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Il caso Venezuela-Cinque Stelle, ovvero l’«ABC» della disinformazione

Il caso del presunto finanziamento del Movimento 5 Stelle a opera del governo venezuelano è scoppiato come un petardo nel panorama politico italiano, ma non sembra essere stato preso molto sul serio dalla maggior parte dei commentatori e neanche dalla magistratura, che ha comunque aperto un’indagine. 

di Cristiano Dan

Con l’eccezione degli esponenti della destra, Salvini e Meloni, nelle parti di tenore e di soprano, con accompagnamento dei coristi e delle coriste di Forza Italia: tutti personaggi interessati, com’è ovvio, alla caduta del governo, e pertanto ben disposti ad aggrapparsi a qualunque pretesto, anche bislacco, anche farlocco (com’è il caso del “documento” a sostegno dell’accusa), pur di sollevare un polverone. Al quale polverone ha voluto dare il suo piccolo contributo (a quanto sembra, e fino a prova contraria) anche un transfuga dei Cinque Stelle, Giovanni Favia, già consigliere regionale in Emilia-Romagna dal 2010 al 2014 e ora datosi alla ristorazione.

Il “decisivo” contributo di Favia. Favia ha infatti dichiarato a un giornalista di «Repubblica» [1] di aver ricevuto nel 2010 una mail «ufficiale» di un «diplomatico venezuelano» («non ricordo se fosse firmata da Giancarlo Di Martino [il console del Venezuela a Milano, che aveva preso servizio nel marzo di quell’anno]», con la quale, secondo Favia, i venezuelani «erano interessati a conoscere il nostro movimento e a prendere contatti». Sempre secondo Favia, «non avevano idea di come funzionasse il movimento, perché cercarono me: lo fecero soltanto perché io ero il più esposto e andavo in tv». Quella mail, dice Favia, ce l’ha ancora nei suoi «hard disk in cantina».

In attesa che Favia tiri fuori la mail dalla cantina, nella quale comunque, dice lui, non si parlava affatto di soldi, ci si può porre qualche innocente interrogativo.

A quell’epoca il Movimento 5 Stelle aveva sì fatto il suo primo exploit alle regionali, ma non appariva ancora come una forza politica tale da suscitare un interesse così urgente, sembrerebbe a prima vista. Ma non sapendo come ragionano i «diplomatici venezuelani», ammettiamo pure che ci sia stata una certa urgenza, nonché improvvisazione, e nella fretta di prendere contatti (Favia non fornisce date per la mail, ma essendosi le elezioni tenute il 28-29 marzo, questa dovrebbe risalire, al più presto, ai primi giorni di aprile) si sono rivolti a chi? A chi era più «esposto» e «andava in tv». Strani diplomatici, che guardano la tv (neanche tutti i giorni) e non leggono i giornali. Perché è evidente che anche un diplomatico dal QI vicino allo zero non avrebbe potuto ignorare che il Movimento 5 Stelle aveva due esponenti di primo piano, due fondatori, Grillo e Casaleggio, che avevano pubblicamente e solennemente presentato il movimento il 9 settembre 2009, a Milano. Perché allora non cercare contatti direttamente con uno dei due? Non ne possedevano le mail, a differenza di quella di Favia? Certo, tutto è possibile, ma qui si sfiora la farsa. Per terminare nel grottesco, però. Infatti Favia dice di aver «dirottato» i diplomatici «verso la Casaleggio», e questo si suppone sia avvenuto sempre in aprile. E nel giro di poche settimane (il documento farlocco dice che il versamento dei soldi avvenne in quel «verano», in quell’estate) i servizi di intelligence venezuelani passano dall’ignoranza più completa riguardo ai Cinque Stelle a una conoscenza così profonda da versargli una somma non proprio trascurabile, tre milioni e mezzo di euro in contanti…

La fabbrica della disinformazione. Ci sono spy-stories meglio costruite, ma la fonte di questa, l’incartapecorito quotidiano spagnolo «ABC», monarchico e ultrareazionario, non è nuova a simili operazioni. Tutti o quasi i quotidiani italiani che si sono occupati del caso hanno richiamato il precedente del presunto finanziamento di Podemos da parte del Venezuela, e quasi sempre senza accennare al dettaglio che per ben cinque volte il Tribunale supremo spagnolo ha stabilito che il fatto non sussisteva, né accennando all’altro dettaglio che la fonte, o quantomeno il veicolo, di tale accusa era il solito «ABC», né ricordando che anche in quel caso il documento esibito come prova era stato giudicato palesemente falso.

Chi e come mette in circolazione questi falsi? Nel caso di Podemos fu un settore della polizia spagnola all’epoca del governo di Mariano Rajoy. Il quotidiano spagnolo «El País», che di tutto può essere sospettato salvo che di nutrire la pur minima simpatia per Podemos, giusto un anno fa ha ricostruito quei lontani fatti, intervistando l’ex ministro delle Finanze del Venezuela, Rafael Isea, l’uomo che aveva avallato il documento farlocco pubblicato da «ABC» [2].

«Nell’aprile del 2016», scrive dunque il quotidiano, «tre agenti della Policía Nacional si recarono a New York per incontrare Isea, che partecipò al sollevamento militare del 4 febbraio 1992 ed era stato ministro delle Finanze di Hugo Chávez nel 2008 [3], con l’intenzione di fargli avallare l’autenticità di una copia di un documento che riferiva di un pagamento del Governo venezuelano a favore della fondazione CEPS, precursora [secondo il quotidiano] del partito spagnolo [Podemos] [4]».

Stando a quanto scrive il giornalista del «País», Isea esaminò la «copia» del documento (non l’originale), riconobbe l’autenticità delle firme, la sua e quella di Chávez, ma espresse alcuni dubbi sul documento stesso. Innanzi tutto, non capiva come il documento emanasse dal suo ministero, visto che questo non s’era mai servito della CEPS, e non aveva quindi senso che le spese (4.480.700 euro) figurassero a suo carico; in secondo luogo, il documento era datato 28 maggio 2008, giorno in cui Isea non si trovava a Caracas, ma era impegnato nelle elezioni per il governatore di Aragua; in terzo luogo, nel documento si chiedevano fondi per il 2008, 2009 e 2010, cosa non consentita dalla legislazione venezuelana. Nonostante i suoi dubbi, comunque, Isea avalla il documento. Perché? Perché, dice, l’incontro avveniva nel consolato spagnolo, ed era quindi convinto che l’iniziativa fosse “ufficiale” e soprattutto perché gli erano stati garantiti il traferimento in Spagna, assieme alla sua famiglia, e la concessione della nazionalità spagnola. Inoltre, gli era stato garantito l’anonimato.

Ottenuto l’avallo di Isea, i tre poliziotti se ne vanno, si fanno risentire telefonicamente per convincere Isea a introdurre nella sua dichiarazione anche i nomi di Pablo Iglesias, Juan Carlos Monedero e Jorge Vestrynge, ma hanno fretta e si eclissano del tutto.

Da cosa dipendeva questa fretta? Si era nell’aprile 2016 e in giugno vi sarebbero state le elezioni legislative in Spagna, e secondo i sondaggi Podemos sarebbe diventata la seconda forza politica del Paese. Di qui l’urgenza di usare il documento farlocco, che infatti in maggio finisce “inspiegabilmente” nelle mani di certa stampa (e qui ritroviamo «ABC»), con tanto di nome e cognome del poco onesto e ingenuo Isea.

Particolare non secondario: uno dei tre poliziotti che truffarono Isea, José Ángel Fuentes Gago, farà carriera, fino a un certo punto, nella polizia spagnola, o per meglio dire in quel settore della polizia spagnola, noto come “policía patriótica”, interamente al servizio del Partido Popular, con il compito, tra l’altro, di fabbricare documenti falsi contro gli avversari politici. Alcuni dei suoi principali esponenti stanno giusto affrontando in questi giorni un processo a Madrid, con l’accusa di aver montato una “Operación Cataluña”, con l’obiettivo di colpire il secessionismo catalano [5].

Documenti falsi e documenti veri. Un’ultima osservazione. «ABC» si nutre di documenti falsi, ma trova indigesti quelli veri. Mentre infatti questo giornale da una parte montava la panna del caso Venezuela-Cinque Stelle, dall’altra scendeva cavallerescamente in campo in difesa di un uomo che da sempre era stata una delle sue bestie nere, Felipe González, l’ex dirigente e “padre nobile” del PSOE. L’occasione era offerta dalla declassificazione di un documento della CIA sulle attività terroristiche, nel quale fra l’altro, con la solita omissione di certe parti a protezione delle fonti, si dice che esistono sospetti (il documento è del 19 gennaio 1984) che dietro alle iniziative dei GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación) ci sia la mano del presidente del governo spagnolo di allora, Felipe González. «Il governo, tuttavia», è scritto a pag. 19 del documento, «sembra determinato a adottare una strategia non ortodossa nei confronti dell’ETA [omissione]. Gonzalez ha acconsentito alla costituzione di un gruppo di mercenari [più avanti definiti «Un cosiddetto Gruppo Antiterrorista di Liberazione (GAL)»], controllato dall’Esercito, per combattere i terroristi in modo illegale. [Omissione] i mercenari non dovrebbero essere necessariamente spagnoli e la loro missione dovrebbe essere quella di assassinare i leader dell’ETA in Spagna e in Francia» [6]. Ai GAL sono stati attribuiti 27 assassinii, e il sospetto, per non dire la certezza, che dietro di loro vi fosse il governo socialista spagnolo risale alle loro prime azioni, alla metà degli anni Ottanta. La novità è che questi sospetti e queste certezze ricevano ora l’avallo d’una fonte di solito presa molto sul serio nel nostro Occidente. Niente di strano dunque che alcune forze nazionaliste di sinistra spagnole abbiano rivendicato un’inchiesta su questi lontani fatti. Ciò che invece è strano, e spiace dirlo, è che Podemos abbia esitato per più di 24 ore prima di aderire alla iniziativa: la partecipazione al governo non dovrebbe far dimenticare certi doveri ineludibili a una forza che si richiama al socialismo, all’anticapitalismo.

Cui prodest? Ci si potrebbe chiedere, infine, e tornando ai due casi da cui siamo partiti, che senso abbia fabbricare certi documenti così palesemente falsi, che nel giro di poche ore o giorni vengono demoliti. Il senso è chiaro. Sollevare polveroni, che per qualche tempo occupano il centro della scena politica, e che in un modo o nell’altro la condizionano. Anche quando vengono smascherati, lasciano tracce di veleno, che riprese e alimentate dai social, non risultano alla fine del tutto innocue. Un esempio per tutti: sul «Corriere della Sera» leggiamo: «Sono i dettagli ad alimentare il sospetto che il documento pubblicato dal quotidiano spagnolo Abc possa essere falso. Questo non vuol dire che il finanziamento venezuelano da tre milioni e mezzo al Movimento 5 Stelle e in particolare a Gianroberto Casaleggio nel 2010 non ci sia stato, ma l’analisi del report lascia dubbi sulla sua attendibilità» [7]. Certo, nessuno di noi può escludere tassativamente che il finanziamento non ci sia stato, ma il fatto è che con questa logica – il documento è falso, ma potrebbe dire il vero – non si va da nessuna parte. O meglio, si alimenta il sospetto e alla fine si fa il gioco dei manipolatori. Ecco il Cui prodest?

 

Note

[1] Luca De Vito, L’ex Cinquestelle Favia “Diplomatici venezuelani mi cercarono nel 2010”, in «la Repubblica», 18 giugno 2020.

[2] Pablo Guimón, “La policía me utilizó en una trama política y puso en riesgo a mi familia”, in «El País», 3 giugno 2019, pag. 17.

[3] Isea si era rifugiato con la famiglia negli Stati Uniti in seguito a fatti legati, sembrerebbe, al narcotraffico, e si trovava sotto protezione dell’agenzia antidroga di quel Paese, la DEA. All’epoca della intervista però sembra non se la passasse troppo bene, guadagnandosi la vita come autista. Ciò che spiega forse in parte la sua arrendevolezza e collaborazione.

[4] La CEPS (Fundación Centro de Estudios Políticos y Sociales), della quale fecero parte alcuni dei futuri fondatori di Podemos, forniva consulenza politica ed economica, dietro pagamento, a istituzioni e governi, fra i quali, oltre quello venezuelano, anche il salvadoregno, l’ecuadoriano, il boliviano e lo stesso governo regionale della Comunità valenzana, in Spagna.

[5] Oscar López Fonseca, La policía patriótica del PP, en el blanquillo, in «El País», 9 giugno 2020, pag. 15.

[6] Il pdf con il documento declassificato si può scaricare dal sito di «Viento Sur»:

https://www.vientosur.info/IMG/pdf/doc._cia-gal-1.pdf

Nello stesso sito due articoli utili per questa vicenda:

https://www.vientosur.info/spip.php?article16080 e https://www.vientosur.info/spip.php?article16089

[7] 5 Stelle e soldi dal Venezuela, i dubbi sul report: «Timbro e tempi, potrebbe essere un falso», «Corriere della Sera», 16 giugno 2020.

Foto: Niccolò Carranti/Wikipedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.49) 29 giugno 2020 17:25

    Articolo che propone una ricostruzione precisa e giornalisticamente apprezzabile di come si fabbricano le fake news. Si inventano fatti con una qualche coerenza temporale, si attribuiscono a personaggi non meglio definibili, poi il mix viene confezionato da una testata straniera " amica " e quindi il tutto viene ribaltato dal nostro sistema mediatico, sempre in palla quando si tratta di infangare.

    E’ probabile, per non dire certo, che il mandante (o i mandanti ) di questa colossale "balla" siano tutti di casa nostra. Mi chiedo quando non spunterà un "finanziamento" dei russi o dei cinesi per le sardine. E’ il segno di una profonda disperazione. Ad agosto dell’anno scorso i " pieni poteri" erano cosa già fatta, poi la delusione per avere scoperto che in questo paese è in vigore una Costituzione, infine la disperazione che ti butta a fare qualsiasi tentativo. Adesso farebbero qualsiasi cosa per raggiungere il loro scopo, compresa la campagna acquisti di personaggi pronti a vendersi pur di rimanere alla greppia.

    Pensi, caro Antonio, che nel circuito mediatico al di sotto di ogni sospetto che ogni giorno ci innonda di "balle", masmediologi di rango (si fa per dire ) hanno persino tentato di equiparare questa "balla" al sospetto di tangenti petrolifere russe alla Lega, sul quale sono in corso indagini ben fondate su documenti, testimonianze certe ed intercettazioni. Cercavano il pareggio. Tentativo maldestro e penoso.

    saluto

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