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Il M5S: problemi e mistificazioni

Finalmente il PD ha trovato un nemico: non più Berlusconi, ovviamente, come era logico, dato che sta nella stessa maggioranza, ha da sempre più o meno lo stesso programma del PD, e si limita a dire ogni tanto qualcosa di blandamente critico (talvolta perfino apparentemente da sinistra!) per spiegare il giorno dopo, con il suo stile inconfondibile, che è stato frainteso…

Ma non c’è niente da fraintendere, quel che conta gli è stato assicurato: non ci sarà una maggioranza per riconoscere - anche se tardivamente - la sua ineleggibilità. Cosa di diverso ci si poteva aspettare da un parlamento che nel corso della sua storia repubblicana ne ha fatte di tutti colori, dall’assoluzione di Andreotti alla proclamazione che Ruby era la nipote di Mubaraq, e che comunque ha glissato sull’argomento per quasi vent’anni? Anche il gioco dei rinvii tra Corte Costituzionale e Cassazione sulle sentenze (apparentemente una garanzia supplementare) serve solo, appunto, a tirare in lungo fino alla ennesima prescrizione, che sarà spacciata per i gonzi come una assoluzione. Quanto alle conseguenze della nuova condanna a sette anni per il caso Ruby, non è difficile prevedere che non si concretizzeranno nella galera.

Silvio Berlusconi, comunque, non è più il “nemico” responsabile di tutti i mali come in passato. In realtà, qualora qualche sondaggio lo desse nuovamente in testa, potrebbe fare all’improvviso qualche scherzo per beneficiare ancora del Porcellum inevitabilmente in vigore in caso di elezioni anticipate, ma il PD fa finta di niente. E dato che un nemico serve sempre, ecco che se ne trova subito un altro fittizio: è Grillo.

È ridicolo pensare così di cancellare il bilancio di una perdita secca di voti, registrata in tutte le amministrative in cui il PD dice di aver “vinto”, con l’eccezione di Roma, dove al ballottaggio Marino ha recuperato voti dalle liste minori non apparentate ma solo grazie al suo profilo atipico, alle dichiarazioni anticonformiste, al suo appoggio esplicito alla candidatura Rodotà per la presidenza della repubblica. È ridicolo cantar vittoria perché a vincere è stato Marino, non il PD, e in tutti i centri importanti il centrosinistra ha semplicemente perso un po’ meno meno del centro destra. Di questo ho scritto recentemente più volte. Ma ora sono arrivate altre conferme clamorose da Messina e Ragusa, con sconfitte sorprendenti del PD.

L’assurdo è che Grillo viene additato da tutto il centrosinistra come il grande nemico, proprio mentre forse invece rischia di aver davvero imboccato una strada discendente. Quando si pretende una specie di infallibilità, è ovvio che non solo i successi ma anche gli insuccessi vengano messi in conto al “leader massimo”. È stato penoso vedere la farsa di un miniprocesso per punire il delitto di lesa maestà, che ha offerto argomenti a bizzeffe ai tanti nemici che non aspettavano altro, e ha presentato un quadro preoccupante: una discreta fetta di parlamentari e della ristretta cerchia che ha accesso alle votazioni sul Web sono stati contrari al provvedimento disciplinare nei confronti di una modestissima Gambaro, che in fondo aveva fatto solo una costatazione ovvia: è Grillo il problema del movimento.

Ne avevo io stesso scritto più volte: il ruolo di Grillo appariva inizialmente efficace come forza distruttrice di un sistema politico screditato, ma con le sue oscillazioni e svolte improvvise spesso mal argomentate, ha deluso rapidamente una parte dei suoi elettori. Forse potrà recuperarli, se il governo continuerà a dare prove di ipocrisia senza neppure tentare di affrontare i problemi reali, come sta facendo ad esempio spacciando per “novità per il lavoro” alcuni modesti ritocchi peggiorativi alla legge Fornero che rendono ancora più facile i “contratti” a tempo determinato, riducendo l’intervallo tra l’uno e l’altro, per consentire di occultarne più facilmente la natura truffaldina.

Tuttavia non c’è dubbio che per ora quegli elettori che il M5S aveva conquistato in febbraio sono passati in gran parte all’astensionismo, scegliendo un’altra forma di protesta. Facile dire che è sterile e inefficace, ma non meno di come è apparso il ruolo del M5S nelle aule parlamentari. E bisognerebbe discuterne francamente, invece di lamentarsi dell’ostilità e della perfidia dei giornalisti, che c’era anche a febbraio o al momento delle elezioni regionali siciliane, e c’è stata in passato nei confronti di chi tentava di sostenere una posizione di sinistra coerente.

Il M5S si è presentato spesso con una denuncia astratta e senza conseguenze, analoga a quelle che si trovano frequentemente da anni su molti siti della sinistra o su Il Fatto Quotidiano, con efficacia quasi nulla, per il muro di gomma e la cortina di silenzio dei grandi mass media. Sul piano puramente propagandistico ha concentrato il fuoco su un aspetto della crisi attuale, il tenace attaccamento della casta ai suoi privilegi, senza aver molto da dire su quello che colpisce direttamente milioni di persone minacciando i loro posti di lavoro, riducendo il loro potere d’acquisto, privandole di servizi essenziali come la sanità o la scuola pubblica.

Qualche giorno fa era apparso sul blog di Grillo un efficace commento alla situazione dell’Indesit di Fabriano, con proposte veramente radicali. Ma era solo l’intuizione di una singola parlamentare, non l’inizio di una campagna generale per rivendicare ovunque di «gestire noi le fabbriche», di «produrre nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente garantendo a tutti un lavoro e un reddito dignitoso». Questa “redistribuzione” non è diventata la parola d’ordine caratterizzante del movimento in questa fase. Insomma, su questo terreno cruciale non c’è stato nessun ruolo di reale alternativa del M5S rispetto al governo e alla farsa dei tre sindacati, “finalmente uniti”, solo perché il governo ha al suo interno gli amici e i referenti delle tre burocrazie confederali. Sulla proposta si veda qui.

È questa incapacità di mobilitare la protesta, mentre i grillini appaiono preoccupati soprattutto dai problemi interni come la certificazione delle spese, che ha ridimensionato il movimento in questa fase. La grande stampa li ignora o li calunnia, ma lo ha fatto sempre con ogni tipo di opposizione decente: per difendersi non serve insultare i giornalisti, bisogna costruire un movimento che sia presente quotidianamente nei posti di lavoro, nelle strade, non solo nelle grandi adunate di un momento, come quelle che hanno caratterizzato la campagna elettorale. Il M5S ha mosso passi importanti coinvolgendo in parlamento pezzetti residui di sinistra nella battaglia contro i cacciabombardieri F35, ma è nelle strade di ogni paese, davanti agli ospedali con liste di attesa interminabili, davanti alla fabbriche presidiate da lavoratori spesso disperati per l’assenza di proposte, è lì che bisogna stare, ogni giorno. Non lo si chiami partito, ma occorre che funzioni in modo organizzato, ascoltando la gente, elaborando un vero programma, e poi martellando tutti i giorni con le proposte alternative. Ma finora non lo si vede molto in giro…

Certo l’M5S conserva una parte delle sue forze conquistate nell’ultimo anno, che è ancora molto superiore a quanto ne ha mai avute il PRC; ha messo a segno qualche colpo importante, come la conquista nel ballottaggio di Pomezia, un grosso centro prevalentemente operaio a poca distanza dalla capitale. Ancora più significativo il trionfo nel ballottaggio di ieri di un candidato del M5S a Ragusa, con il sostegno aperto di SEL e di un gruppo di democratici, ma è un caso isolato, in controtendenza, su cui è auspicabile si apra una riflessione. Il M5S sembra nel complesso una forza congelata. È stata ignorata quasi ovunque la possibilità di intese previe con candidati atipici, non riducibili certo alla definizione di membri della casta, come Renato Accorinti del movimento No Ponte a Messina, che ciononostante ha avuto ugualmente un sorprendente successo. Il rifiuto di un accordo con Accorinti è stato pagato caro dal M5S: al primo turno a Messina non ha avuto nessun eletto dato che la lista ha ottenuto solo il 2,53% dei voti (lo sbarramento era del 5%) mentre alle politiche di febbraio aveva superato il 25%.

Il M5S insomma ha mostrato un atteggiamento di autosufficienza senza la capacità di essere davvero autosufficiente: avevo già osservato più volte che per esempio il sostegno ai No TAV, prezioso e inequivocabile, tendeva però ad annetterli al proprio progetto, sottovalutando il processo di formazione di un gruppo dirigente locale compatto, ma proveniente o ancora appartenente a quelle forze politiche della sinistra e del centrosinistra che Grillo continua a esorcizzare senza coglierne le contraddizioni.

Insomma, si è fatta confusione tra il giusto rifiuto delle proposte indecenti del PD che chiedeva al M5S voti senza fare un solo passo serio verso un possibile accordo, e l’isolamento preconcetto, che ignora i milioni di militanti che da anni si battono contro il TAV, il Ponte, i degassificatori, gli inceneritori, il dissesto del territorio, in forma unitaria, in migliaia di comitati non riducibili ai vecchi partiti, ma non preclusi ai loro militanti.

All’origine di questa incapacità di puntare a un’egemonia costruendo una tattica efficace c’è l’insufficienza di una critica del sistema rappresentativo, sostituita dall’esorcismo nei confronti dei “partiti” identificati semplicisticamente, e l’assoluta inadeguatezza della analisi della natura della crisi, vista in genere solo come italiana mentre è come minimo europea; così viene messa in conto al ceto politico (complice e per giunta incapace) invece che ai veri responsabili, i capitalisti.

Non contribuisce alla chiarezza la lunga intervista a Gianroberto Casaleggio apparsa l'altroieri sul Corriere della sera. A domande non sempre felici, Casaleggio ha risposto in modo elusivo: ad esempio per spiegare cosa intende per “democrazia diretta” risponde con una vaga affermazione: « La democrazia diretta, resa possibile dalla Rete, non è relativa soltanto alle consultazioni popolari, ma a una nuova centralità del cittadino nella società» (che vuol dire?) e con una profezia: «Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno». Come? Perché? Quando?

Alla domanda «La democrazia diretta sostituisce il Parlamento?» Casaleggio risponde con una petizione di principio e un auspicio, non ovviamente con una proposta concreta: «È più corretto dire che ne muta la natura, gli eletti devono comportarsi da portavoce, il loro compito è sviluppare il programma elettorale e mantenere gli impegni presi con chi li ha votati. Ogni collegio elettorale dovrebbe essere in grado di sfiduciare e quindi di far dimettere il parlamentare che si sottrae ai suoi obblighi in ogni momento attraverso referendum locali». Come fare per ottenere che gli eletti, designati spesso da un numero bassissimo di “grandi elettori” in rete, facciano quel che devono, soprattutto come ottenere che ogni collegio elettorale sia davvero in grado di sfiduciare e quindi di far dimettere il parlamentare? (I corsivi sono miei).

Invece di citare un gran numero di “testi di riferimento”, tutti riferiti alla società americana (che non è poi questo grande esempio di democrazia diretta e neppure di quella delegata) come Emergence di Steven Johnson, Six Degrees di Duncan Watts, Smart Mobs di Howard Rheingold, The Tipping Point di Malcom Gladwell, Free Culture di Lawrence Lessig e Linked di Albert-Laszlo Barabasi, Casaleggio poteva fare i conti con alcune esperienze storiche di democrazia diretta europea basata sulla revocabilità, dalla Comune di Parigi ai soviet del 1905 e del 1917, alle forme di autorganizzazione catalane e aragonesi durante la rivoluzione spagnola, e ai vari movimenti consiliari italiani, dal 1919 torinese alla grande ondata che accompagnò l’Autunno caldo, e fece tremare le vecchie burocrazie, costrette ad arretrare e a tentare di controllare e imbrigliare il movimento. E poteva fare i conti con una ricca produzione teorica europea, che a partire da Ernest Mandel ha sistematizzato queste esperienze.

Gianroberto Casaleggio non mi ha mai convinto, anche se non mi sembra quel “guru” malefico di cui parla tanta stampa, ma solo un superficiale senza capacità di proporre alcunché di concreto: in tutta l’intervista sfugge alle domande precise. Ad esempio sul declino dei Piraten tedeschi risponde con una profezia: «Tutto cambierà. Il cittadino deve diventare istituzione. Le regole del gioco stanno cambiando». E all’obiezione sulla notevole quantità di italiani sprovvisti di accesso a Internet, risponde che si tratta di un fenomeno voluto, ma che comunque «il MoVimento 5 Stelle ha ovviato a questo con incontri nelle piazze, attraverso banchetti presenti sul territorio e con il volantinaggio porta a porta. Si tratta in ogni caso di un periodo transitorio, nel tempo la maggioranza assoluta degli italiani sarà collegata in Rete». Ancora una volta proposte banali (in sé giuste, ma che contraddicono la retorica del Web che risolve tutto) e profezie…

Su questo piano Casaleggio si sbizzarrisce a fornire banalità: riporto integralmente domanda e risposta:

Danna: Crede ancora — come si vede in «Gaia» — che nel 2020 ci sarà una terza guerra mondiale tra il blocco occidentale delle democrazie dirette (via web) e il blocco composto dalle «dittature orwelliane» di Cina, Russia e Medio Oriente?

Casaleggio: La Rete rende possibili due estremi: la democrazia diretta con la partecipazione collettiva e l’accesso a un’informazione non mediata, oppure una neo-dittatura orwelliana in cui si crede di conoscere la verità e di essere liberi, mentre si ubbidisce inconsapevolmente a regole dettate da un’organizzazione superiore. Può essere che si affermino entrambi. Certo, è molto più probabile che il controllo totale dell’informazione e l’utilizzo dei profili personali dei cittadini relativi a qualunque aspetto della loro vita avvenga nei Paesi dittatoriali o semi dittatoriali e che la democrazia diretta si sviluppi nelle democrazie occidentali e che queste aree in futuro confliggano.

Un esempio da manuale di divagazioni da Caffè dello Sport, basato su ricordi di guerra fredda, e su una sostanziale ignoranza dei processi di svuotamento e aggiramento della democrazia in corso proprio nei paesi capitalistici più avanzati, che non esitano tra l’altro a intervenire nei territori dei “Paesi dittatoriali e semidittatoriali” con rapimenti e “uccisioni mirate”. Proprio mentre emerge (con prove) che il paese leader delle “democrazie occidentali” spia gran parte dei propri cittadini alla faccia di tutti gli articoli della sua costituzione! E non parliamo della dichiarazione degli "esperti" di JP Morgan, ripresa dal WSJ, sulla necessità che i paesi europei si sbarazzino delle costituzioni "troppo democratiche" e antifasciste, eredità della resistenza al fascismo. Vedi qui.

Casaleggio ha il diritto di dire tutte le sciocchezze che vuole, ma il piccolo particolare è che insieme a Grillo, alla faccia della democrazia diretta proclamata, ha costruito dall’alto una rete di “comunicatori”, che guidano i neoparlamentari (di cui ammette l’inesperienza). Nessuno dei due (leader incontestabili, anche se rifiutano la parola leader) ha una cultura che non sia orecchiata e scopiazzata: il problema è che sono proprio loro che selezionano chi ha accesso al blog e che, col possesso (in base al diritto proprietario) del logo e del nome, si sovrappongono agli sforzi di trasformare un movimento ancora informe in una struttura veramente democratica e non rinchiusa in sé stessa.

La discussione nel M5S è utile per tutti, ma deve partire dalle esperienze concrete, a partire da quelle che l’hanno preceduto e sono fallite, non fatalmente. Capire la parabola che ha portato a disperdersi milioni di elettori e molte centinaia di migliaia di militanti del PRC e della sinistra, può essere più utile che fantasticare sulle guerre mondiali del 2020

 

Leggi anche Grillo: i nodi irrisolti*

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.14) 26 giugno 2013 11:27

    programma del pd uguale a quello del pdl? basta guardare i programmi su openpolis qui (http://politiche2013.voisietequi.it/liste/) per capire che gli otto punti di bersani erano effettivamente presenti nel programma di grillo, e che il programma del pdl è lontano da quello degli altri partiti.

    ma a stare più attenti, i tentativi di avvicinamento da parte della sinistra sono stati numerosi, tutti finiti a pesci in faccia: non solo bersani, ma anche vendola, civati, e persino zanda, quello che sembra il sosia di monti, hanno dimostrato aperture concrete. ma la reazione di grillo ad ogni apertura è quella del mastro don gesualdo di verga: reagisce come se gli stessero rubando la "robba", come se i voti che gli sono arrivati fossero diventati sua nuda proprietà. questo atteggiamento tra l’infantile e il demenzialmente senile è forse la causa principale del declino dei suoi voti: molte persone che hanno votato grillo che conosco sono adesso abbastanza incazzate perchè si sono sentiti trattati in questo modo, ben poco rispettoso della loro volontà, specie quelli che lo han fatto da delusi ma con delle speranze per il futuro.
     d’altra parte grillo non andando al governo col pd ha fatto entrare berlusconi, e la dissidenza dei grillini è infatti l’unica cosa che in nano puttaniere sta temendo realmente: che i parlamentari di grillo si ribellino al capo e vadano contro il suo ex datore di lavoro (grillo ha lavorato per berlusconi anche durante gli anni novanta, e nel 94 ha votato per lui). e gli alleati attuali di berlusconi sono al momento due forze: i 101 del pd che hanno silurato prodi, e grillo e i suoi fedelissimi che hanno silurato prodi.
    perchè quando prendi il 25% non puoi fare finta di aver preso il 2,5% ed è veramente stupido tentare di mettere nel frigo i milioni di elettori che ti han votato sperando di ritrovarli freschi e fedeli tra uno due anni.

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