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Il Finanzcapitalismo mondiale, cancrena della democrazia… e le idiozie dei nostri politici

 

 

Il sistema capitalistico classico e quello che ne resta ancora, aveva come motore l’industria manifatturiera. A partire dagli anni Ottanta del Novecento, il motore del capitalismo non risiede più nell’industria ma nel finanzcapitalismo. Mentre il primo sistema funzionava essenzialmente sulla formula D1-M-D2, che in maniera semplificata si spiega con l’investimento di denaro (D1) per produrre merci (M) da rivendere per ricavare una quantità di denaro superiore a quella investita (D2), il secondo sistema persegue l’obiettivo di accumulare profitto (D2) senza aver bisogno della produzione di merci!

Come si spiega la moltiplicazione del denaro senza la produzione di merci? Qual è l’essenza della formula D1-D2 che sorregge il finazcapitalismo odierno?

Quest’ultimo si è sganciato progressivamente dalla produzione di merci, che allo stato attuale può garantire mediamente a livello mondiale una rendita media del 3-5% corrispondente al Pil medio della produzione mondiale, che rappresenta un orizzonte ben lontano dal 20-30% che possono garantire le finanziarie mondiali. Queste agiscono partendo sostanzialmente dal debito pubblico e privato, utilizzando una componente “bancocentrica” dotata di strutture ben visibili e da una “finanza ombra”, i cui tratti sono poco definibili anche dagli esperti del settore. Sicuramente quest’ultima supera, in termini di attivi, di molte volte le finanziarie che di essa tengono i fili.

La “finanza ombra” è costituita da una quantità enorme di derivati (attività finanziaria il cui valore è determinato da altri titoli scambiati sul mercato) posseduti da una banca che generalmente non registra nel suo bilancio, ma soprattutto da società prive di ogni organizzazione sostanziale e da migliaia di intermediari specializzati nel confezionare e vendere dei titoli obbligazionari, formati a loro volta da altri titoli che vengono scambiati direttamente da privati, al di fuori di ogni registrazione in borsa.

Altra componente essenziale del finanzcapitalismo è costituito dagli investitori istituzionali come i famigerati “fondi pensione”, “fondi comuni d’investimento” e compagnie di assicurazioni che gestiscono annualmente 60 trilioni di dollari (ricordiamo che il trilione è composto dall’1 seguito da 18 zeri), pari al Pil del mondo nel 2009! Queste finanziarie occulte influenzano necessariamente le grandi corporation e i bilanci degli Stati. In breve, il sistema bancocentrico, insieme alla finanza ombra e gli investitori istituzionali sono collegati da scambi giornalieri, che a livello mondiale superano le centinaia di miliardi di dollari o di euro. Questi depositano nelle banche i proventi delle loro attività: solo in Italia i fondi di pensioni, che sono molto modesti, depositano circa 70 miliardi di euro in un anno. Con il loro peso finanziario, gli investitori istituzionali posseggono oltre alla metà di tutte le società quotate in borsa e quindi nessuna corporation industriale e società finanziaria può resistere alle loro richieste, determinando così politiche economiche e industriali, fusioni di società, assunzioni e licenziamenti a tutti i livelli.

E la politica? Da guida dell’economia, si sta piegando agli interessi del finazcapitalismo subordinandosi al suo potere planetario, allontanando sempre più la prospettiva di un governo democratico delle nostre società.

Ma com’è potuto avvenire tutto ciò? Ma quali comportamenti e scelte economiche hanno generato questo cancro che distrugge intere società e sistemi economici sani? Come mai siamo caduti nelle mani di pochi speculatori internazionali che gestiscono nell’ombra il governo mondiale?

L’elemento fondamentale del finanzcapitalismo è basato sull’enorme sviluppo del debito pubblico e privato: ricordiamo che la crisi iniziò nel 2009 negli USA a causa del fenomeno del fallimento delle banche, che per anni avevano sottoscritto con estrema leggerezza mutui con privati per l’acquisto dell’abitazione, non in grado di pagare i propri debiti. Abbiamo appreso, con alcune letture illuminanti (Vedi: R. Shiller: Finanza shock; Fratini- Marconi: Vaffanbanka; L. Gallino: Finanzcapitalismo) che gli istituti di credito, a livello mondiale giocano con il denaro immateriale e secondo gli accordi interbancari di Basilea I e II, una banca deve avere in cassa solo 8 euro per cento prestati!

Ma non solo: gli istituti di credito non trattengono per sé la promessa di pagamento sottoscritti dai privati (semplici cittadini o imprenditori) nei loro registri della contabilità, ma trasformano questo denaro “immateriale” costituito dai “pagherò” di tanti debitori, in strumenti finanziari che vanno a creare parte di quei “pacchetti obbligazionari” acquistati dai risparmiatori sprovveduti che allettati da facili promesse di guadagni, quasi mai duraturi nel tempo, spesso comprano non beni concreti, ma i debiti di tanti poveracci, che spesso crollano, come è accaduto negli ultimi anni a partire dagli Stati Uniti fino a contagiare l’Europa e l’Italia.

Ora, quando va tutto per il meglio sui debiti speculano due volte le banche: con gli interessi che si maturano sui prestiti e nei confronti degli acquirenti dei suddetti pacchetti finanziari, soprattutto gli obbligazionari. Naturalmente qui stiamo parlando di denaro immateriale, che con altri giri d’affari molto più complessi di quelli sopra descritti hanno costituito un'economia dove il valore reale dei beni concreti e dei servizi riveste un ruolo marginale rispetto a quella “finanza ombra” giustificata dal principio che una banca su 8 euro posseduti ne può investire ben 100 e che parte dei suoi bilanci non sono certificabili per carenze legislative a livello internazionale. Queste sono le conseguenze delle politiche economiche mondiali della Fed e la Sec americane, della Banca d’Inghilterra nonché della Banca Centrale d’Europa, che con le loro scelte hanno spianato negli anni scorsi le politiche neoliberali centrate sulle liberalizzazioni che di fatto hanno favorito la deregolamentazione del mondo finanziario, tutto a vantaggio degli speculatori e a danno di milioni di inconsapevoli cittadini di mezzo mondo.

Francamente, a questo punto devo ammettere che tutto il sistema complesso del finanzcapitalismo non mi è chiaro, ma sto cercando di aprirmi un varco in questo mondo occulto. Ora quello che mi chiedo: dove pensano di andare a parare le “belle” proposte dei vari partiti italiani, sempre in campagna elettorale e in modo particolare quella di alcuni mesi fa di Berlusconi, quando proponeva di uscire dall’Unione Europea e dall’euro, riproposte negli ultimi giorni dal sig. Grillo che pensa di fare tra un anno addirittura un referendum sulla stessa questione? Questi esperti del Kaiser saprebbero spiegarci che competenze hanno i nostri concittadini per valutare le conseguenze di certe scelte in campo monetario e finanziario? Ma soprattutto lo sanno spiegare loro a noi comuni mortali, che proprio dalle belle mode lanciate da diversi decenni, e sull’esempio sfacciato dei nostri politici, abbiamo venduto l’anima al diavolo (gli speculatori finanziari) per acquistare ogni cosa a debito? Ma veramente si può continuare a giocare a far politica profferendo sistematicamente stronzate su stronzate o per dirla con il poeta Dante… andando “ per lo mondo a raccontar stoltezze”? Cercheremo di ritornare su queste problematiche dopo ulteriori informazioni e riflessioni.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.200) 23 agosto 2013 22:19

    Ottimo articolo, che condivido nei contenuti. 

    Certo: la materia è talmente complessa e vasta che l’articolo fornisce solo l’inquadramento generale della situazione, ma conto sui promessi articoli successivi.

    Aggiungo un motivo di ulteriore preoccupazione, non dovessero bastare quelli esposti nell’articolo. 
    Quanto esposto sulla virtualizzazione della finanza, ne sono certo, è a conoscenza ogni operatore finanziario, di ogni economista, di ogni politico che disponga di competenze proprie o di consulenti minimamente preparati. 

    Dunque, se li conoscono, per quale motivo nessuno di loro espone con altrettanta schiettezza all’opinione pubblica i motivi per cui i lavoratori vengono licenziati, le aziende chiudono, gli imprenditori si impiccano, molti precipitano nella povertà, a tutti vengono richiesti sacrifici?

    La mia ipotesi è che rifiutano di descrivere la realtà perché se lo facessero i cittadini vorrebbero cambiare questo sistema, e loro non vogliono che questo accada.

    Ma vi può essere vera democrazia se ai cittadini è negato il diritto di conoscere cosa, e in che modo, incide tanto profondamente sulla loro vita? Naturalmente no.

    Eccolo dunque l’ulteriore motivo di preoccupazione: quella in cui viviamo è vera democrazia oppure è solo un suo vuoto simulacro?

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