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Santa Sofia sta per tornare moschea

Il Consiglio di Stato turco ha annullato il decreto che nel 1934 trasformò in museo quella che era stata per mille anni una basilica cristiana, riconvertita in luogo di culto islamico dopo la caduta di Costantinopoli.

Nel pomeriggio del 10 luglio u.s., pochi minuti dopo l’annuncio del decimo dipartimento del consiglio di stato, il presidente della repubblica Recep Tayyip Erdoğan ha pubblicato il decreto secondo cui il museo di Aya Sofya, o Santa Sofia, a partire dal 24 luglio riaprirà alle funzioni religiose come moschea.

Si tratta di una decisione storica. Dopo che nel 1453 il sultano Mehmet il conquistatore aveva convertito l’antica basilica in moschea, nel 1935 il presidente Mustafa Kemal Atatürk l’aveva trasformata in museo.

Perché adesso?

Eppure appena un anno fa, prima delle elezioni amministrative, per zittire lo slogan “apriamo Santa Sofia” Erdoğan si era rivolto alla popolazione dicendo: “Non cedete alle provocazioni, prima riempite la moschea di Sultanahmet, che è lì di fronte”. Qualche giorno dopo, il 18 marzo 2019, il presidente era stato ancora più esplicito in un intervento televisivo:

“Ma cosa ne ricaviamo? Non dimentichiamo che in questo momento abbiamo centinaia di moschee in molti paesi del mondo.”

Cosa è successo in questo breve tempo per convincere il presidente a compiere un passo che ha scatenato reazioni in tutto il mondo? Cos’è cambiato perché cedesse al gioco? Possiamo individuare tre grandi cambiamenti:

Il Partito giustizia e sviluppo (Akp) di Erdoğan, nonostante il sostegno del Movimento nazionalista (Mhp), ha subìto una sonora sconfitta alle amministrative del 31 marzo e soprattutto alla ripetizione delle comunali di Istanbul il 23 giugno. Dopo anni, l’opposizione è riuscita per la prima volta a raggiungere le masse. E l’Akp ha perso tutti i vantaggi di amministrare le due città più importanti del paese.

L’epidemia di coronavirus ha peggiorato la già fragile situazione economica. La recessione in settori come il turismo e i trasporti ha ridotto le entrate di valuta estera.

Due partiti fondati da ex esponenti dall’Akp si sono aggiunti allo scacchiere politico, influenzando l’elettorato del partito nazionalista Mhp.

Questi tre sviluppi hanno intaccato il sostegno ai partiti di governo Akp e Mhp. La mossa di Santa Sofia è un appello all’elettorato per restare.

Reazioni dal mondo

Ankara non prende molto sul serio le reazioni giunte da Atene.

L’Unione non può rompere le relazioni con la Turchia perché negli ultimi dieci anni i rapporti Ankara-Bruxelles si reggono sulla formula “Non sarò io a dirti di no”.

La reazione giunta dagli Stati Uniti è seria. Perché in periodo elettorale Donald Trump è stato costretto ad ascoltare le lobby ostili alla Turchia, molto influenti al congresso (compresa la lobby greca).

Il problema più grave è la reazione della Russia. Ankara e Mosca hanno una collaborazione problematica in Siria e sono avversarie in Libia, mentre l’economia turca ha bisogno dei turisti russi. Erdoğan, che è in costante contatto con Vladimir Putin, sembra aver deciso di correre questo rischio.

La promessa di aprire Santa Sofia al culto islamico è stata un mezzo di propaganda importante di ogni partito di destra in Turchia a ogni elezione. Ormai Santa Sofia non è più una promessa ma una realtà. E questo solo Erdoğan e il suo partito possono rivendicarlo. L’Mhp può trarne beneficio solo in quanto alleato di governo.

Foto di Loadinator da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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