India in affanno: il Pil ai minimi dal 2009
La crescita dell’economia indiana continua a rallentare in maniera inesorabile, intanto la rupia è ai minimi storici e l’esecutivo di Singh non riesce a superare l’impasse.

Nel corso degli anni novanta, l’India ha vantato una crescita media annua pari al 6%, ulteriormente consolidatasi con l’inizio del nuovo secolo, che, dal 2000 al 2008, ha dato il via a un trend positivo con un tasso di crescita medio del Pil del 7,2%.
Dopo lo scoppio della crisi economico-finanziaria globale, nel 2008, cui il paese del kathakali ha saputo far fronte in maniera decisa soprattutto grazie alla domanda interna, principale motore dell’economia nazionale, nell’anno fiscale 2010-2011 la crescita del Pil indiano si è attestata al 8,4%.
In seguito, i grafici hanno cominciato a mostrare un calo inesorabile e continuo del tasso di crescita, fino ad arrivare ai dati resi noti venerdì scorso, che nel secondo trimestre dell’anno evidenziano una crescita del Pil pari al 4,4%, in netta discesa dal 4,8% del trimestre precedente.
Una perfomance inferiore anche alle attese degli economisti, che si aspettavano un aumento del Pil del 4,6%. La débacle del secondo trimestre costituisce la più debole espansione economica dal 2009, mentre la produzione industriale registra un calo dell’1,2%, rispetto a un anno fa.
Inoltre, nella sua persistente fase regressiva, l’economia indiana si trova a dover fare i conti con un costante deterioramento del deficit di bilancio.
Secondo gli analisti finanziari, la relativa debolezza del sistema economico indiano è riconducibile al calo degli investimenti, all’inflazione che resta alta e a una riduzione delle esportazioni verso i paesi più sviluppati.
Tuttavia, il primo ministro Manmohan Singh ha più volte ribadito che l’India ha fondamentali economici solidi e il deprezzamento della rupia potrebbe rendere più competitive le esportazioni. È però evidente che Nuova Delhi dovrà necessariamente farsi carico di questa situazione.
Soprattutto, in considerazione del fatto che il calo delle quotazioni della moneta indiana si sta spingendo troppo in avanti: nelle ultime settimane nessuna valuta ha fatto peggio della rupia, che ad agosto ha evidenziato un calo dell’8% nei confronti del dollaro, il peggior risultato dal marzo 1992.
La divisa del subcontinente è una delle più penalizzate dei mercati emergenti dall’imminente avvio del processo di tapering (la riduzione graduale del piano di iniezione monetaria) da parte della Federal Reserve.
I timori che l’agenzia di Washington possa ridurre a breve gli stimoli monetari, hanno di fatto indotto molti fondi globali a ridurre l’esposizione verso i titoli indiani e hanno favorito la massiccia fuga di investimenti stranieri.
La debolezza della rupia indiana ha ripetutamente costretto la Reserve Bank of India (Rbi), la Banca centrale del paese, a mettere mano alle riserve di valuta estera, vendendo dollari e acquistando rupie che in tal modo fuoriescono dal sistema finanziario, vanificando gli sforzi compiuti per accaparrare risorse.
La Rbi sembra essere più che complice di questo peggioramento economico. Per combattere l’aumento dei prezzi, la crisi del debito nell’Eurozona e la netta contrazione in materia di investimenti stranieri, la Banca indiana ha aumentato i tassi d’interesse in maniera esponenziale.
Tuttavia, la Rbi ha dato la sua disponibilità a ridurre i tassi, a condizione che il governo riesca ad arginare il deficit del budget indiano.
Secondo Sukhamoy Chakravarty, docente presso il Centro di studi economici dell'Università di Nuova Dehli, la rapida crescita economica indiana è stata alimentata dal settore privato con tecnologie che divoravano capitali ma non creavano impiego, facendo crescere il divario socioeconomico e rendendo di conseguenza tale crescita insostenibile.
L’opinione dell’economista indiano è confortata dal fatto che l’India ha visto la maggioranza dei suoi abitanti vivere in condizioni di indigenza, sin dal tempo dell’indipendenza, ed il suo tessuto sociale è sempre stato percorso da profonde diseguaglianze, specialmente in tema di reddito.
Tutto ciò potrebbe determinare il rischio di rivolte da parte di una grande fascia di popolazione, prevalentemente costituita da giovani, alla quale sono preclusi i benefici dello sviluppo economico.
Il persistente calo della crescita del Pil dell’India sta dimostrando la fragilità della sua economia, che ha bisogno di ulteriori riforme per potenziare la propria capacità, poiché gli scandali legati alla corruzione e la mancata approvazione di alcune proposte politiche stanno pesando sulla sostenibilità dell’economia nazionale.
Nei fatti, le proposte avanzate a più riprese dal governo di Manmohan Singh sembrano rispondere ai “suggerimenti” fatti dalla Banca centrale indiana. Per il momento, però, si tratta perlopiù di riforme mancate.
Tra le quali spicca la legge anticorruzione (Jan Lokpal bill), attesa da 44 anni, che consentirebbe ad un organo istituzionale indipendente di indagare e perseguire tutti gli esponenti degli uffici pubblici del paese, dal funzionario locale al primo ministro. Una misura fondamentale per la credibilità del governo e più volte non approvata per un soffio.
Potrebbe invece avere una ricaduta positiva, dal momento che la difficoltà nell’acquisire i terreni necessari all’espansione industriale è uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo dell’economia indiana, la recente sostituzione del regolamento sull’acquisizione di terre, in vigore dal 1894, con la nuova legge denominata “Land Acquisition, Rehabilitation, and Resettlement”.
La normativa, approvata giovedì scorso dalla Camera del Popolo, prevede che l’acquisizione di terreni per lo sviluppo di un progetto economico sia salvaguardata da un consenso di almeno l’80% dei proprietari interessati e da un considerevole aumento dei risarcimenti in caso di esproprio.
Nel complesso, però, i pacchetti di incentivi per l’economia varati finora dal governo sono risultati inefficaci a causa delle fragilità strutturali del sistema finanziario interno, incapace di fungere da reale intermediario per il settore privato e di garantire una peculiare redistribuzione dei proventi delle attività produttive.
È ormai evidente che per rispondere in maniera adeguata alle crescenti pressioni dei mercati, il Congress di Singh non potrà prescindere dall’introduzione di rapide e adeguate riforme.
Foto: Dylan Walters/Flickr
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