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L’America Latina (anzi, il Venezuela) detiene un quinto del petrolio mondiale

I giacimenti di petrolio accertati in Sud America costituiscono il 20% di tutte le riserve mondiali, dopo l'aumento del 40% sulle precedenti stime. È quanto dicono i dati diramati dall'Organizzazione Latino Americana dell'Energia (Olade), nel corso del primo Seminario latino americano e caraibico su petrolio e gas tenuto a Quito (Ecuador) il 12-13 luglio.

Solo in Venezuela, il bacino dell'Orinoco (55.000 kmq) custodirebbe ben 297 miliardi di barili (85% della regione), sufficienti a soddisfare l'intera domanda globale per quasi 10 anni.

Secondo l'Olade, la regione centro e sudamericana è seduta su almeno 345 miliardi di barili di petrolio pronti per l'estrazione. Per il Venezuela si tratta della 34esima stima al rialzo in sei anni, da quando cioè fu promosso il programma “Magna Reserva” al fine di accertare tutte le riserve esistenti sul proprio territorio. Ora Caracas è nei primi cinque posti nel mercato mondiale degli idrocarburi. 

Anche il Brasile ha recentemente scoperto di possedere notevoli giacimenti al largo delle sue coste atlantiche. Come il giacimento Tupí (33 miliardi di barili), rilevato nel 2007 , o il giacimento di Giove (12 miliardi), esplorato nel 2008, che equivalgono al 5% delle riserve continentali.

Al terzo posto c'è il Messico (4% riserve), che sebbene negli ultimi 15 anni abbia visto diminuire le stime sulle proprie riserve, può tuttora contare sul giacimento Paleocanal Chicontepec (137 miliardi) scoperto nel 2009.

Al quarto c'è l'Ecuador (3%), le cui riserve nel 2008 sono aumentate dei due terzi rispetto all'anno precedente, in parte grazie all'esplorazione di un nuovo giacimento da 960 milioni di barili.

Venezuela, Messico e Brasile producono l'80% del totale nella regione; un altro terzetto formato da Colombia, Argentina ed Ecuador produce il 17%, mentre gli altri Paesi producono il restante 3%. Senza ulteriori scoperte e mantenendo gli attuali ritmi di produzione, le riserve venezuelane potranno durare per 201 anni, quelle dell'Ecuador per 34, quelle del Brasile per 18, quelle di Messico e Argentina per 11, quelle della Colombia per 8.

Tutti i Paesi sono costantemente alla ricerca di nuovi giacimentiL'Argentina, ad esempio, ha annunciato un programma di sviluppo delle esplorazioni per il periodo 2010-2014, gestito dalla compagnia ispano-argentina Repsol. Il programma mira a determinare il potenziale di riserve sotterranee nazionali. Il Messico si è impegnato ad investire più di 27 miliardi di dollari entro il 2019 al fine di sviluppare il proprio potenziale offshore.

Anche la compagnia brasiliana Petrobras ha in programma investimenti dell'ordine di 73 miliardi entro il 2015, in joint venture con i suoi partner, nella piattaforma del bacino di Santos, a sudest. Zona dove da qualche tempo staziona la Quarta flotta Usa, ufficialmente per attività di ricognizione.

Analisi delle attività condotte dalle companies ha permesso di concludere chel'America Latina e i Caraibi produrranno 12 milioni barili al giorno di petrolio nel 2015, rispetto ai 9,6 milioni del 2009.

È soprattutto il Venezuela a pianificare progetti faraonici sull'estrazione e la lavorazione del greggio. Caracas sta per promuovere la trivellazione di 10.500 pozzi, oltre alla costruzione di due raffinerie e di un nuovo terminal di esportazione. Entro il 2015, la produzione di petrolio venezuelano ammonterà a 4,5 milioni di barili al giorno, e la raffinazione a 3,6 milioni.

Per aumentare la propria capacità di export, PDVSA, compagnia statale di Caracas, ha appena acquisito il 60% di una società di trasporti che possiede circa 300 chiatte sul fiume Paraná, che scorre attraverso Brasile, Paraguay e Argentina.

Prosegue inoltre la produzione di petrolio in associazione con Petroecuador, quella del gas con la compagnia statale boliviana, e le attività di esplorazione in Argentina e Uruguay. PDVSA è anche coinvolta in due grandi progetti per la costruzione di raffinerie nella regione: a Manabí (Ecuador), che raffinerà 300.000 barili al giorno, e a Pernambuco (Brasile), con una capacità di 230.000 barili al giorno.

Nel contempo, la compagnia sta riducendo i suoi investimenti nelle raffinerie in Europa, giudicate inutili. Ne ha appena vendute due in Germania (a Gelsenkirchen e Karlsruhe) al colosso russo Gazprom.

L'obiettivo del governo venezuelano è triplice: stabilire nuove partnership, accedere a nuovi mercati e rafforzare il ruolo geopolitico dell'Opec. Soprattutto quest'ultimo tassello offre al Paese notevole profonda strategica. Perciò il presidente venezuelano Hugo Chavez ha più volte tentato di condizionare la produzione petrolifera ad una regolamentazione per incrementare l’influenza esercitata dai Paesi produttori.

Ma il petrolio di Caracas è un piatto troppo ghiotto e gli Stati Uniti, tradizionali avversari di Chavez, starebbero cercando di metterci le mani. La lotta degli Stati Uniti per mettere le mani sul petrolio del Venezuela è iniziata nel dicembre del 2002, quando PDVSA dovette far fronte a uno sciopero che coinvolse circa 20.000 dipendenti. Ma la destabilizzazione attesa dagli Usa non ci fu e lo sciopero terminò con una sconfitta nel febbraio del 2003, quando PDVSA fu nazionalizzata. Circa 15.000 dipendenti del settore petrolifero furono licenziati e le perdite causate dalla rivolta si aggirarono sui 10 miliardi di dollari.

Non vanno poi dimenticate le recenti sanzioni emesse da Washington per punire PDVSA, rea di aver inviato una nave cisterna con 20.000 tonnellate di benzina all’Iran. Un mero atto intimidatorio, secondo Caracas. I media americani, intanto, criticano pesantemente la cooperazione economica e militare del Venezuela con Russia e Cina. Inoltre, il settore petrolifero venezuelano è escluso dai contratti con le compagnie USA, dai prestiti per le esportazioni e le importazioni e dall’acquisizione di tecnologie avanzate per l’estrazione e la raffinazione del petrolio. Ma PDVSA è un colosso abbastanza grande da sopravvivere all'esclusione dal mercato statunitense e alle voci sulle condizioni di salute di Chavez, sul quale da giorni è calato il silenzio dei media. Quelli occidentali, ovviamente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.58) 4 agosto 2011 15:41

    «Al terzo posto c’è il Messico (4% riserve), che sebbene negli ultimi 15 anni abbia visto diminuire le stime sulle proprie riserve, può tuttora contare sul giacimento Paleocanal Chicontepec (137 miliardi) scoperto nel 2009.»

    Veramente, ma siete sicuri di quello che dite?

    A me risulta questo:

    http://petrolio.blogosfere.it/2009/...

    In poche parole dal 2004 ad oggi le esportazioni sono in picchiata, nel 2004 erano di quasi 2 milioni di barili al giorno, nel 2008 sono quasi dimezzate e nel 2015 l’EIA stima che il Messico diventerà un paese importatore di petrolio (come l’Italia).

    Non è che molti paesi da voi citati con riserve altisonanti sono già importatori di petrolio o lo saranno a breve come nel caso del Messico?

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