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Ilva. Cosa c’entra l’etica con l’economia? C’entra, c’entra...

 

Oggi l’Ilva di Taranto è diffidata dalla magistratura dal continuare a produrre in modo incompatibile con la salute degli operai, dei cittadini di Taranto e di un vasto territorio dove si producevano ottime cozze e allevamenti di bestiame, attraverso un ordine di sequestro degli impianti a caldo che devono essere spenti per provvedere a installare sistemi di contenimento degli inquinanti.

Dopo i casi di cancro (30% in più della media nazionale), con centinaia di morti (anche bambini), dopo il ritrovamento della diossina nelle cozze e nei formaggi degli allevamenti vicini, dopo l’abbattimento di migliaia di capi di bestiame ammalati, quale è stata la risposta dell’azienda, dei partiti, della Regione?

Il silenzio. Comprato dai dirigenti dell’Ilva a tutti i livelli, dal finanziamento al PD (98.000 euro) e al PDL (150.000 euro), alle mazzette al consulente della Procura, alla pianificazione per una stampa compiacente e omertosa con la minaccia di tagliare la lingua ai cronisti scomodi. Questo silenzio è durato ben 30 anni. La Chiesa poi, nella sua migliore tradizione sta sia dalla parte degli inquinati che da quella degli inquinatori.

E dopo il silenzio, rotto dall’azione penale della magistratura, ecco ricompattarsi il fronte dell’omertà che dà addosso ai magistrati che vogliono fermare l’economia, togliere lavoro agli operai, far morire di fame migliaia di famiglie, fronte appoggiato dai sindacati CISL e UIL, tradizionali servi dei padroni.

La cosa più mostruosa che emerge da questa storia è l’assoluto disprezzo per la vita umana e per l’ambiente, sacrificabili tranquillamente in nome del profitto privato, da parte di persone che ben sapevano di sacrificare vita e altri comparti economici, visto l’impegno e i soldi che mettevano per non fare uscire i dati su inquinamento e mortalità.

In un paese con il 90% di cattolici e una Chiesa che difende la vita perfino dei feti surgelati, è incredibile constatare quale diffusa mancanza di etica vi è nella città di Taranto, nella Regione Puglia fino a Roma, dove non si difendono la vita e la natura, anche se così violentemente e visibilmente attaccate.

Ma vi è un’altra riflessione da fare: i furbi che si sono comprati il silenzio delle istituzioni e della informazione sono consapevole del fatto che l’attività di questa acciaieria ha prodotto più danni che profitti, e che i padroni dell’Ilva se fossero condannati a risarcire i danni alle persone e all’ambiente finirebbero alla mensa della Caritas?

Probabilmente Taranto resterà con l’Ilva chiusa e il territorio inquinato perché i soldi pubblici sono finiti e gli inquinatori la fanno sempre franca con collegi di avvocati, tempi infiniti, prescrizioni quasi sicure. In Germania le acciaierie rispettano le regole ambientali, le istituzioni controllano, gli operai sono ben trattati, partecipano anche alle decisioni aziendali (vedi Volkswagen), e una diffusa etica protestante concorre al rispetto della legalità, con la conseguenza di un successo economico.

L’etica conta eccome, anche in economia, e rispettare l’ambiente e la vita dei lavoratori, a conti fatti, è un affare anche economico, ed è lo spartiacque tra un paese civile e la barbarie di una economia che uccide persone e ambiente sapendo di farlo.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.220) 20 agosto 2012 19:44

    Taranteide >

    Quello di Taranto, nato nel 1960, è il più grande polo siderurgico europeo. Non è certo “unico” nel suo genere e non serve scomodare la Consulta per presunti conflitti di attribuzione.
    L’attuale controversa vicenda, fissati i parametri di sicurezza e di tutela ambientale da rispettare, in tutta la sua complessità ha una sola utile prospettiva di soluzione.
    Realizzare nell’immediato un assetto produttivo “transitorio” tale che risulti sia compatibile con le prescrizioni di legge, sia funzionale ai necessari interventi di adeguamento strutturale.

    Decidere di fermare la produzione, anche per poco tempo, sarebbe “insensato” tanto quanto asserire che è ingestibile una qualche modalità d’uso di impianti/attrezzature senza un ulteriore “pericoloso” inquinamento.
    Conclusioni “sconcertanti” sotto il profilo tecnologico visto il gran numero di analoghi siti oggi regolarmente in esercizio.

    C’è di più.
    Da un lato si rischierebbe di “decretare” la progressiva chiusura dell’attività e, con essa, il rinvio “sine die” delle opere di risanamento ambientale.
    Dall’altro, progettare una riconversione industriale dell’intera area sarebbe un’opera ciclopica dagli esiti pressoché “indefiniti”. Pesante ed immediato sarebbe, viceversa, il costo socio-economico delle ricadute negative sulla collettività.
    NB > L’enfasi “mediatica” privilegia gli ingredienti emotivi quando manca la Legenda per un Delitto

  • Di (---.---.---.107) 21 agosto 2012 11:32

    Forse il legame c’è ed è che anche l’ etica può diventare business. Qualcuno diceva che a pensare male si fa peccato ma ci si indovina. L’ inquinamento della acciaieria di Taranto è sulle pagine dei giornali da qualche decennio e dell’ inquinamento si sa da qualche decennio, ma nessun giudice aveva ritenuto di bloccare gli impianti, mentre ora questo sta capitando. Come mai? Possibili risposte:
    1) la giustizia è lenta e i giudici a volte sono pigri
    2)questo giudice ha avuto il coraggio che altri non hanno avuto (e infatti è una donna)
    3)chi ci aveva provato prima di questo giudice era stato "convinto" che era meglio di no
    4)ora che di 5 impianti ne rimane attivo solo 1 per motivi di mercato nessuno ha provato a "convincere" che era meglio non fare nulla
    5)ora il business non più che l’ acciaio, sarà il risanamento. E’ un bellissimo business stimato in alcune centinaia di milioni di euro e, se le previsioni le hanno fatte come per la TAV, diventerà qualche miliardo di euro quasi tutti pubblici (paga pantalone) e a debito. Una cifra tale da far leccare le orecchie a qualche gruppo industriale e politico e sindacale. Se poi in parallelo si continua a fare qualche utile (privato) vendendo ferro… ancora meglio. Anche perché risanare mentre si continua a produrre costerà molto di più.

    Una domanda: ma se è lo stato che deve risanare coi soldi dei contribuenti, è giusto che la fabbrica ed i suoi utili vadano ad un privato che continua a rimanere proprietario?

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