stato, in particolare i “corpi speciali in armi”, o altrimenti crearsi delle “milizie” proprie e determinatissime a mettere fine alle “bande” che “scorazzano” per l’Italia.
 
Berlusconi non aveva dietro di sé gruppi politici siffatti. Con quello che aveva, ha concluso importanti affari all’estero per i gruppi dei resistenti di cui sopra detto (in gran parte asserragliati in Eni, Finmeccanica, Enel, e pochi altri); dietro a questi vi sono stati anche insiemi abbastanza numerosi di piccola e media imprenditorialità. Il tutto però sempre in modo improvvisato e senza capacità di costruire un vero blocco sociale che richiede ben altro. Non solo; ma queste mosse, pur importanti, non sono mai state pubblicizzate, anzi quasi sempre nascoste nel tentativo, del resto vano, di non irritare gli Usa e le nostre “serve” Confindustria e grandi banche, cui si è consegnata oggi anche la guida dell’ABI, affidata ad uno (Monte dei Pachi di Siena) qualificato “a sinistra”, quella sinistra falsa, e luridamente “antifascista”, di cui già detto. Siamo in una situazione, quindi, in cui si è sentito Scaroni (Eni) a Rimini (meeting di CL) fare un discorso alla Marchionne (cui del resto si è collegata anche la Confindustria); quei “resistenti”, in definitiva, concludono affari all’estero, ma sempre più cercando di non scontrarsi con americani e industrial-finanziari italiani ad essi asserviti.
 
Per di più, essi non sanno creare alcun reale blocco con raggruppamenti sociali importanti; importanti non per motivazioni puramente economiche, non per la grossa balla della competitività nel “mercato globale” – quando invece occorre il pugno chiuso di uno Stato nazionale forte per competere! – quanto invece dal punto di vista della creazione di un blocco di interessi che sia insieme un vasto insieme di segmenti e strati della società italiana uniti da una politica tesa all’autonomia del paese. Non certo per “ideali astratti” – come quelli dei veri, molto più spesso ipocriti, europeisti – bensì per la concreta esistenza di una società meno sbriciolata di adesso, meno attraversata da questa devastante guerra per bande, l’unica che possa veramente, fra le altre negatività, mettere in discussione l’unità del paese.
 
Giunto ad un punto morto, attaccato da tutte le parti, impedito a rappresentare robustamente i deboli e incerti gruppi imprenditoriali della “resistenza”, Berlusconi si recò improvvisamente in Russia. Mi sembra fosse nel luglio 2009; comunque si trattò di quell’incontro con Putin, nel quale i due si misero pure in videoconferenza con Erdogan (Turchia). Pensai subito – lo scrissero comunque anche alcuni giornali, pochi (forse solo La Stampa) – che si fosse colà recato in cerca di aiuto, dato che non controlla minimamente i “servizi” italiani, nel mentre ha per nemica acerrima la magistratura. Credo che ci sia stato comunque un nulla di fatto. La Russia non è in grado adesso di sbilanciarsi troppo. Due-tre giorni fa Putin ha dichiarato che segue con interesse (e quindi sicuramente con preoccupazione) le attuali convulsioni in Italia; ha però tenuto a parlare di “amico Silvio”, di “amico Prodi”, di interesse della Russia a mettere in cantiere con l’Italia ulteriori iniziative, senza sbilanciarsi sul tipo di Governo con cui preferisce trattare. Se non è stupido (e Putin, cioè il gruppo dirigente russo, non lo è), sa bene che non tutti i governi saranno egualmente interessati a dare appoggio ai gruppi imprenditoriali “resistenti” (preciso: resistenti molto deboli e incerti) e non invece a Confindustria e grandi banche “alleate-serve” (per loro interessi) degli Stati Uniti.
 
Per concludere (provvisoriamente), in quel giorno, in cui Berlusconi ha probabilmente non ottenuto l’appoggio russo per supplire alla sua mancanza di controllo dei “corpi speciali” italiani, è iniziata la fine della sua “epoca”, perché si è indebolita definitivamente la sua funzione, che già aveva dimostrato carenze fin dalla nascita nel 1993-94; ma a causa di concomitanti carenze dei gruppi “resistenti” (il passaggio dell’Eni da Mincato a Scaroni, le perplessità che certe dichiarazioni di quest’ultimo continuano a sollevare ogni volta che parla, alcune incertezze relative alla Finmeccanica, ecc. sono la spia di tale precaria situazione). Questa l’ipotesi, che si vedrà quale grado di attendibilità abbia nei prossimi mesi (non credo anni). Anche sulle sue conseguenze, se fosse esatta, si potrebbero formulare ipotesi. Adesso, però mi limito a quanto sopra sostenuto. Seguiamo sempre gli avvenimenti con attenzione.

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