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"I giorni della paura" vissuti da Mastrogiacomo

Il giornalista Daniele Mastrogiacomo ha raccontato in un libro il suo dramma di prigioniero dei talebani.

Deserto, dune, cammelli, turbanti, campi di papaveri da oppio ma soprattutto mujaheddin, fanatismo, kalashnikov, catene, torture, sangue, morte e terrore. L’Afghanistan dei talebani.

Nel libro I giorni della paura (edizioni e/o) vi è tutta la vera odissea di Daniele Mastrogiacomo, l’inviato di guerra del giornale La Repubblica catturato dai talebani in Afghanistan nel marzo 2007 e rilasciato dopo due settimane di infernale prigionia grazie ad una difficile trattativa che vide impegnati il governo italiano dell’epoca e quello afghano, i servizi segreti, La Repubblica e l’organizzazione umanitaria Emergency di Gino Strada, prodigatasi nella mediazione.

In quei giorni, quasi centomila persone di ogni parte del pianeta firmarono l’appello promosso dal quotidiano romano per la sua liberazione. Mastrogiacomo, recatosi in quelle terre per incontrare gli studenti coranici, per intervistare il mullah Dadullah, per informare sulla posizione dei talebani in merito alla guerra, per capire e spiegare quella realtà così lontana dal mondo occidentale, viene invece rapito nei pressi di Lashkargah nel sud dell’Afghanistan, da quindici giovanissimi soldati talebani, assieme a due suoi collaboratori: l’interprete tagiko Ajmal Naqshbandi e l’autista pashtun Sayed Agha.

Il giornalista è l’unico dei tre, accusati di essere spie ma in realtà usati come merce di scambio, ad uscire vivo dal sequestro. Il volume contiene l’intera vicenda vissuta dal cronista, narrata in prima persona dal protagonista stesso. Un reportage tanto dettagliato che al lettore sembra proprio di essere presente a fianco degli ostaggi. Egli infatti rivive, giorno per giorno, minuto per minuto, l’incubo spaventoso nel quale Mastrogiacomo, incatenato alle mani e ai piedi, è precipitato. Il ritmo è incalzante, la narrazione sconvolgente. Vi sono le sensazioni ed i ragionamenti dell’inviato speciale, le percosse subite, il tentativo dei carcerieri di convertirlo all’Islam, l’interrogatorio e le frustate ricevute al grido di “Allah Akbar!” ma anche il confronto con quel “branco selvaggio”, come li definisce Mastrogiacomo, ed il dialogo con gli aguzzini, “una strategia per restare in vita” afferma il reporter.

Con i talebani, dimostratisi diffidenti ed ostili verso la nostra società anche se a volte un po’ incuriositi, i tre prigionieri parlano pure di religione e di affetti. Nella cronaca degli eventi, i numerosi e rischiosi trasferimenti da una prigione all’altra, da un villaggio all’altro, con le giornate contraddistinte dai riti, dalle preghiere e dalle nenie malinconiche tipiche degli studenti coranici. Emergono le usanze, gli umori, le violenze e tutta l’inaffidabilità dei talebani, il loro furore ideologico e la loro spietatezza, assieme al pianto, allo sconforto e alla rassegnazione, alternati a sprazzi di speranza e fiducia, degli ostaggi. Una continua altalena di emozioni contrastanti per i sequestrati, il cui destino ad un certo punto si divide.

Il libro è il dramma di un cronista che ha sperimentato sulla propria pelle la crudeltà e il fondamentalismo dei mujaheddin talebani e che ha assistito alla decapitazione di Sayed Agha, temendo e rischiando poi la stessa orrenda fine. La sorte, però, ha voluto che Daniele Mastrogiacomo tornasse a casa salvo, perchè potesse raccontarci i quindici giorni più lunghi e dolorosi della sua vita e testimoniarci chi sono e come agiscono i talebani.

In un volume coinvolgente che si legge tutto d'un fiato.

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