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La politica ha fallito. Monti faccia quello che deve fare

Trento - Si dice che il tempo è tiranno, c’era tanta di quella fretta di liquidare il governo Berlusconi che sembrava stesse bruciando e andando tutto a rotoli, è dallo scorso 16 novembre che Mario Monti è Presidente del Consiglio e non sembra che vi siano state eclatanti manifestazioni di bacchette magiche.

Un governo tecnico, vogliamo ripeterci, ha una sola certezza: il fallimento della politica. Quindi tutti quei sorrisini di compiacenza di certi politici sono deleteri e mortificanti per il popolo italiano (la parola popolo alla politica fa sempre paura chissà perché?). Inoltre notiamo con quanto entusiasmo sono accolte le parole del Presidente Napolitano per il richiamo ad una politica di responsabilità, peccato che sono le stesse parole che il Presidente aveva rivolto per mesi, guarda caso ai medesimi politici.

Del governo tecnico di Mario Monti non ci aspettiamo molto, le danze delle trattative sono aggrovigliate e più tempo, passa più perde autonomia, e il rischio, molto alto, è di ripetere la solita messinscena del bisogno, della necessità, dell’urgenza, del bene del paese che poi significa nuove tasse. Però a pagare, come al solito, è sempre il “popolino”, quello più debole.

Il rischio di Monti e della politica è che non riesca a vedere e sentire il reale problema della motivazione della crisi italiana, quello dei costi e dello spreco del “Capitale Italia”. Perciò ci aspettiamo che Monti faccia quello per cui è stato scelto di fare, cioè quello che la politica non è stata capace di compiere: tagliare i costi della politica, eliminare i vitalizi, diminuire i parlamentari, eliminare gli sprechi della burocrazia, svolgere una economia accorta del bene pubblico, con decisioni immediate non a qui, a cinque, dieci o vent’anni.

Ogni altra decisione non è altro che un palliativo per non affrontare seriamente i problemi, non è altro che rinnovare il circolo vizioso dell’ennesima stangata a pagare come al solito è il popolo. Ma si faccia attenzione, tassare e ritassare è un boomerang molto negativo che non porta benessere, non procura crescita, non crea sviluppo, quindi non si produce e non crea lavoro. 

Poi, non dimentichiamo la legge elettorale che se proporzionale deve avere almeno lo sbarramento del 5%, altrimenti vuol dire tornare indietro di vent’anni. Il problema pensioni, è dal 1996 che si rincorre su questo tema, divenendo di volta in volta la favola del problema italiano. Forse basterebbe semplicemente saper trasmettere il messaggio con chiarezza.

Ci proviamo: se non c’è lavoro e i giovani difficilmente riescono ad avere un lavoro a tempo indeterminato prima dei trent’anni, quindi quarant’anni di contribuzione per una normale pensione, il lavoratore non raggiunge i settant’anni di età per andare in pensione? Per cui si decida che ad andare in pensione ci vogliano i sessantancinque anni per tutti, se non si hanno gli anni di contribuzione, la pensione sarà, naturalmente, minore.

Poi, si lasci che dopo i sessantacinque anni o i quarant’anni di contribuzione vi sia libero rapporto tra lavoratore e azienda se continuarlo o no. Allora da anni di cosa stiamo parlando? Forse si preferiscono le complicazioni?

E il governo Monti, a proposito, sembra rivolto alla chiarezza; apprendiamo della notizia che a partire dal gennaio 2012 si passerà tutti al sistema retributivo, sperando che si metta fine a questo sciacallaggio che dura da quindici anni. Monti può fare quelle scelte importanti (che la politica non è stata capace di fare), dare corso alle riforme e alle liberalizzazioni e traghettarci verso la Terza Repubblica, ci auguriamo che sia la volta buona, lasciando il suo nome nella storia della Repubblica italiana, altrimenti sarà uno dei tanti, maciullato nel tritacarne della vecchia politica.




 

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