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Intervista ad Andrea Burrini: "Ecco come vivono in Birmania"

Intervista ad Andrea Burrini, volontario ed esperto d’informatica dell’associazione Trentina “MosesOnlus” di Madonna di Campiglio impegnata con missioni in Birmania e Thailandia, direttamente sul posto, a sostegno delle popolazioni, con interventi sociali, sanitario e del recupero dei diritti umani e con progetti di autosostentamento . Favorendo la solidarietà nei confronti dei più poveri della Terra...
Chi è Andrea Burrini ? 
Un giovane Campigliano di 36 anni, che stimolato dall’amicizia con Francesco e Patrizia un giorno è venuto in Thailandia in vacanza e ...anziché trovarsi davanti la solita realtà futile ha conosciuto quella vera della gente che soffre.
Francesco e Patrizia fondatori di Moses Onlus, mi hanno incoraggiato, sapendo del mio grande amore per le realtà lontane. Seguendo Francesco e Patrizia ho incominciato a conoscere i Migranti Birmani e la loro vita difficile, ho seguito Moses nelle missioni in Birmania e, ultimamente, ho curato personalmente una missione ricognitiva per la prossima apertura di una nuova scuola Moses nella Giungla.
 
Come è nata l’associazione Moses del Trentino? 
Moses è nata dalla volontà di quattro persone comuni, sopravvissute in modo davvero miracoloso allo Tsunami, Francesco Baietti, Patrizia Saccaggi, Massimo Simioni e Sara Cristini Bosisio.
L’aver avuto la vita in dono per la seconda volta ha fatto superare molte difficoltà alla piccola associazione che con caparbietà ha dapprima ricostruito dodici case per famiglie di sopravvissuti nella provincia di Phan Nga, e poi focalizzandosi sull’istruzione e la sanità a favore delle fasce più vulnerabili ha realizzato ed ha in corso progetti a favore dei Migranti Birmani in Thailandia, degli IDP People (popolazioni i in fuga dalle violenze del regime birmano) e delle popolazioni colpite dal ciclone Nargis del maggio 2008. Moses realizza attività di divulgazione del messaggio solidale sul territorio trentino con incontri nelle scuole e con altre associazioni, Patrizia inoltre come insegnante segue i progetti di gemellaggio con l’IC Val Rendena.
 
Birmania, quale è stato al primo impatto, con queste realtà Sud Asiatiche...il suo pensiero ?
L’impatto con la gente Birmana è stato inaspettato in quanto dall’ “Informazione convenzionale" non si ha la dimensione della grave situazione che la popolazione vive sia nell’interno, priva di libertà e in balia del potere e delle violenze della giunta, sui confini dove centinaia di migliaia di persone vivono da anni ammassate in IDP Camp o in Campi profughi, che in Thailandia dove giù di due milioni sono fuggiti e vivono senza dignità, sfruttati nel lavoro e privi dei diritti umani di base. Una volta conosciute da vicino queste realtà, si intuisce come le condizioni di estrema povertà, le persecuzioni e violenze subite dalla popolazione, la condizione di "soldato" vissuta da molti bambini, le sofferenze conseguenti alle difficoltà per la sopravvivenza facciano di questo popolo uno dei più provati del mondo. Non ci sono gare. Ma spesso abbiamo modo di vedere come altre realtà hanno più visibilità sui media, e siano più conosciute, quindi ritengo un mio impegno quello di dare visibilità alla problematica del popolo birmano attraverso questo mio impegno.
 
Come è composto il vostro gruppo ? 
Attualmente il Team operativo di Moses è composto da Patrizia, Francesco e Andrea che da un anno e mezzo collaborano strettamente ognuno per le proprie competenze alla redazione dei progetti, alla loro gestione e controllo, al contatto con i beneficiari, alla realizzazione di materiale per la comunicazione, alla raccolta fondi ecc.
 
Cosa vuole dire portare una scuola nella giungla ?
La nostra intenzione è di costruire un gruppo di piccoli edifici, rispettando le tradizioni edilizie del luogo, ovviamente, e questo vuol dire in semplice Bambù e foglie per la copertura ma di grande effetto tecnico e strutturale. Abbiamo già collaudato questo tipo di strutture nel campo di U Way Klo, sempre nello stato Karen, ma vicino al confine Thailandese, sulle sponde del grande fiume Salaween con un discreto successo.
 
Al momento a U Way Klo, quasi 200 bambini, hanno l’opportunità di andare in una scuola bene organizzata e di avere a disposizione i necessari spazi per studiare, fino all’8° Grado. La scuola di Wa Me Dae, sarà un clone di questo “successo” e servirà ai bambini dei 7 villaggi che circondano l’area.
 
Parlando di strutture, il progetto prevede di costruire la scuola con le otto classi divise, una sala per le riunioni di tutti bimbi ed insegnanti, due “ostelli” per ospitare gli studenti che vengono da più lontano, servizi igienici, una piccola mensa con cucina ed un piccolo magazzino per le vettovaglie.
 
Ma una scuola di Wa Me Dae, vuol dire anche dare una speranza a questi bimbi cha da anni soffrono e sono in balia di uno spietato governo che abusa di loro ormai da anni e, come spesso accade in altre parti del mondo, solo per la persecuzione di un ideale politico o per la semplice e masochistica ragione della pulizia etnica.
 
Vuol dire anche avere l’occasione di contribuire all’organizzazione di una società, che ha bisogno di tutto, e che deve cominciare il proprio lungo cammino verso una seppur semplice organizzazione sociale.
 
Come volontario, sicuramente ha conosciuto e sta conoscendo nuovi mondi, cosa si porta dentro ?
Sono cambiate molte cose dal primo viaggio che ho fatto solo per diletto e curiosità. Stare a contatto con queste realtà, cambia la vita. Il modo di vedere le cose e le persone anch’esso è cambiato.
 
Difficile dire in realtà quello che ho provato durante questi ultimi anni. Sono stato letteralmente travolto da tutta una serie di problematiche e da informazioni, come non mai, nella mia vita.
 
Penso che sia difficile trasmettere quello che ho provato e quello che sto provando in questo momento. Mi verrebbe da dire forse che tutto è cominciato con “compassione”, ma non vorrei essere frainteso. Ho vissuto per anni, in una società che mi ha dato tutto, a volte penso anche troppo, ma ora riesco a dare un significato vero a parole come “semplice”,“povero”,”bisognoso”… se penso a qualche anno fa, credo di averle conosciute queste parole, adesso, posso dire di averle “capite”.
 
Un’infinità di storie, di numeri, ma dietro gli occhi della povertà ? 
Certo. Se ho capito bene, penso che una considerazione, possa essere fatta anche guardando le cose da “più in alto”. Vogliamo provare a “fuggire” per un attimo dallo scenario che coinvolge direttamente la gente che soffre per cercare di capire le ragioni di tutto questo.
 
Le ragioni di un mondo che è talmente lontano dalla nostra realtà, che nessuno riesce a farci caso. Eppure ci sono 50 milioni di persone, in Birmania che vivono in balia di uno dei regimi militari più brutali del mondo.
 
Molti pensano che il cambiamento sia vicino, altri pensano che non succederà mai. Ho cercato di capire il perché di tutto questo, ma mi creda, anche loro, non hanno una spiegazione.
 
Di una cosa, penso che possiamo essere “sicuri”. Questo sistema “Funziona”. Sarà la totale mancanza di educazione, sarà la corruzione dilagante, sarà che questa gente è abituata a “subire” e proprio non ce la fa a ribellarsi. Non lo so, ripeto, la dove molti governi, hanno “fallito”, qui, ci sono riusciti perfettamente, e nel 2009, pensare che esistano realtà simili è assolutamente incredibile ed inspiegabile.
 
 
Donne, bambini, famiglie in un ambiente primordiale, cosa ha significato per Andrea Burrini vivere in queste ambienti e toccare la povertà ? 
Come dicevo, ha significato molto. Per quello che riguarda la mia personale esperienza, posso dire che “toccare la povertà”, all’inizio non è stato facile per niente.
 
All’inizio si è letteralmente scioccati e sconvolti, da tutto quello che si vede, si tocca, si pensa, ma poi subentra una sorta di “abitudine” a questo nuovo mondo. Ed è qui, che bisogna cominciare a “farsi su le maniche”. A me ci è voluto molto, più di un anno, ma i tempi possono variare, in base alla propria sensibilità al proprio pensiero o stile di vita.
 
Inizialmente, sembra di vivere come in un telefilm in cui la realtà si vede ma ti tocca solo temporaneamente. In seguito si aggiungono gli odori, i sapori, particolari panorami o situazioni che piano piano, ti coinvolgono e ti rendono partecipe in prima persona. Ad essere sincero, sono ancora un po’ “stordito” e penso che questa piccola confusione che mi porto dentro, sarà difficile da eliminare completamente. Spesso mi chiedo, ma come è possibile che esista tutto questo?
 
La povertà è una ferità dell’umanità, è sanabile ? 
Mi verrebbe da rispondere secondo retorica.. e cioè si, è “sanabile”, basterebbe andassero tutti d’accordo e il gioco è fatto! Purtroppo, vivendo la realtà Birmana, mi sono reso conto che l’ingordigia e la cattiveria delle persone, a volte sembra non avere un limite. Pensiamo a tutte le altre guerre del mondo, Sudan, Congo, Somalia, Iraq, Israele, Pakistan e le altre decine di stati dove sono in corso conflitti armati, spesso sono convinto che neanche loro sappiano per chi, o per cosa stiano combattendo.
 
Nella vita quotidiana di queste persone è percepibile il senso della casa, della famiglia, come operate in queste senso? 
Nella comunità Birmana è difficile trovare un denominatore comune a livello “comunitario”. Mi spiego meglio. La Birmania, ad oggi “Myanmar”, è nata da una confederazione di stati appartenenti a diverse etnie con un background di centinaia di anni di differenti culture e tradizioni. Solo Aung San (premio nobel per la pace nel 1991) dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, riuscì a “unificare” i vari leader politici e a iniziare un lento processo che avrebbe portato il paese alla democrazia, ma questo processo, fu subito annientato dall’attuale Regime. I leader delle varie etnie continuano a difendere cosi singolarmente i propri ideali e le proprie genti dal potere centrale imposto, spesso subendo gravi perdite in termine di vite e di territori.
 
Per tornare alla domanda, al momento credo che non si possa parlare di una vera consapevolezza di avere una famiglia. Il nostro scopo è di cercare di dare un sollievo anche in questo senso. Siamo riusciti ad individuare tramite il nostro partner all’interno, aree e persone che richiedono una particolare attenzione. Il focus di un nuovo progetto di Moses, che partirà il prossimo mese di marzo, sarà proprio quello di dare un forte sostegno psicologico alle persone più bisognose con un programma di “counceling” tenuto da assistenti locali e che cercheranno di alleviare il peso di questo gravissimo ma purtroppo comune problema.
 
Come appare il mondo occidentale ai loro occhi ? 
Non molto arriva “di noi”, purtroppo, in un paese dove anche nelle grandi città, la luce c’è solo per 4/5 ore al giorno. Non c’è molto tempo per guardare la televisione o leggere il giornale, bisogna "sopravvivere”.
Tra i giovani “abbienti”, va molto di moda internet (stranamente), ma le comunicazioni sono “filtrate” dal governo attraverso i server che distribuiscono il servizio. Alcuni siti funzionano, altri no, per usare la comune posta elettronica bisogna trovare l’internet point “attrezzato”, dove qualche ragazzo ha scoperto una particolare configurazione per poter bypassare clandestinamente l’ostacolo. La televisione di stato e le radio sono “tristissime” e come in ogni “buon” paese che si rispetti (ricordo a Cuba o in Venezuela ad esempio) con questi strumenti, il governo riesce a soggiogare le masse dando un’informazione falsa e tendenziosa che certo non contribuisce a creare un’idea di quello che sta “fuori”.
 
Alcuni hanno il satellite, ma anche qui molte delle comunicazioni sono oscurate e comunque rimane privilegio di pochissimi. Figuriamoci ora in campagna o nei piccoli centri abitati lontano dai grossi centri urbani dove la luce o qualsiasi altro servizio come la semplice fornitura dell’acqua, per esempio, sono solo miraggi.
 
Che importanza rivestono le comunità religiose? 
Purtroppo non ho avuto modo di approfondire in tal senso. In Myanmar esiste la libertà di culto e, infatti, all’85% dei buddhisti theravada si affiancano minoranze che professano il cristianesimo, l’induismo, l’islamismo e il buddhismo, ma sfortunatamente, vista anche la complessità dell’argomento non ho sufficienti informazioni per poterle rispondere.
 
Come è nata l’idea dei Diari di Andrea Burrini? 
Beh, ho cercato solo in modo “semplice” e senza pretese di rimanere in contatto con gli amici e con la mia famiglia, sfruttando un comune canale di informazione. Non sono uno scrittore e non mi posso di certo vantare per i miei articoli che spesso sono una semplice trascrizione oggettiva delle mie esperienze.
Ho notato solo più tardi che qualcuno ha cominciato leggere con interesse questi miei scritti, che di certo non sono nati con l’intento di una vera e propria “diffusione”, ma mi fa comunque piacere.
 
Ho però intenzione di organizzare qualcosa in merito. Stiamo attrezzando un nuovo sito, per Moses, dove spero di riuscire a fare una comunicazione, un po’ più “tematica” e un po’ più “sensata” anche se ci vorrà ancora del tempo. Siamo ancora molto impegnati con gli attuali progetti e il tempo a disposizione è quello che è. Abbiamo acquisito tantissime informazioni nelle nostre missioni che è un peccato non poterle comunicare. Abbiamo tantissimo materiale, ci manca solo un po’ di tempo in più.
 
A questo mondo consumistico, la sua riflessione ? 
La mia riflessione nasce abbastanza “spontanea” e forse un po’ “istintiva”.
Quando si parla di povertà o di forme ad essa associate, potrei dire che un conto è “pensarla” ed un conto “viverla”.
 
Stare a contatto con questa gente, è stato ed è uno stimolo per comprendere meglio anche le nostre “insoddisfazioni” e debolezze. Anche in Thailandia, come in Birmania la povertà in un certo senso “tortura” ma unisce e stimola l’essere umano a migliorarsi anche in ambienti dove non c’è assolutamente nulla.
Ricordiamoci che qui in Birmania, come in tanti altri paesi, la gente soffre, spesso muore di comuni malattie. Attualmente ci sono 1,2 miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, mentre circa metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari al giorno.
 
Io penso che dovremmo cercare di essere un po’ più soddisfatti e felici di quello che abbiamo anche per rispetto, per coloro che hanno lottato e sofferto, per darci questo. Ma ancora per rispetto verso chi, ancora oggi sta lottando cercando di costruirsi una vita migliore. Perchè questa è la realtà, e non un telefilm.
 

Commenti all'articolo

  • Di milansei (---.---.---.119) 19 aprile 2009 16:26

    io ho visitato la birmania la prima volta nel 1997 come turista indipendente.
    da allora ci sono andata tutti gli anni ,conosco tante persone e ne ho aiutate altrettante, ad alcune ho trovato lavoro in italia e le ho aiutate a venire e vivono con me, l’anno scorso (settembre2008)ho distribuito personalmente a circa 1000 persone che vivono nei sobborghi di yangon 20q, di riso direttamente nelle loro mani,
    ritengo la birmania la mia seconda casa, ringrazio le persone che li ho conosciuto,che non hanno niente ma mi hanno dato tanto.
     Milansei (questo nome me l’hanno dato loro)

    • Di (---.---.---.40) 27 maggio 2009 22:07

      credo che basterebbe veramente poco per aiutare questa gente... ci vuole solo un pò di volonta’... mescolata ad un pizzico di cuore... e gli "effetti" farebbero aprire tanti altri "cuori"....

  • Di (---.---.---.3) 12 marzo 2014 04:52

    Ciao sono Giovanni e vorrei sapere come funziona qesta associazione , in quanto ho deciso di andare in birmania ad aiutare le persone bisognose , sono abbastanza forunato in quanto ho delle aziende e quindi un buon guadagno , ma devo staccare un po la spina e ho deciso di prendermi un po di tempo x dedicare alla birmania o thailandia e aiutare il prossimo.

    se potete indirizzarmi o aiutrvi a dare una mano sono molto contento .
    contattatemi a : [email protected]

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