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Il male oscuro della Pubblica Amministrazione

L’attuale distribuzione delle risorse nella Pubblica Amministrazione è organizzata come una “macchina degli sprechi”, penalizza i “virtuosi” sperperando le risorse. Bisogna assolutamente innovare se si vogliono conservare i servizi forniti.

C’è almeno un elemento che accomuna tutte le organizzazioni della nostra società: il miglioramento continuo. Lo sanno bene tutti gli operatori di qualunque azienda privata che costantemente si vedono costretti a studiare la concorrenza, a inventare nuovi prodotti o servizi con costi o prestazioni migliori dei precedenti, lo sanno bene ad esempio i fornitori del settore auto, che a fronte di accordi pluriennali devono mettere sul piatto della bilancia prezzi tendenzialmente decrescenti. Ma lo sanno bene anche i consumatori finali che vedono migliorare le prestazioni di prodotti e processi a costi calanti. In definitiva qualunque organizzazione che non consideri il miglioramento continuo come una parte fondamentale del proprio esistere è destinata alla morte.

Lo sanno bene tutte le organizzazioni private dicevamo, ma non quelle pubbliche. Forse perché, come dice K. Rogoff dell’università di Harvard in un recente articolo del Sole24 Ore, i servizi offerti dalle organizzazioni pubbliche, scuole, ospedali, sicurezza, sono prevalentemente ad alta concentrazione di manodopera dove l’innovazione non ha operato gli stessi effetti riscontrati invece in altri campi, ad esempio quello manifatturiero. Gli ospedali o le scuole di oggi infatti, assomigliano piuttosto a quelle degli anni 50, molto più che una catena di montaggio o molto più di un’azienda produttiva in genere che nulla ha a che vedere con prodotti, processi o organizzazione di allora. Sottolinea inoltre Rogoff che la mancanza di concorrenza ha poi fatto il resto. Una cosa è però altrettanto certa, i cittadini non vogliono in alcun modo rinunciare a servizi ormai acquisiti, ne consegue che i costi associati sono destinati ad aumentare, come del resto la storia insegna, e oggi, in media, rappresentano il 70% della spesa statale. Un problema che nel nostro paese è addirittura epidemico a seguito della disinvolta gestione della finanza pubblica che ha provocato danni incalcolabili alle finanze statali con disavanzi di bilancio miliardari. Un esempio per tutti è la sanità della regione Lazio.

Il problema di questa voragine nasce, come si diceva, dalla mancanza di concorrenza, dall’assenza di qualunque indicatore di efficienza e confronto con altri fornitori di servizi similari, cosa che ha portato a procedere utilizzando i famosi “costi storici”, un principio secondo il quale si accetta e si autorizza a spendere conformemente a quanto si è speso negli anni precedenti. In altre parole il trionfo dell’appiattimento organizzativo, una perfetta macchina degli sperperi che premia i peggiori i quali si vedranno assegnare più soldi per servizi inferiori, un principio che ha in sé la mancanza di stimoli a eliminare gli sprechi e a responsabilizzare i managers pubblici. In definitiva l’assoluta assenza di qualunque elemento del famoso “miglioramento continuo”, anzi una ottima organizzazione volta al “peggioramento continuo”. Un fatto questo che recentemente Monti ha evidenziato parlando proprio della sanità pubblica. Se infatti il costo medio di una degenza in Campania è circa il doppio che il Lombardia, è sacrosanto dovere di un amministratore porsi qualche domanda, e trovare qualche risposta.

Risposta che non significa “smantellare” la pubblica assistenza, come alcuni hanno faziosamente e rumorosamente suggerito, ma che, ad esempio, passa attraverso l’applicazione dei famosi “costi standard” dove cioè viene autorizzata la spesa per un servizio al miglior costo riscontrato. Se, in altre parole, il miglior costo di una degenza ospedaliera viene riscontrato, supponiamo, nel Veneto, ebbene quel costo dovrà essere applicato su tutto il territorio nazionale. Parimenti per gli acquisti di beni e servizi. Questo significa che gli amministratori dovranno gioco forza massimizzare l’efficienza almeno pari al “benchmark” cioè al riferimento, contenere gli sprechi e pure i clientelismi pena ridurre i servizi ai cittadini in ambito locale. Chi non riesce può pure accomodarsi, lo decideranno gli elettori. In questo modo pure gli eventuali “tagli” di bilancio non saranno più “lineari” come oggi succede, penalizzando di fatto i “virtuosi”, ma si abbatteranno maggiormente proprio sugli sprechi. Un modo questo serio e professionale per responsabilizzare gli amministratori e gestire correttamente la “res publica”, ma come si può immaginare anche un modo per provocare la già accennata “levata di scudi” da parte dei conservatori che preferiscono non mettersi in gioco aumentare piuttosto la spesa, con tutto il gravame di sprechi connesso, pur di non perdere la succulenta occasione di sguazzare nell’inefficienza sulle spalle dei contribuenti.

Queste sono le riforme di cui il paese ha bisogno, senza se e senza ma, questo è ciò che ci farà uscire dalla crisi e guardare avanti, altro che abolizione dell’IMU.

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