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Referendum: le ragioni del No

Per accostarsi adeguatamente, cioè in maniera democratica, ai temi della Costituzione, bisogna adottare il linguaggio della prudenza, da qualsiasi parte si discuta.
Atteggiamento che è frutto della consapevolezza del significato profondo della Costituzione, implicitamente correlata con il profondo rispetto della sua “sacralità”. In essa si condensano, infatti, secoli di lotte intestine, moltitudini di dibattiti politici e di speculazioni teoriche, passioni ed emozioni ispirate dal “verbo della libertà”, sacrifici di caduti per la patria.

Voglio con ciò sgombrare il campo da un insano diverbio politico, che tende a classificare il fronte del “no” tra i conservatori e quello del “si” tra i progressisti. La Costituzione non si presta ad essere uno strumento di questa divisione politica maneggiata nell’agone dei partiti, infarcita di pretestuose classificazioni sociologiche. Nello specifico, la Costituzione italiana ha suggellato un processo che si può far nascere nel Risorgimento e concludere, dopo le tragiche esperienze della dittatura fascista e della guerra di liberazione dall’occupazione nazista, nel 1947.

Per un secolo si sono confrontate: le spinte in chiave liberal-democratica e le resistenze oligarchiche, le aspirazioni di giustizia sociale e le chiusure corporative e tardo-feudali.
Ebbene oggi, prendendo spunto dal principio filosofico che “la realtà è mutamento” si teorizza la necessità di un ammodernamento della Costituzione – la cosiddetta revisione-. Fattori concomitanti: la correzione delle lungaggini delle decisioni politiche, legislative ed esecutive, assieme ad un certo risparmio di risorse pubbliche.

Alla prima osservazione si può obiettare che è innanzi tutto improprio usare la leva del “cambio di Costituzione” per risolvere problemi interni a l’esercizio della politica. Sarebbe uno scambio “tra capra e cavoli”. Di fatto è una commistione tra il piano della normativa istituzionale ed il piano corrente della prassi (quella che può e deve trovare rimedi di natura omogenea)


A meno che non si voglia intervenire per limitare la sostanza della democrazia, aumentando il potere dell’esecutivo a discapito del legislativo, forzando la mano nel senso di una democrazia vigilata (sapientemente regolata dall’alto e quindi poco propensa alla partecipazione). In questa direzione spingono ad andare autorevoli Think tank mondiali,più o meno confusi con grandi oligarchie finanziarie ,come risulta da documenti inoppugnabili.

Le pastoie attuali della politica, a mio avviso, si spiegano con la cronica carenza dei partiti, incapaci di trovare una risposta alla loro crisi di organizzazione, per poter riassumere la dinamicità e la capacità di proposta (e di rappresentanza) che ad essi è demandata.
Alla seconda osservazione (sul risparmio di denaro pubblico) si può replicare che esso è ben piccolo davanti ai buchi neri del costo della “cosa pubblica”.

Nella confusione artificiosa, ad arte creata, si mescolano, con una ibridazione innaturale, dentro lo schieramento del "no": gli oppositori politici dichiarati (dalla Lega al PDL alla destra nazionalista) e i cristallini difensori degli irrinunciabili requisiti (repubblicani, parlamentari, sociali) della Costituzione, da Giustizia e Libertà ad eminenti giuristi tra cui cito Zagrebelsky e Rodotà, agli eredi di Dossetti, cattolici democratici per il no, tra cui cito Raniero La Valle).
Un altro segno ancora della forzatura connessa al referendum!
Ultima chicca della “micidiale” riforma (Boschi Renzi) è il combinato tra la riforma elettorale (Italicum) e la revisione costituzionale, dentro la quale spiccano la “riduzione” del Senato e l’aumento delle prerogative del governo. Miscela esplosiva per colpire l’equilibrio e la divisione dei poteri, i contropoteri idonei al controllo democratico, i freni messi per evitare il precipizio della democrazia autoritaria.
Rosario Grillo

 

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