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Israele: ancora sui bus della discriminazione

La questione dei bus israeliani su cui è stata applicata la segregazione di genere ha sollevato un bel (direi giustificato) uragano di indignazione in tutto il mondo ed ha sollevato comprensibili proteste nello stato ebraico; proteste a cui non si può negare ampia solidarietà.

Andando ad informarsi un po’ più a fondo per capire come è nata la faccenda, potremmo scoprire che alla fine degli anni ’90 due linee di bus (una a Gerusalemme e una in una cittadina della costa) furono adibite al trasporto di cittadini di stretta ossevanza religiosa che praticavano la segregazione di genere: donne dietro e uomini davanti. La dislocazione è ovvia, se gli uomini stanno davanti non vedono le donne che potrebbero suscitare in loro pensieri 'impuri' (è vero, potrebbe capitare, ma personalmente non ci vedo nulla di male). Nel ’97 i primi bus ‘segregati’ entrarono in servizio.

Questi autobus chiamati ‘mehadrin’, che significa più o meno “ultra-kosher” cioè decisamente molto conformi alle disposizioni religiose, appartenevano ad una compagnia privata, ma già nel 2001 la Egged (“Unione”), cooperativa che gestisce la maggior parte del trasporto pubblico israeliano, decise di scendere in campo nel settore degli haredim ultraortodossi con bus (pubblici) attrezzati - si fa per dire - alla segregazione di genere; alla fine del 2010 erano una cinquantina sui tremila circolanti in tutto il paese.

Già nel 2004 però un primo incidente con una donna (ortodossa) di origini americane che si era rifiutata di sedere in fondo al bus, aveva suscitato una mezza rissa e molte proteste finite con un appello prima all’Azienda di trasporto e poi al governo perché intervenissero. La questione si presentava scabrosa perché in bilico su quel filo sottile che separa la scelta volontaria dall’imposizione di forza: dietro a questo (ipocrita) non possumus si trincerarono sia il Ministero dei Trasporti che la direzione della compagnia dei bus per evitare contrasti con i loro clienti ultrareligiosi.

Nel frattempo la IRAC (Israeli Religious Action Center) un’organizzazione del giudaismo ‘riformato’, aveva iniziato a monitorare le sempre più pressanti richieste del mondo ultraortodosso perché la segregazione di genere fosse ampiamente applicata nella vita pubblica israeliana, arrivando ad ottenere – oltre a qualche decina di autobus - sale d’aspetto e di visita separate per uomini e donne in alcune cliniche mediche, file separate in un (uno) ufficio postale, una stazione di polizia senza donne poliziotto, qualche marciapiede a ‘genere unico’ nel sobborgo più oltranzista di Gerusalemme (ma stiamo parlando dell’ insediamento ebraico di Mea Shearim, più vecchio dello Stato di quasi un secolo), oltre alla separazione tra uomini e donne in alcune cerimonie o incontri pubblici a sfondo religioso. Pubblicità censurate e biancheria intima, di un troppo eccitante colore rosso, vietata nelle vetrine dei quartieri ultraortodossi. Il concetto di tzniyut, modestia, diventato imperante e ossessivo. Poche cose, insomma, ma in crescita parallela con l’aumento dell’animosità verbale e fisica degli ultrà haredim.

La questione prese una svolta più decisa quando davanti all’inerzia di governo e azienda di trasporto, la Corte Suprema fu chiamata a dirimere la faccenda, già nell'ottobre del 2009, se si potesse parlare di separazione accettata volontariamente oppure se si trattasse di una coercizione: fu ribadito che la separazione in base al genere sulle linee pubbliche è illegittima. E' chiaro che essa vìola la legge fondamentale dello Stato, fra cui la Dichiarazione d’Indipendenza dove il rifiuto delle discriminazioni su base etnica, di sesso o di religione è chiaramente espressa (“The State of Israel ... it will ensure complete equality of social and political rights to all its inhabitants irrespective of religion, race or sex; it will guarantee freedom of religion, conscience, language, education and culture”). Per questo i bus ‘mehadrin’ in servizio pubblico sono stati vietati, ma si è voluto autorizzare un periodo di prova di un ulteriore anno di “separazione” uomini-donne su base strettamente volontaria (nella foto, l'adesivo applicato sui bus recita "Qualsiasi passeggero può sedersi ovunque decida eccetto nei posti riservati ai disabili; le molestie ad un passeggero per motivi relativi alla scelta del posto è un reato").

Decisione apparentemente salomonica, in realtà pilatesca, tanto per rimanere in zona: tolto di mezzo qualsiasi tipo di diktat esplicito, chi può imporre, ma anche impedire ad una donna di sedersi in fondo al bus se lo vuole? Ma chi può essere certo che sia davvero libera di scegliere? Chi ci dice che un'atmosfera sociale opprimente non sia un’imposizione ancora più violenta proprio perché ‘impalpabile’? Non è lo stesso dilemma che abbiamo in Europa con il velo islamico? Le donne islamiche sono libere di coprirsi se vogliono - i leghisti che le vorrebbero forzosamente 'scoperte' non sono violenti? Ma se poi l’uso o meno del velo diventa l’elemento di distinzione tra una donna ‘seria’ e una ‘puttana’, siamo sicuri che tutte le donne sarebbero proprio libere di scegliere? La legge può rendere illegittima la discriminazione di genere, etnia, religione, lingua, cultura, scelte sessuali e così via, ma in una società dove convivono tradizioni rigidamente segregazioniste come quella Haredi o quella musulmana ortodossa o ancora drusa, non ci sarà sempre un poliziotto a portata di mano per difendere i diritti civili da chi non riesce nemmeno a concepirli.

Mentre la società civile si pone interrogativi sempre più articolati e complessi vista la multiculturalità diffusa, i religiosi, che non hanno da interrogarsi granché dato che le risposte le trovano già scritte da chissà chi e chissà quando, vanno avanti per la loro strada e inscenano ributtanti sceneggiate in cui si mascherano da vittime della Shoah, come se rifiutando la loro arroganza si uccidesse loro stessi, non la loro violenza (interessante il cartello antisionista che si può intravedere sul fondo del carro: "Gli ebrei non sono sionisti, i sionisti non sono ebrei sono razzisti", che la dice lunga su quanto le leggi di uno Stato non riconosciuto possano essere rispettate).

Non ci resta che sperare che tutto ciò possa servire a provocare una scissione nella coalizione di destra e ad isolare l'oltranzismo nazionalista e religioso; e con loro anche i partiti che rappresentano gli interessi dei coloni della West Bank; forse dal caos di questi giorni ne verrebbe qualcosa di buono anche in senso politico, non solo uno stop più deciso alle discriminazioni contro le donne.

Nel frattempo militanti laici anti-segregazione salgono sugli autobus frequentati dagli haredim per impedire altri episodi di sopraffazione. E se tutto questo succede in Israele, figuriamoci altrove, dove il libro sacro della religione si fonde al potere della Legge e alla forza delle armi.

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