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Israele-Palestina: unico Stato ?

Il consuntivo ufficiale (del governo israeliano) di fine anno dice che dalla striscia di Gaza sono stati sparati verso il paese ebraico qualcosa come 627 tra razzi e colpi di mortaio. Sarà vero? Sarà falso?

Sulla veridicità di questa affermazione – così come in anni passati – si giocheranno le future aspre diatribe fatte di accuse e controaccuse fra palestinesi e israeliani e, in particolare tra Hamas e l’attuale governo di Gerusalemme. Se la notizia fosse confermata vorrebbe dire che in un anno “tranquillo”, cioè in cui non si è notata una particolare recrudescenza degli scontri militari, quasi tutti i giorni cadono un paio di colpi sul territorio israeliano. Generalmente sono colpi sparati per ‘far rumore’ non per far male davvero; anche perché se non ci sono conseguenze reali le ritorsioni dell’aviazione sono minime, in caso contrario diventano dure.

Tutto questo discorso, così come ogni altro discorso ‘mediorientale’, può naturalmente essere letto al contrario, se si vuole (cioè ad ogni attacco aereo israeliano si risponde con i razzi sparati da Gaza); sfido chiunque a dire chi comincia e chi replica.

I fautori dell’idea di un’indebita occupazione colonialista del sionismo europeo ai danni della legittima proprietà palestinese dell’intero territorio accuserà sempre e comunque gli israeliani di essere i primi colpevoli. I sostenitori del diritto ebraico a costruire uno stato sul territorio che la comunità internazionale ha concesso e riconosciuto, lamenteranno sessant’anni di attacchi subìti dagli stati arabi e dal ‘terrorismo’ palestinese.

La soluzione di una situazione così drammaticamente inviluppata non è facile, è ovvio; ma ogni tanto sembra complicarsi ancora di più.

In un articolo pubblicato domenica su La Stampa, lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, che non può essere accusato, credo, di particolari simpatie per gli estremisti ultranazionalisti del suo paese, ha paventato il rischio insito nel concetto di stato ‘binazionale’ – ebrei e arabi insieme nello stesso Stato – che sembra essere una tendenza ‘forte’ degli ultimi tempi.

E’ la prima volta che leggo una critica accorata, addirittura con un palpabile senso d’ansia, relativamente ad una prospettiva che, al contrario, molti proponevano come la più giusta e sensata delle soluzioni. Soprattutto nella sinistra, israeliana ed europea.

Sembrava infatti più coerente con le ipotesi di legittimità sovranazionale che a sinistra sono sempre state preferite a quelle delle patrie nazionali reputate logiche ‘di destra’. L’universalismo di origine marxista contrapposto al nazionalismo borghese, tanto per sintetizzare.

Essere quindi favorevole – dichiaratamente – all’idea “nazionale” dello stato ebraico, mi ha messo più di una volta nel mirino del ‘politicamente corretto’ di sinistra. Essendo di sinistra anch’io ho sofferto (relativamente, non esageriamo) di queste insinuazioni che svariavano dalla tipica accusa di essere “fascista” a quella un po’ meno comprensibile di essere addirittura un “razzista”. Sostenere il diritto ad esistere di uno stato ‘ebraico’ mi metteva sul banco degli accusati in quanto "fiancheggiatore" di uno stato “oggettivamente aggressivo, militarista e occupazionista" (quindi fascista) e contemporaneamente razzista in quanto "ebraico" (e, si sa, dal momento che le razze non esistono, parlare di stato ‘ebraico’ è paragonabile al sostenere l’ideologia dell’esistenza delle razze). In effetti, se ricordate bene, il nazionalismo ebraico, il sionismo, è stato realmente equiparato ad un’ideologia razzista, alla conferenza di Durban sul razzismo del 2001, concetto che il leader iraniano ha ribadito in quella del 2009 e in qualsiasi altra occasione abbia avuto l’opportunità di aprire bocca (dopo aver fatto ampia strage di oppositori, naturalmente).

Oggi, ci dice Yehoshua, l’ipotesi ‘binazionale’ è stata sdoganata ed è valutata come una possibilità tutt’altro che remota: è vista con favore dalla destra estrema della politica israeliana che per motivi nazionalistici o religiosi vedrebbe con molto piacere l’intero territorio tra il Giordano ed il mare occupato dalla Grande Israele di memoria biblica (cioè comprendente le due regioni storiche di Giudea e Samaria che in qualsiasi consesso internazionale sono tuttora definite con il termine West Bank o Cisgiordania). Possibilmente senza arabi fra i piedi, è ovvio, ma anche insieme a loro, secondo l’interpretazione dei rabbini ultrareligiosi, storicamente avversi al nazionalismo sionista fino al punto da manifestare a favore dei palestinesi.

Ma, si ipotizza nell’articolo, anche con il tacito assenso di tutte le formazioni palestinesi, perfino di quelle più estremiste. A sostegno della paradossale affermazione, lo scrittore israeliano sostiene che “ovunque sentiamo parlare del sogno palestinese di uno Stato binazionale. E questo può forse spiegare l'insistenza dell'Olp a Camp David nel 2000, dell'Autorità palestinese durante i colloqui con il governo Olmert e anche nel corso dei recenti approcci dell'attuale governo israeliano, a non addentrarsi in negoziati seri con l'intenzione di arrivare a una vera conclusione”. Lo dice lui, non io.

Perfino la sostanziale remissività palestinese di fronte al lento, ma continuo espandersi delle colonie ebraiche nei Territori “occupati” (“contesi” secondo la terminologia israeliana) è interpretato come una sottile strategia finalizzata a lasciar fare, a lasciar creare progressivamente una situazione sociale che, alla fine, porrà gli israeliani di fronte ad un dato di fatto incontrovertibile che loro stessi avranno progettato, pianificato e realizzato: lo stato binazionale.

A quel punto l’affermazione israeliana di essere uno stato ‘ebraico’ e ‘democratico’ allo stesso tempo – contenuta già nella dichiarazione di indipendenza – diventerà una contraddizione insolubile: uno stato binazionale con una popolazione araba tendenzialmente maggioritaria (il sorpasso demografico avverrà nei prossimi decenni) potrà essere ‘ebraico’? E se vorrà esserlo a dispetto della sua maggioranza potrà essere ‘democratico’? E se non sarà più ‘ebraico’ siamo sicuri che potrà essere accettata l’idea di essere di nuovo una minoranza (decisamente poco amata) all’interno di uno stato sostanzialmente arabo?

Le prospettiva – e il tempo – sembra lavorare effettivamente, e questo si sapeva già, a favore dei palestinesi. A meno che non si prospetti un’impensabile (e agghiacciante) espulsione di milioni di loro da tutto il territorio occupato. In ogni paese c’è un pazzo che potrebbe andare al potere (e noi italiani lo sappiamo bene) e fare qualsiasi cosa, ma al momento sembra una possibilità decisamente (e fortunatamente) impraticabile.

In conclusione, l’ipotesi ventilata dai settori ‘di destra’ dell’establishment israeliano, e forse sostenuta surretiziamente da quello palestinese, porta direttamente alla fine del sogno ebraico di non essere mai più minoranza in casa d’altri, situazione tragicamente pagata cara dagli ebrei nel corso della loro storia millenaria. Oppure ad un conflitto dalle proporzioni apocalittiche.

Bene, mi sono detto, allora sostenere il diritto all’esistenza di uno stato ebraico (e, di conseguenza, la logica dei “due stati per due popoli”) dopotutto è l’idea che più d’ogni altra lavora a favore di una pacificazione dell’area e alla soluzione del conflitto in corso da troppo tempo (e voglio ricordare gli accordi informali di Ginevra 2003 che una soluzione concordata fra i due schieramenti l'hanno proposta).

Essere filosionista alla fine è idea più ‘di sinistra’ di quella sovra o bi-nazionale. Conclusione che non mi dispiace, alla faccia della political correctness di casa nostra (che, peraltro, è "corretta" solo quando si tratta di manifestare contro Israele, ma se sono i siriani a fare stragi, chi li ha visti mai scendere in piazza ? Troppo impegnati per occuparsi di quello che combinano certi dittatorelli arabi ?).

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