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Il "burqa" e la donna: il velo che annulla la persona

Il "burqa" e la donna: il velo che annulla la persona

Le polemiche sul "burqa" non accennano a diminuire. Anzi.
 
Come è risaputo, questo indumento, che copre integralmente il corpo della donna con una griglia all’altezza degli occhi per permetterle la visuale, è originario dell’Afghanistan ed è stato imposto, per la prima volta all’inizio del 1900, a duecento donne dell’harem del Re Habibullah, allo scopo di non indurre in tentazione gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale. Da allora si è largamente diffuso soprattutto nei Paesi di religione islamica, prima fra le donne di ceto elevato e poi, pian piano, anche nella plebe.
 
L’origine è quindi abbastanza recente e comunque sufficiente a sfatare la credenza per cui il "burqa" sarebbe stato imposto dalla religione mussulmana. Ciò è confermato anche da approfonditi studi, sul piano storico e teologico, comprovanti la completa estraneità di tale indumento ai precetti del Corano e della tradizione religiosa. Il Corano si limita a prescrivere un’adeguata vestizione della donna solamente nei luoghi di culto.
 
Ma allora quale è il senso delle polemiche di questi giorni?
 
Si riparla dei "burqa" perché in Francia una commissione parlamentare, incaricata di studiare il problema delle 2000 donne islamiche che nel territorio circolano col velo, ha raccomandato la promulgazione di una legge che lo vieti negli ospedali, nei trasporti, negli uffici pubblici e nei dintorni delle scuole.
 
In altre parole i francesi hanno manifestato apertamente uno spirito di totale rigetto al velo integrale, che viene considerato un’offesa ai valori della Repubblica e quindi ai concetti di integrazione e di laicità.
 
Nel nostro Paese si vorrebbe seguire l’esempio della Francia.
 
Esiste già la Legge 152/1975, il cui art, 5, per motivi di sicurezza, vieta ai cittadini il viso coperto nei luoghi pubblici. Ma si vorrebbe modificarlo per renderlo più restrittivo e specifico, ed in tal senso sono state presentate alcune proposte di legge.
 
Ed ecco sorgere le solite polemiche: alcuni ministri del PDL e della Lega Nord sono favorevoli alla regolamentazione della materia per legge, mentre esponenti del PD e di altri partiti sostengono che la norma potrebbe essere incostituzionale perché lederebbe il diritto alla libertà di culto.
 
Concezioni molto diverse del problema, basate su convinzioni vere o false, ma che comunque non tengono conto che anche i Paesi di tradizione mussulmana stanno cercando di fare chiarezza sull’equivoca e pericolosa confusione tra precetti religiosi e pratiche comportamentali incivili.
 
E’ il caso della Turchia e della Tunisia, e, recentemente, anche dell’Egitto, dove ha fatto scalpore la posizione dello sceicco Muhammad Tantawi che si è esposto in prima persona contro l’usanza del "burqa", definendola "una tradizione lontana dall’Islam".
 
Si tratta di argomenti molto delicati che toccano anche temi riguardanti le condizioni della donna islamica, la sua emancipazione e la sua dignità. Temi che i Paesi occidentali, compresa l’Italia, dovranno affrontare nel generale interesse dei cittadini.
 
Qualunque interpretazione si voglia dare a questo problema è ragionevole pensare che la tradizione e l’usanza del "burqa", imposta da correnti culturali radicali, estremiste e maschiliste, non potranno mai essere accettate passivamente dalle istituzioni democratiche occidentali. E non solo per i pericoli di sicurezza e di ordine pubblico derivanti dal totale travisamento dell’identità, ma soprattutto perché tali costumi sono diventati il simbolo dell’assoggettamento della donna ad una concezione che nega ad essa la libertà e la disponibilità del proprio corpo. Una concezione che mortifica la dignità della donna e i suoi diritti fondamentali.

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