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Intervista al gestore del bar: "PM avventati, i nostri soldi sono puliti, siamo noi vittime di abusi"


Nicola Ascrizzi, titolare di uno dei bar, ad AgoraVox: “Possiamo spiegare tutto. I pm sono stati troppo avventati”. Ma a domande precise sui finanziamenti taglia corto: “Non è questa la sede”. Poi denuncia: “Violazioni della privacy da parte dei giornali”. Leggi l'inchiesta




Quando arrivo al bar del nipote di Vincenzo Alvaro sono le 14.30, ora di pranzo, il bar è pieno di studenti. Nicola Ascrizzi, il titolare più grande d’età, il nipote di Alvaro, quando gli dico che sono lì per parlare del sequestro mi chiede di aspettarlo a un tavolo. Dopo pochi minuti mi raggiunge. Mi chiede cosa ho intenzione di scrivere. Gli rispondo che mi interessa avere la loro versione dei fatti. Lo raggiunge un parente che lavora lì al bar. «Ma tu sei super partes? O sei di parte?», mi chiede. «Se tu vuoi fare un’intervista scrivendo quello che ti dico io allora va bene». Si lamentano degli abusi che ritengono di avere subito, oltre che dai magistrati, anche dai giornali. Li rassicuro. Nicola accetta l’intervista: «Io adesso sto lavorando. Torna oggi pomeriggio, così con più calma vediamo». Ma ribadisce: «A me interessa un’informazione super partes. Se devi scrivere quello che dici tu vengo e ti trovo».

Torno al bar a metà pomeriggio. A quell’ora non c’è più nessuno, per tutto il tempo dell’intervista non entreranno più di due clienti. Nicola mi aspetta insieme a Gabriele Barresi, il suo socio appena ventenne, l’altro suo parente che avevo conosciuto prima e l’avvocato. Quando dico all’avvocato che siamo un giornale online, inizia a dubitare che l’intervista possa essere loro utile: «Ma non ci converrebbe a questo punto farla al Messaggero? O all’Ansa?».

Alla fine si convincono. Durante tutto il colloquio fanno sentire forte la diffidenza che nutrono nei confronti dei giornalisti. Sono convinti che la Procura ci abbia passato non solo l’ordinanza di sequestro (che invece riusciremo a leggere soltanto in serata dopo l’intervista) ma addirittura atti di indagine riservati. Per tutta l’intervista non c’è verso di convincerli che le informazioni che abbiamo siano frutto di un’attività investigativa autonoma. «I giornalisti tutti uguali siete. Vengono a fare dei filmini o delle foto a scopo di indagine che dopo un minuto vengono dati, venduti alle televisioni. Nelle immagini, dentro casa, si vedono dei minori, i figli. Sono violazioni della privacy contro cui nessuno dice nulla».

Hanno seguito Vincenzo Alvaro per dimostrare che, di fatto, era lui a gestire i bar.

«Se io vengo a Roma e i nostri genitori ci danno una dote per aprire un locale è ovvio che mi rivolgo a una persona di fiducia e vicina a me: se è mio zio, se è mio cugino, se è mio fratello... che mi faccia vedere la strada del lavoro qual è. I bar li gestiamo noi. Che poi lui dia una mano perché ha esperienza... Rocco ha vent’anni, non sa neanche come firmare un assegno: è normale che abbia bisogno di una persona con più esperienza. Vive a casa con lui, a chi deve chiedere? Consigliare un nipote è un atto mafioso? Desiderava da tempo fare questo investimento, dopo l’istituto alberghiero ed esperienze di lavoro in ristoranti e hotel. La ristorazione è il suo campo. Vincenzo Alvaro è un mafioso perché mi viene a dare una mano senza farsi pagare? Io ne ho bisogno. Che mafioso è uno che va in giro su una cinquecento?»

Per quale motivo il vecchio proprietario del bar ha venduto?

«Perché aveva settantacinque anni (settantuno, ndr). Era vecchio, malato di cuore, voleva darlo via. L’aveva messo in vendita e nessuno voleva comprarlo. L’attività era in perdita perché è un locale che lavora con l’università, non ha grandi guadagni: all’una si finisce di lavorare. Quanta gente è entrata da quando ci sei tu? È un ora che siamo qui e non s’è visto nessuno. Anche il bar in Via Ponzio Cominio è un bar da quattro soldi come questo, posizionato malissimo».

L’ho visto. Ci sono stato stamattina.

«Hai visto dove sta? È un bar di merda, una cacata. Uno ricicla i soldi per farli fruttare, non per burattarli perché così si buttano».

Secondo il perito della procura i due bar valgono complessivamente due milioni di euro, ma questo qui è stato acquistato per 160mila…

«Ma dove stanno due milioni? Dicono che questo bar vale un milione di euro? Bene, sono disposto a venderlo per 750mila. Ho fatto un affare. Sono dati sparati a casaccio. Forse la procura confonde le mura, l'acquisto delle mura, che non so quanto valgano ma penso meno di un milione».

Lei l’ha vista la consulenza del perito?

«Ma secondo me nemmeno la perizia hanno fatto. La perizia nelle indagini non la fanno, viene dato un valore così. Forse è entrato e ha guardato così, che ti credi. Lo sai, non è che non lo sai. Loro devono dimostrare se c'è la provenienza illecita. Non c'è nessuna provenienza illecita!»


Ho visto che la As.Ba. S.r.l., che gestisce questo bar, era stato finanziata madre di Rocco Barresi, Francesca Crisafulli.

«Non mi risulta».

A me risulta un bonifico da 10mila euro, il 29 luglio scorso, da Rocco Barresi e Francesca Crisafulli. Causale: “A mio figlio per acquisto società”.

«Sono i genitori! Hanno messo qualcosa da parte per il figlio, si è venduto una casa. Suo padre è pensionato e sta ancora pagano i bollettini, mensilmente, per farlo lavorare. Ma la procura perché le va a prendere informazioni se voi giornalisti…»

Voi spiegate la provenienza di questi finanziamenti con la vendita di una casa del padre di Gabriele Teodoro. Ma Rocco Barresi aveva degli investimenti in banca, delle polizze assicurative che ha disinvestito prima di fare i versamenti al figlio, di cui non conosciamo la provenienza.

«Non è questa la sede per accertarla. Ma poi, dico, scusa, tu tiri fuori queste cose... Barresi, questi investimenti, queste cose, che negli atti non ci sono. Come fanno a uscire queste cose dalla procura? Al mio avvocato non dicono nemmeno se è stata fatta correttamente la nomina».

Poi c’è un altro dato: i conti delle società di solito venivano tenuti al limite dello scoperto. Nel caso della Novecento S.r.l. addirittura c'erano più debiti che liquidità... Si potrebbe sospettare una precauzione in vista di un possibile sequestro dei conti.

«Il bar incassa, ma le spese ci sono, in certi giorni anche superiori agli incassi… Federico, vieni qua (mi fa cenno di avvicinarmi dietro al bancone, ndr). Guarda. Stiamo con i frigoriferi rotti: li usiamo come magazzino. Sono talmente vecchi che mi conviene tenerli qua anziché aggiustarli. Questo non è un bar da un milione di euro. Quando ci hanno fatto il sequestro l’attività dell’azienda stava a zero. Hanno preso una cantonata. Fa notizia perché dicono che vale due milioni. Sai che penso?»

Che cosa?

«Che i delinquenti fanno bene. Vale la pena da calabresi venire qua e lavorare duro? Mio zio non è mai stato a una serata danzante, non è mai andato a fare compere. Loro aiutano una persona ad andare sulla retta via o la distolgono dal lavoro?»


INCHIESTA: 'Ndrangheta a Roma. Viaggio tra i bar sequestrati

INTERCETTAZIONI: Dalla contabilità alla banca ai dipendenti. Pensava a tutto il figlio del boss.



 

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