I postumi dei fatti di Genova 2001

La sentenza della Cassazione arriva dopo 11 anni. Il processo, nel suo corso, ha visto prima tentativi sfrontati di insabbiamento ed occultamento della verità, ma, come un termometro, a fasi alterne, ha misurato la "temperatura politica" dell'Italia. Il responso ci lascia soddisfatti a metà: viene riconosciuta la gravità della "sospensione della legalità", ma non nei termini sollecitati dalla pubblica denuncia di Amnesty (quanti punti di PIL etico-sociale sarà costato all'Italia?).
Il vulnus resta profondo, si potrebbe dire inguaribile, soprattutto perché con esso e su di esso la politica italiana, i partiti, che avrebbero dovuto raccogliere l'istanza di giustizia dalla società (si ricordi l'instancabile opera del genitore del giovane ucciso, Giuliani), le istituzioni e in primis i governi, hanno dimostrato la loro strutturale carenza.
Non si va lontano dalla verità, se si sostiene che i fatti di Genova (2001), con pochi altri, sono il cardine della disaffezione degli italiani, di tanti giovani, dalla politica e causa non secondaria della marea montante di antipolitica.
La messa a punto dovrebbe servire soprattutto a mettere in guardia i partiti di sinistra, che pure non hanno avuto diretta responsabilità, ma che con il governo Prodi (dal maggio 2006 al maggio 2008) hanno avuto incarichi ministeriali abilitati al compito, e che non hanno preteso dal governo Berlusconi adeguata risoluzione del problema. Secondo il mio modesto parere, ad influenzare il loro comportamento è stata la partita portata avanti per sconfiggere ed isolare i gruppi, in vario modo, coinvolti con il "Social Forum", soprattutto quello facente capo a Luca Casarin.
Da qui si evidenzia la necessità di fare i conti con la violenza, con i gruppi violenti. Su questa linea il PD non avrebbe dovuto avere difficoltà a confermare la fermezza, una scelta di principio, che il suo antenato (il PCI) aveva compiuto all'epoca del terrorismo brigatista. Non c'era bisogno, quindi, di dare ulteriore conferma della sua scelta di campo; la tergiversazione è stata solo segno di debolezza davanti agli attacchi strumentali di Berlusconi (la martellante campagna diffamatoria contro lo spettro del comunismo in Italia). Di quest'ultimo, Berlusconi, è la sostanziale e principale responsabilità.
Ora voglio dipanare un ragionamento per evidenziare la correlazione tra Genova (2001, G8) e L'Aquila (2009, G20). Anzi propendo ad estendere la relazione fino a Napoli (1994, G7, I governo Berlusconi).
Non si dice nulla di nuovo quando si mette in luce la ricerca, da parte di Berlusconi, della spettacolarità negli eventi della politica internazionale. Lo spettacolo, del resto, è connaturato all'uomo Berlusconi, inscritto nel suo DNA, nel bene e nel male. Bene, soprattutto per le sue tasche e per le sue fortune economiche (Mediaset ne è l'esempio!), anche per parte degli estimatori delle sue performance. Male, perché, senza la dovuta distinzione di campo, la politica-spettacolo, LUDUS, oltre a richiamare infausti modelli (Nerone e certi imperatori romani con tutti i suggeritori della politica "panem et circenses") pecca di intrinseca labilità nella qualità democratica.
In ispecie la politica estera è stata intesa e condotta da Berlusconi, digiuno di diplomazia internazionale, succube di cattivi consiglieri (ministro Martino), colpevole di un piano di trasposizione in chiave di relazione interstatuale dello scenario della trattativa tra soci in affari (in cui è più versato), come "teatro ad effetto", "luogo delle meraviglie e dell'incanto".
Per questo motivo a Napoli fu, a suo dire, disdicevole ed "antinazionale" la consegna dell'avviso di garanzia nel corso di svolgimento del G7, da lui presieduto.
A maggior ragione, dopo l'oscuramento degli anni che vanno dal 1996 alla fine del 2000, subito la riconquista della maggioranza alle elezioni del maggio 2001. A Genova, nello scenario del vertice del G8, egli cercò di lasciare il suo segno, incurante del "periodo dei torbidi" (i convegni internazionali del periodo furono oggetto di contestazioni radicali da parte del movimento dei black bloc).
A Genova egli trascurò i difetti strutturali della città, esposta agli attacchi di movimenti violenti e difficile da difendere. A Genova egli mise alla prova la sua compagine governativa caricaturale, poggiante su Scajola e Castelli. A Genova fece la sua prova ufficiale l'alleanza stretta con AN (si potrebbe approfondire la contiguità di molti comandi del servizio d'ordine con l' "anima nera"). A Genova si preoccupò a tal punto del successo diplomatico da definire un "inconveniente" la morte del manifestante Giuliani.
A L'Aquila, altro scenario: il terremoto recente dell'Abruzzo. L'Aquila, dunque, fu lo spettacolo ricercato: allestire il vertice nelle zone del disastro, ovvero convincere attraverso le "vittime sacrificali" dei terremotati e degli italiani, scossi dal dramma.
Forse l'apice del "colpo ad effetto" fu anche inizio di una lenta crisi senza ritorno, segno ritorsivo di una onnipotenza che aveva osato sfidare il DECORO. Lentamente cominceranno i segni del cedimento strutturale del berlusconismo. Darà una mano la crisi mondiale, che ci sta colpendo inesorabilmente.
Resta ancora incompiuta l'opera di educazione attraverso gli errori, doverosa per tutti i partiti italiani e per l'intera società italiana.
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