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L’agonia di Floyd: un’altra vittima della discriminazione razziale americana

“I can’t breathe”, non riesco a respirare, sono state le ultime drammatiche parole di George Floyd, l’uomo afroamericano vittima della discriminazione razziale americana che lo scorso 25 maggio ha perso la vita a Minneapolis, negli Stati Uniti, soffocato dalla pressione esercitata sul collo dal ginocchio di un agente di polizia.

L'omicidio, frutto della discriminazione razziale americana, è accaduto mentre la pandemia di coronavirus colpisce il mondo intero e le vittime da essa causate perdono la vita per l’impossibilità di respirare. Ma mentre, da una parte, il Covid-19 ci pone tutti sullo stesso piano, rendendoci vulnerabili e in pericolo a prescindere dalla collocazione geografica, dalla posizione sociale e da ogni altra differenza, dall’altra il colore della pelle continua a falciare vittime della discriminazione razziale americana.

 

Le manifestazioni, gli scontri e i disordini contro la discriminazione razziale americana proseguono a Minneapolis da giorni e stanno diffondendosi anche in altre città degli States, come Memphis e Los Angeles.

Il video dell’omicidio in cui Floyd ripete ‘I can’t breathe’ è diventato virale sui social network scatenando un’ondata di indignazione, in patria e all’estero.

Gli hashtag #Blacklivematters #SaymynameGorgeFloyd sono improvvisamente diventati trending in numerosi paesi del mondo, Italia compresa, ed è partita una campagna spontanea di attori, cantanti, personaggi pubblici e sportivi per chiedere giustizia e denunciare la discriminazione razziale americana. Da Naomi Campbell a Madonna, a Lebron James e Justin Bieber, tante celebrities stanno rilanciando il video degli ultimi istanti di vita di Floyd, in cui si vede l’uomo a terra e un poliziotto gli preme con violenza per diversi minuti il ginocchio sul collo.

Il caso di George Floyd - 46 anni, due figli, descritto come un ‘gigante gentile’ dai suoi amici e colleghi - ha riportato in luce il problema della discriminazione razziale americana. È un problema che emerge ciclicamente e che non riguarda solo le modalità d’intervento della polizia. Altrettanto permanente è la tendenza di tali episodi a portare a scoppi di violenza diffusa, come accaduto a Minneapolis. In queste violenze, la discriminazione razziale americana sembra tuttavia agire solo da innesco per un combustibile rappresentato da tensioni sociali ed economiche, oggi esacerbate dall’effetto COVID-19.”

Sui social sono iniziate a circolare foto manipolate in cui il presidente Donald Trump e Derek Chauvin, l’ex agente 44enne accusato dell’omicidio di George Floyd, si trovano insieme. Circostanze smentite, ma il dibattito tra detrattori e sostenitori del presidente alimenta tensioni, incertezza e la spirale di fake news che non mitigano la discriminazione razziale americana.

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