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L’Armir italiana alla campagna del Covid

Oggi la lettura dei giornali riserva la conferma di quello che in molti pensiamo: la campagna vaccinale italiana sta andando molto male, come del resto quelle di altri importanti paesi europei, come Francia e Germania

Sempre utile buttare occhio e ombelico oltre il cortile di casa, come dico spesso: in tal modo si riesce -forse- a focalizzare elementi comuni e isolare meglio le “specificità” nazionali, per criticarle in modo meno pavloviano.

C’è un dato sopra ogni altro, che deve farci sentire non bene: il numero giornaliero di morti nel nostro paese. Ancora intollerabilmente elevato. Per quale motivo? Perché abbiamo una elevata quota di grandi anziani, mi vien fatto di dire, e per ciò stesso ultra fragili. Ma forse anche perché la campagna vaccinale in quella fascia di età è ancora indietro.

Imbucati d’Italia, unitevi

In effetti, questa pare essere la chiave di lettura. Ma perché è indietro, dopo la fase “facile” delle vaccinazioni nelle RSA? Per il combinato disposto di lentezza negli approvvigionamenti di vaccini e scelte locali del tutto opinabili delle categorie da vaccinare.

Anziché usare la sola chiave anagrafica, le regioni si sono esibite in variazioni sul tema di rara assurdità, fondate su ottimistiche valutazioni dei flussi di approvvigionamento. Come che sia, a questo punto e con questi ritardi, pare molto facile l’inferenza: poteva mai, un paese con robusta tradizione di imbucati e imboscati come il nostro, mancare questa opportunità? No, non poteva. E infatti questi sono i risultati, esacerbati -ribadiamolo- dalla esasperante lentezza sia degli approvvigionamenti che delle procedure organizzative locali.

Da questa considerazione ne consegue un’altra. Non sarebbe più semplice commissariare le regioni che stanno dando pessima prova di sé? E non parliamo della Calabria ma della assai sopravvalutata Lombardia, dove non passa giorno senza leggere di nuove caporetto organizzative?

Chi commissaria il commissario?

La tentazione è forte, molto forte. Ma commissariare per fare cosa, esattamente, di fronte a infrastrutture gestionali che sembrano scherzi di cattivo gusto? Avere flussi di ordini da Roma anziché da Milano cambierebbe realmente qualcosa? Lecito dubitarne, anche se l’opzione più semplice sarebbe quella di imporre criteri di priorità validi su tutto il territorio nazionale.

E qui entra in gioco il governo, almeno in astratto. Se il premier Mario Draghi dice che “non va bene” questo ordine sparso tra performance regionali, ci si attende che, a seguito di tale constatazione, segua intervento cogente. Ma questo rischia di scontrarsi con la natura eufemisticamente eterogenea della maggioranza che regge il governo centrale. Si potrà mai dire ad Attilio Fontana “ora basta, cercati un cantiere da monitorare e fatti da parte”, senza causare la levata di scudi leghista? Forse sì, ma temo serviranno molti altri e ben maggiori danni.

E così si prosegue, con la comparsa di uomini e donne della Provvidenza come Guido Bertolaso e Letizia Moratti. I quali, anche se facessero cose razionali, si troverebbero di fronte la condizione di disastro organizzativo della burocrazia regionale e dei suoi sistemi organizzativi e informativi. Anche qui, su scala ridotta, si scopre che la leggenda del salvatore della patria, grande o piccola che sia, è appunto solo una leggenda. Mentre non è leggenda ma tragico déjà-vu la tradizione italiana di catastrofiche catene di comando. Ma alla fine c’è sempre una lapide e un’epigrafe, posta da generali e generalesse, eletti e nominati, in memoria degli elettori:

La tribù delle correlazioni spurie

Se le fondamenta sono ammalorate, difficile che l’edificio regga a lungo. Potrà essere puntellato con funi sfilacciate sui social e con campagne di spin che sfruttano la tafazziana propensione contradaiola degli italiani di ogni latitudine, ma sostanza ed esiti non cambieranno.

Pensateci: la politica, la cui unica ragion d’essere, almeno dalle nostre parti, pare essere il rinvio e la diluizione di responsabilità, messa di fronte a una nemesi quasi biblica come una pandemia, che non perdona debolezze organizzative, scarsa coesione sociale e si fa gioco delle correlazioni spurie che da sempre sono pane e companatico degli eletti e della loro retorica. “Avete visto? Oggi c’è il sole, bravo assessore/ministro/direttore-generale-scelto-da-noi, ecco il nostro buongoverno!”. E dietro codazzi di giornalisti in visibilio, che devono pagare mutuo e bollette.

E la popolazione, già di suo fortemente incline ad autoassoluzione e autoinganno, altrimenti non eleggerebbe -a propria immagine e somiglianza- simili rappresentanti, scarica le proprie frustrazioni su qualche incapace a caso, purché rigorosamente di altre contrade. In ultima istanza resta sempre la “contrada straniera”, la Ue.

Altra caratteristica della comunicazione politica al tempo di una crisi senza precedenti (ma anche in altri meno drammatici momenti), è la “costruzione del miraggio”. Di che si tratta? Prendiamo il caso del vaccino russo Sputnik. In patria non hanno capacità produttiva e la popolazione lo scansa accuratamente (poca fiducia nell’assai trasparente regime da cui sono “governati”? Ah, saperlo), ma da noi in Europa se ne parla come di una svolta e della nuova piscina di Lourdes.

Il nuovo gerovital che viene sempre da Est

Perché? Per l’abilità di comunicazione dei russi, esempio di autocrazia che proietta soft power in giro per il mondo (sic), o forse perché quando si è nel guano ci si aggrappa a tutto o quasi, sta di fatto che questo vaccino ormai ricorda il leggendario gerovital del dittatore rumeno Nicolae Ceausescu.

Ecco, quindi, a tutti i livelli, la fuga nel futuro della politica in Italia, il paese del “fate presto” e delle ordinarie emergenze. Ieri, su piccola scala, è giunta la notizia di una “sperimentazione scientifica” di Sputnik allo Spallanzani di Roma, annunciata dal governatore del Lazio come una specie di svolta, al punto da indurlo a dichiarare che “questa è un’altra buona notizia che ci permette di fare un salto in avanti rispetto alla necessità di approvvigionamento dei vaccini“.

Ora, servirebbe qualcuno che spiegasse a questo signore che esiste una dolorosa discrasia, in termini temporali, tra i concetti di “sperimentazione scientifica” e “approvvigionamento di vaccini”. Purtroppo, quel qualcuno tarda a palesarsi e noi restiamo con l’ennesimo spin politico declinato al futuro remoto e improbabile, che è l’ennesima versione dell’oppio dei popoli. “Sta andando tutto male ma non temete: nei prossimi giorni una bella tavola rotonda con la Camera di commercio italo-russa e vedrete come svolteremo, resistete!”

Del resto, la fuga nel futuro è un topos della politica. Non solo italiana, anche se l’arte del rinvio e il sol dell’avvenire che costringe agli occhiali da sole è uno dei maggiori cardini narrativi italiani. “Sereni, il prossimo trimestre avremo millemilamilioni di dosi, e potrete farvi vaccinare anche dal parcheggiatore abusivo sotto casa!”

Nuovo mondo, vecchi autoinganni

Incoerenze temporali che, se non fossero grottesche, sarebbero anche divertenti; caos organizzativo; correlazioni spurie elevate a strumento supremo del pensiero magico tribale: sono solo alcuni degli elementi di questa punizione apparentemente superiore ma che è stata interamente costruita in house, a vari livelli: quello europeo, figlio assai poco amato degli stati nazionali, e quello locale, dove ogni paese fornisce il meglio e il peggio di sé. Una sorta di fallimento a cerchi concentrici, in pratica.

Come finirà, da noi? Vorrei essere ottimista: con estrema lentezza e fatica, e ancora moltissime vittime. Ne usciremo così, oltre che con l’azione di alcuni “leader situazionali”, che isolatamente agiranno per riequilibrare le inefficienze. La catena di comando, da noi, è spesso quella dello sciacquone della storia. Continuerà tuttavia a essere ghiotta occasione per ascoltare il rullo dei tamburi tribali e assistere alle gare di accuse reciproche, con ricche correlazioni spurie e dita puntate come baionette.

Nel frattempo, la persistente animazione sospesa dell’economia costringerà a ulteriori infusioni di deficit, che consentiranno ad alcuni scienziati sociali di dire che “il deficit non è un problema, basta volerlo, siamo in una nuova era”, e poi appuntamento col risveglio alla realtà.

Foto: alcuni ufficiali del battaglione degli alpini Vestone durante la campagna di Russia (foto archivio privato Cristoffanini)

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