Dopo Helin Bölek muore anche Mustafa Kocak.L’assassino si chiama Erdogan
E’ un drammatico aggiornamento, purtroppo, lo ricevo dalla Bottega dei Barbieri, che leggete anche qui spesso su Agoravox Italia:
Prima, il 3 aprile, un lungo sciopero
della fame ha spento la vita di Helin Bölek. Poi, il 23 aprile, muore
nello stesso modo Mustafa Kocak… Ma l’assassino è sempre lo stesso: il
fascista Erdogan che nega la libertà al suo popolo e ai curdi.
Helin e Mustafa facevano parte di
Grup Yorum. Cantavano contro ogni ingiustizia, cantavano anche «Bella
ciao». Mentre in Italia ricordiamo i 75 anni dalla liberazione dal
nazifascismo dobbiamo urlare che Erdogan è un fascista, come Hitler e
Mussolini, e aiutare chi lo combatte. [QBEA: questa bottega è antifascista]
Non si può stare in silenzio davanti a questi crimini
di Antonello Pabis
In questo tempo di Coronavirus, di
superpoteri concentrati in pochissime mani e provvedimenti
schizofrenici, troppo spesso prevalgono la paura e il senso di
impotenza. Occorre invece reagire, non perdere la lucidità e il senso
critico, partecipare alle catene di solidarietà, attivarci affinché in
tutto il mondo prevalga il senso di comunità. Nessuno va lasciato solo,
gli ultimi devono essere sostenuti e sospinti in avanti, perché cambi la
percezione delle priorità sociali, del cambiamento di modello sociale:
dove finalmente tutto sia concepito per essere funzionale al benessere
della persona e alla salvaguardia dell’ambiente in cui si vive.
Questo banalissimo ragionamento
dovrebbe spingerci a risollevare la nostra capacità di reazione contro
quanto – tragicamente e in tutto il mondo – sacrifica l’umanità, in
testa l’infinita sete di dominio e di sfruttamento del capitalismo
moderno.
In questi giorni, seppure
imprigionati nelle nostre case, abbiamo più tempo per ragionare e
opporci a ciò che sempre più è evidente, drammatico e ben più grave del
Covid 19: si chiama barbarie.
Una delle innumerevoli manifestazioni
di questo abominio è la storia dei Grup Yorum, un gruppo musicale
turco, di amici della libertà e della democrazia e quindi amici anche
della eroica resistenza kurda. Famosi nel mondo, si ispirano agli
Intillimani, hanno pubblicato venti album fino a quando sono finiti nel
mirino di Erdogan, il Sultano turco e del suo regime totalitario.
Accusati di «appartenenza a una
organizzazione terrorista» cioè il DHKC-P (Devrimci Halk Kurtuluş
Partisi-Cephesi) o comunque di fare propaganda per il terrorismo, i Grup
Yorum vengono arrestati e incarcerati in trenta. Solo due componenti
del gruppo musicale sfuggono all’arresto.
La cantante Helin Bölek e il
chitarrista Ibrahim Gökcek, provvisoriamente in libertà, il 16 maggio
2019 iniziano uno sciopero della fame in nome della libertà di pensiero e
di espressione; pochi giorni dopo si unisce a loro anche un terzo,
Mustafa Kocak detenuto con la condanna provvisoria all’ergastolo.
La loro protesta viene censurata, il mondo non parla, i media tacciono, l’indifferenza internazionale è evidente,
tanto forti sono gli interessi nel mondo legati al regime turco e al
suo ruolo nei conflitti (e nella fuga dei profughi) in Medio Oriente.
Il 3 aprile, dopo 288 giorni di sciopero della fame e ormai ridotta a pelle ed ossa, muore a soli 28 anni Helin Bölek.
Il 23 aprile – dopo uno sciopero della fame durato 297 giorni – muore anche Mustafa Kocak, coetaneo di Helin.
Chiedevano un equo processo.
Mustafa è morto il giorno dopo che
sua madre aveva cominciato il suo sciopero della fame, per aiutare il
figlio e tutte le vittime della ferocia assassina di Erdogan. Per
rivendicare pace, democrazia e libertà.
Ora si teme per la vita di Ibrahim Gökcek – 310 giorni di “astinenza dal cibo” – le cui condizioni appaiono disperate.
Le potenze internazionali sono conniventi. E complice, con i suoi silenzi, è anche l’Italia.
Non si può stare in silenzio davanti a questi crimini.
Così deve aver pensato Pati Luceri –
già professore al liceo di Lanusei in Sardegna e noto per il suo impegno
internazionalista e le sue battaglie civili – quando a Martano nel suo
Salento, decide di unirsi a quegli scioperi della fame nello stesso
giorno, forse le stesse ore della morte di Mustafà
Il suo messaggio è forte, è chiaro, è giusto! Ed è imperativo: non possiamo non prendere posizione!
Intanto si possono inviare adesioni,
prese di posizione, autoscatti con un cartello di protesta – per esempio
«solidarietà al Grup Yorum» o «Salvate la vita a Ibrahim Gökcek» – a
questo indirizzo mail: [email protected]
Ascoltate e fate girare il concerto:
https://www.youtube.com/watch?v=OMnaLL8JkKg
Qui cantano Bella Ciao durante un grande concerto a Istanbul:
https://www.youtube.com/watch?v=Qwbh6ZHEiUc
IN “BOTTEGA” VEDI Helin Bölek: Bella Ciao per sempre
AGGIUNGO QUANTO TROVATO SCRITTO SU IL MANIFESTO
«Il mio nome è Mustafa Kocak, ho 28 anni. Ho vissuto con la mia
famiglia a Istanbul fino all’arresto. Come uno dei quattro figli di una
famiglia povera, ho passato la mia infanzia e la mia giovinezza
lavorando qua e là. La mia vita è cambiata quando sono stato arrestato,
il 23 settembre 2017».
Inizia così la lettera che Mustafa ha lasciato ai suoi avvocati e pubblicata dall’agenzia Bianet. Mustafa è morto 20 giorni dopo Helin Bolek, era ridotto a pesare 29 chili.
I due membri del gruppo marxista turco Grup Yorum, in sciopero della
fame da mesi contro la durissima repressione scagliata contro il loro
progetto artistico e politico dal governo, se ne sono andati uno dopo
l’altra, ridotti pelle e ossa da una protesta estrema.
Mustafa Kocak si è spento ieri dopo 297 giorni di cibo rifiutato: chiedeva un processo equo, denunciava le torture subite.
«Tutto quello che chiedeva era un processo giusto, non gliene hanno
dato la possibilità – ha commentato Omer Faruk Gergerlioglu,
parlamentare del partito di sinistra pro-curdo Hdp – È diventato
l’ultima vittima di un sistema ingiusto».
Nata nel 1985, con all’attivo 23 album, la band è da anni sottoposta
al divieto di esibirsi in pubblico, mentre il loro centro culturale a
Istanbul è stato perquisito e chiuso dieci volte negli ultimi due anni.
Sei dei suoi membri sono tuttora in prigione.
Per l’accusa di aver passato armi a un’organizzazione terroristica
(il marxista Dhkp-C) in violazione della costituzione, Mustafa è stato
condannato all’ergastolo aggravato sulla base delle testimonianze di
persone soggette a tortura, senza ulteriori prove, video, foto, impronte
digitali.
«Il risultato di un processo pieno di illegalità, ha trasformato il
suo resistente sciopero della fame in un digiuno fino alla morte – ha
detto ieri uno dei suoi legali, Aysul Catagay – Lo hanno guardato morire
giorno dopo giorno. Abbiamo perso Mustafa ma i digiuni fino alla morte
continuano: gli avvocati Abru Timtik e Aytac Unsal non mangiano da 113 e
82 giorni, un altro membro del Grup Yorum, Ibrahim Gokcek, da 312».
È l’ultima ed estrema forma di protesta scelta da alcuni prigionieri
politici nelle carceri turche, inascoltati da procure e tribunali prima,
dalle autorità carcerarie poi.
Chiedono processi giusti, un’utopia nella Turchia del presidente
Erdogan, soprattutto dopo il tentato golpe del 2016 che ha avviato una
stagione di epurazioni, repressione e battaglia al dissenso che si è
tradotta in un numero spropositato di detenzioni. Trentamila stimati su
300mila detenuti totali.