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L’Egitto di oggi è più ricco di cento anni fa. E gli egiziani più poveri

Sotto Mubarak il PIL egiziano ha registrato una crescita media del 5% annuo, ma il reddito pro capite della popolazione ha seguito una tendenza opposta. Colpa dell’esplosione demografica e delle scarse politiche di sostegno dell’ex presidente. Risultato? Gli egiziani sono più poveri oggi che nel 1911.

1. È opinione comune che il mero scorrere lineare del tempo, pur tra alti e bassi, comporti necessariamente il progresso di una nazione. In altre parole, siamo convinti che a lungo andare la crescita di un Paese si traduca sia pur in minima parte in un miglioramento delle condizioni di vita della sua gente.

Al contrario, non sempre alla ricchezza di uno Stato si accompagna a quella del suo popolo, e al riguardo il caso dell'Egitto è emblematico.

La folla oceanica di Piazza Tahrir, esasperata dal senso di disagio per una situazione di vita non più sostenibile, è la punta dell'iceberg della precarietà socioeconomica che il Paese dei faraoni è costretto ad affrontare da decenni. Perché se da un lato l'Egitto di oggi è infinitamente più ricco rispetto ad un secolo fa, dall'altro gli egiziani di oggi sono più poveri di quelli di cento anni fa.

2. Esaminando i dati del Fondo monetario internazionale, si scopre che l'Egitto, alla faccia della crisi, ha avuto una crescita del 4,7% nel 2009, del 5,3% e del 5,5% prevista per il 2011. Scorrendo più indietro, notiamo che negli ultimi trent'anni, ossia durante la lunga presidenza-regno di Mubarak la crescita media del PIL si è sostanzialmente mantenuta sugli stessi livelli. Davvero niente male per un Paese considerato del Terzo mondo.

Ma allora perché la gente piange miseria?

La ricchezza di una nazione, cioè il suo PIL, più che in termini assoluti va considerata a livelli relativi, cioè pro capite. Se nel 1981 la popolazione egiziana ammontava a 44 milioni di abitanti, oggi è di fatto raddoppiata, attestandosi sugli 80. Un aumento medio del 2% annuo che ridimensiona la crescita del PIL al 3%. La stessa percentuale che misura la superficie abitabile del Paese. Sebbene si estenda per un milione di kmq, solo il 3% delle sue terre è realmente “calpestabile”. In pratica 80 milioni di persone vivono strette in 30.000 kmq, poco più della Sicilia. Una densità tra le più alte del pianeta.

Nel 1911, all'epoca del protettorato britannico, la popolazione sfiorava appena i 12 milioni. Il governatore Lord Cromer, che lo amministrò dal 1884 al 1907, lo descriveva nelle sue lettere come un paese era moderno, industrializzato, collegato ai mercati esteri e con un settore agricolo in grado di assicurare il sostentamento di tutto il Paese. Il suo PIL pro capite si attestava al 19° posto nel mondo.

Uno standard mantenuto più o meno fino al 1936, all'avvento di re Farouk. Sotto la monarchia l'Egitto mantenne un'amministrazione efficiente, ma l'aumento della popolazione contribuì a ridimensionare il tenore di vita degli egiziani, i quali alla morte del re, nel 1952, erano decisamente meno abbienti rispetto a quarant'anni prima.

Le cose peggiorarono sotto la presidenza di Gamal Abdel Nasser, il cui programma socialista sottrasse ingenti risorse a quello che noi oggi definiamo il welfare per destinarle all'industria pesante, tanto che nel 1970 il PIL pro capite si era dimezzato rispetto a diciotto anni prima. Le riforme economiche di Sadat, volte ad invertire la tendenza, hanno invece addirittura peggiorato la situazione.

L'avvento di Mubarak ha segnato la rinascita dell'economia egiziana. L'apertura al turismo ha consentito l'ingresso di una marea di denaro nel Paese, divenendo presto la prima voce di bilancio del Cairo. Sfortunatamente, la gente non ha beneficiato che delle briciole.

3. Oggi l'Egitto, con un reddito pro capite pari a circa 6200 dollari, è al 136° posto nel mondo. La diga di Assuan, salutata come l'opera che avrebbe traghettato l'Egitto dal Medioevo al Duemila, ha negli anni portato più danni che benefici. La progressiva salinizzazione delle acque del Nilo e la mancanza del prezioso limo e fertilizzare le terre hanno messo in ginocchio l'agricoltura. produzione di cereali è crollata. Al contrario di una popolazione che non ha mai smesso di incrementarsi.

Per tremila anni l'Egitto è stato il granaio del mondo; oggi invece è il secondo importatore di grano del pianeta. Il Paese importa oltre la metà dei suoi alimenti base e in parte questo spiega gli elevati rincari.

Laddove il deficit alimentare è più marcato, le importazioni possono raggiungere costi insostenibili, se rapportati al reddito pro capite. Sempre il rapporto del FMI del 2010 illustra che i prezzi al consumo in Egitto sono cresciuti del 16,2 nel 2009, dell'11,7% nel 2010 e si prevede un ulteriore aumento del 10% nel 2011. Sono stati soprattutto i generi di prima necessità a rincarare: stando ai dati della FAO, il grano è aumentato del 110%, il mais dell'87%, la soia del 59% e lo zucchero del 29%. In un Paese dove circa l'80 % del reddito familiare è riservato all'acquisto di generi alimentari tali aumenti hanno avuto effetti disastrosi.

La sfiducia degli investitori, dato l'alto rischio Paese, ha già portato ad una corsa alle vendite dei titoli: la Borsa del Cairo ne ha già pagato le conseguenze. Un Paese in cui la popolazione aumenta in misura incontrollata è instrinsecamente instabile, e per ciò solo comporta un rischio per chi decide di investirvi. Ponendo un ulteriore freno alle possibilità di ripresa a breve termine.

4. L'errore di Mubarak è stato quello di incentivare i settori orientati all'estero, in primis l'energetico e il turismo, trascurando le spese in infrastrutture, abitazioni o scuole, per mantenere l'efficienza del Paese al passo con la crescita delle bocche da sfamare. È questa la colpa che il popolo di Piazza Tahrir non gli ha perdonato. La pressione demografica, se non affrontata attraverso oculate politiche di controllo e sviluppo, può ridurre allo stremo qualsiasi Paese, nonostante le sue risorse.

“I governi [del Medio Oriente] devono concentrarsi molto di più sulla crescita interna e fornire un sostegno mirato alle famiglie più povere,” ha dichiarato Masood Ahmed, direttore del Dipartimento del FMI per il Medio Oriente e Asia Centrale, in una recente conferenza sul tema delle rivolte nel mondo arabo. “Per rispettare il vincolo di bilancio senza necessariamente ridurre le spese importanti (come per le infrastrutture), è importante migliorare e ammodernare le reti di sicurezza esistenti per renderle al tempo stesso ben stabili e durevoli. Così, le persone bisognose potrebbe ricevere benefici ma a costi fiscali ridotti”, ha aggiunto.

Belle parole, si dirà. L'Occidente non ha mai mostrato troppo interesse per la stabilità economica e sociale dell'altra sponda del Mediterraneo, dove si trova il 57 % delle risorse mondiali di idrocarburi. Eravamo troppo impegnati a soddisfare la nostra sete di petrolio per preoccuparci della fame di chi si trova sull'altra sponda del Mediterraneo.

 

Riferimenti:

http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2010/02/pdf/c2.pdf

http://www.equilibri.net/nuovo/articolo/egitto-conseguenze-economico-finanziarie-delle-rivolte

http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2011/new021611a.htm

http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/MB09Dj02.html

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