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Il Colosseo e la luna

Piove su Roma quando penso che ho dei biglietti prenotati per partecipare tra due ore alla “Luna sul Colosseo”, una visita guidata notturna. Ma sono molto fiducioso che tutto andrà bene e che l’Anfiteatro Flavio, grande più di uno stadio di baseball secondo l’ammirata sintesi di Mr. Obama, sarà capace nella semioscurità di regalarmi suggestioni che impastano la gloria ed il declino di una civiltà.

Mi trovo, quindi, puntuale davanti all’arcata dell’ingresso che ha incisa sulla sommità “LIII”, per la numerazione romana. Non piove più ed uno spicchio di luna si fa spudoratamente complice della bella iniziativa della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. C’è un discreto numero di persone che attendono il turno concordato con la guida per potere visitare l’interno. Arriva il momento, conosciamo finalmente la nostra guida: un giovane archeologo che in un’ora si rivelerà uno scrigno di competenza, ma anche di esposizione tanto da ricordarmi l’attore Marco Paolini.

Entriamo e diventiamo più silenziosi delle grosse pietre squadrate che ci osservano dall’alto e gli spazi lasciati bui tra le colonne ci sospingono verso il passaggio per i sotterranei, illuminato quanto basta per non rimaner troppo soli con noi stessi. Scendiamo tenuti per mano dall’attesa di scoprire emozioni che di solito vengono poco esplorate e che sono indipendenti dagli effetti speciali di un action movie alla 007, ma capaci di esaltare particolari momenti grazie alla forza della storia ed al fascino della suggestione. Dico subito che l’attesa, una volta tanto, sarà superata dalla sorprendente testimonianza dei luoghi.

Nel sotterraneo veniamo condotti nel corridoio dei gladiatori che collegava l’Anfiteatro con il Ludus Magnus, il complesso della palestra e degli alloggi dei “morituri” distante meno di cento metri da dove ci troviamo in questo momento. Ai lati del corridoio ci sono invece degli anditi che ospitavano le gabbie degli animali feroci. Diventa impossibile imprigionare l’immaginazione e non mettersi nei panni di chi percorreva quel corridoio tra sangue e merda.

Dopo qualche metro, la guida ci chiede di girare a sinistra, dove un tempo c’era il montacarichi che portava i gladiatori direttamente sull’arena. Probabilmente, camminare in gruppo e attendere qualche attimo prima di poter girare lo sguardo dietro l’angolo e poi alzare la testa per cercare la botola d’uscita del montacarichi è la più involontaria e fedele ricostruzione che un visitatore possa fare. 

Potessimo viaggiare a ritroso nel tempo, riceveremmo un colpo di gladio nel costato o un morso da una tigre. Ma il Colosseo ci riconosce: siamo romani e non possiamo diventare gladiatori, sicché ci accompagna all’uscita. Certo che in duemila anni ne ha ricevute di persone tra imperatori, papi, alti dignitari, miseri schiavi, barbari, ladri, senzadiritti, senzatetto, sindaci, venditori ambulanti e centurioni per un selfie. In quanto a noi visitatori, forse, ci riceve per insegnarci una lezione sulle cose della vita.

Caro Anfiteatro Flavio, chissà oggi che cosa pensi di noi cittadini romani. Tu che sei stato ferito dall’uomo, dalla natura e dal tempo, e che poi vieni curato grazie al Gruppo Tod’s, che dici è ancora lunga la nottata?

 

Foto: ReSeLaSed/Flick

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