• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > La competizione: tra virtù e vizio. Riflessioni che coinvolgono la seconda (...)

La competizione: tra virtù e vizio. Riflessioni che coinvolgono la seconda repubblica

La pedagogia più avvertita e matura non disdegna l'incentivazione della competizione, vista come banco di prova della crescita e della formazione, fondamentale test di conferma della solidità di una personalità in sviluppo.

Anche nei canoni dell'economia del libero mercato la competizione risulta un ingrediente insostituibile.

Nel primo caso, essa s'accompagna necessariamente ai requisiti della lealtà e del riconoscimento, in umiltà, che si è sempre in bisogno d'imparare secondo il motto socratico: so di non sapere. Nel secondo caso, il complemento fondamentale è la consapevolezza dei fini sociali dell'iniziativa economica.

A livello sistemico, la competizione è stata un fattore decisivo per uscira dall'asfissia prima del Mercantilismo e poi dell'Imperialismo. In tutti i casi è stata sempre contraria ad ogni autarchia.

L'Italia, Stato unitario di recente formazione, essendo un paese con un carattere antropologico refrattario all'ossequio verso le Istituzioni e con un rispetto molto blando della Legalità, soggiace da tempo sotto un penoso provincialismo. Difetto, questo, che induce ad una vana illusione, mentre evita il confronto/competizione con gli altri paesi, parametro indispensabile per un miglioramento del proprio sistema tramite una progressione continua.

Fin dal Cinquecento, dopo essere stata simbolo di progresso, l'Italia si è invischiata nel provincialismo, indotta in ispecie dal suo atavico attaccamento al "particulare". Tentativi ripetuti di uscire da questa impasse non sono riusciti ad invertire lo stato delle cose (nel '700/'800 con il Risorgimento, nel dopoguerra con la scelta strategica dell'appartenenza alla costruzione europea, nelle scelta di perseguire l'unità monetaria europea abbandonando la liretta).

Messa in questa condizione, ha fatto scelte che hanno aggravato il difetto e, tra queste, quelle che possono aver alterato la normale (ed essenziale) dialettica politica.

Consumatasi la prima repubblica, corrosa da una vistosa corruzione politica annidata negli illeciti finanziamenti di molti partiti politici, come fu messo in luce dai magistrati di Mani Pulite, sembrò innovativa la proposta del capo di Forza Italia di aprire le porte alla liberalizzazione, predicando "meno Stato e nessuna ingerenza dei partiti", bollando il consociativismo.

Un'analisi più smaliziata avrebbe già allora, in realtà, smascherato il disegno propinato da chi aveva nel passato lucrato sui favori della partitocrazia e avrebbe così messo a nudo la difformità dal modello ideale proposto. Berlusconi, difatti, non era e non era mai stato esempio di imprenditore impeccabile, ligio alle regole, di liberale e liberista coerente.

Egli, comunque, surrettiziamente, introdusse una novità nel panorama politico, di non poco conto. Essa consisteva nell'uso frequente, direi quotidiano, quindi sistematico, della competizione con la forza politica avversaria - tanto più che si passò da allora ad un sistema bipolare - a dispetto di qualsiasi collaborazione fattiva e a discapito dell'interesse generale del paese.

L'infausto ritocco della sana dialettica politica fu completato con la riforma elettorale, l'infame Porcellum, tanto da manipolare alla radice la pianta democratica della competizione elettorale dei partiti italiani.

Infine, in tempi recenti, siamo giunti al tentativo berlusconiano di introdurre la competizione dentro la compagine governativa, vero e proprio "cavallo di Troia".

I risultati delle ultime elezioni politiche, aggiunti alle sollecitazioni sociali, provocate dalla recessione che interessa il nostro paese, hanno offerto l'occasione per suggerire un governo di collaborazione tra sinistra e centrodestra. Governo di "pacificazione" è stato detto, ma già Zagrebelsky si è premurato di chiarire che " a certe condizioni, pacificazione equivale a normalizzazione ".

In ogni caso, l'inopinato fine del "cavaliere" è quello di mandare in fibrillazione continua il governo, sottoponendolo allo stress di una competizione tra le due componenti, superiore per dose alla lealtà e alla convinzione della collaborazione.

La finalità prevalente (e faziosa) è quella di sfruttare il momento propizio per andare al voto, confortato dai sondaggi favorevoli al centrodestra.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares