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Il secolo dei fumi

Il secolo dei fumi

Se il Settecento è stato definito, sebbene in certi casi impropriamente, <il secolo dei lumi>, in modo assai più calzante potremmo denominare questo nostro tempo <il secolo dei fumi>, soprattutto a causa delle illusioni della società, di quella superstizione del progresso che ha talmente drogato le menti da impedire che esse si rendano conto della realtà effettiva. Un progresso qualsiasi, un miglioramento delle condizioni di vita presupporrebbe una concreta aderenza alla realtà; ma i più, posseduti da una mania edonistica ed ottimistica, fanno del loro meglio per sottrarsi alla realtà.
 
Il genere umano non sarà mai in grado di appagare interamente la sua esigenza di giustizia e di libertà, e perciò nessuna costituzione può avere la pretesa di incarnare la perfetta legalità. A questa insufficienza organica della vita associata occorre aggiungere gli effetti disastrosi che in Italia ha prodotto una parvenza di democrazia, continuamente condizionata dalla pressione delle oligarchie e dal prepotere dei sindacati e dei partiti.
 
Una forma di subdolo totalitarismo scaturisce dalla struttura stessa di questa democrazia nella quale è destinata a prevalere la quantità sulla qualità ed il principio di tolleranza tende a trasformarsi in indifferenza, impedendo ai gruppi di minoranza di svolgere un’azione politica diretta ed efficace.
 
I motivi di critica e dissenso delle minoranze risultano praticamente irrilevanti di fronte ad una maggioranza politica amorfa, di fronte alla propaganda ufficiale, che ha in mano tutti gli strumenti (stampa, radio, televisione) adatti a garantire o a convalidare le sue preferenze e ad imporre i suoi modelli di sviluppo. Perciò cerca sempre di impedire ad essi ogni pensiero indipendente; li protegge, a condizione che si comportino come pecore o automi.
 
Il problema delle minoranze rimane incontestabilmente alla base di ogni costituzione democratica, dove la volontà della maggioranza è decisiva e fa legge. Il mito del progresso urta perciò contro una realtà di fatto irrefutabile. Perché nessun progresso sarà possibile, fino a quando nella società avranno efficienza impulsi settari e particolaristici e i tessitori di fumo non saranno sfiorati dal dubbio che la realtà sia così crudamente discorde da quanto essi vanno predicando. Chi potrà mai guarirli dalle loro illusioni? Pochi di essi sono consapevoli del fatto che tante promesse di rinnovamento sociale non sono altro che menzogne ufficiali.
 
Quale garanzia può avere oggi il cittadino della propria sicurezza ed incolumità, con una legislazione sempre più blanda ed arrendevole; quale fiducia può avere della giustizia, quale certezza del diritto, di fronte ad una magistratura politicizzata e spesso più settaria della classe politica?
 
Un diverso atteggiamento non muterebbe comunque il quadro della situazione, nella quale la malavita va allargandosi in cerchi sempre più ampi, operando in quasi tutte le parti della penisola. La persistenza e la crescente diffusione della criminalità hanno creato nel corpo sociale una sorta di assuefazione e di acquiescenza.
 
Sebbene si vada proclamando con molto sussiego la rinascita della società civile, tutti i progetti di rinnovamento ed i propositi di riforma sociale o economica di questi apostoli democratici si sono rivelati fallaci o illusori. Infatti il limite invalicabile di una seria, credibile e concreta programmazione economica si è manifestata come l’impotenza dello Stato ad aumentare il livello di occupazione e ad incrementare la produzione, senza tener conto della concorrenza straniera e senza tentare di stabilire un equilibrio tra l’economia interna e quella dei paesi
concorrenti.
 
Né occorrono molte parole per dimostrare l’inadeguatezza della riforma scolastica, complessivamente presa, dove gli errori d’impostazione e di prospettiva sono stati ancora più marchiani. La nuova pedagogia è caratterizzata da dati antropologici e sociologici poco attendibili, se non proprio paradossali. Nel quadro della pedagogia sociale sono state giudicate irrecuperabili le tradizionali strutture scolastiche, le quali hanno subito trasformazioni tanto disordinate e balorde quanto spavalde. La funzione e la dignità del docente sono state quasi completamente esautorate e l’alunno ha acquistato, più che l’autonomia, un arbitrio assoluto, tanto che nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università si vedono frequentemente i professori sbeffeggiati, insultati, vilipesi, umiliati. I programmi di studio e gli esami sono diventati una farsa.
 
Alla carenza delle strutture e ai numerosi problemi che affiorano ogni giorno nessuno sa provvedere. I ministri promettono sempre interventi e salutari rimedi; ma non accade mai nulla.
 
La scuola in fondo riflette il grave malessere che pervade la società tutta e le diverse forme di attività. Le poche istituzioni che erano riuscite in qualche modo a resistere alla corruzione vanno deteriorandosi di giorno in giorno, e ormai si può dire che non esiste una sola di esse che non sia snaturata e degenerata. Gli uomini politici hanno dimostrato, in genere, una inettitudine sbalorditiva. Questa diagnosi è senza dubbio amara e sconfortante, e molti crederanno assai facile liquidarla con la taccia di pessimismo. Può darsi che la verità, anche in questo caso, non giovi, essendo preferibile ad essa la menzogna.
 
Ma, se per citare un esempio, lo statuto della Regione Puglia prevede un numero di 70 consiglieri, mentre la legge elettorale pretende che il criterio sia elastico e se ne eleggono 78, creando così incertezza del diritto e caos istituzionale, donde può arrivare la speranza di salvezza e di un avvenire migliore per i cittadini di questo paese?
 
Prima bisognerebbe smettere di sognare un mondo perfetto; e poi evitare di prometterlo o farlo credere agli altri, ai gonzi, agl’ingenui. E riacquistare la consapevolezza che dalle crisi, dai guai non si esce senza la volontà di rimboccarsi le maniche, di agire ispirati da solidi e realistici principi morali.

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