Francesi senza veli
Burqa si, burqa no. E’ un dibattito in corso da diverso in tempo in Francia. Ora Sarkozy accelera ed estremizza i termini. Al di là di ogni valutazione etica e morale, cosa succede a livello giuridico? Cosa cambia e per chi?
Una polemica sollevata, legittima secondo chi scrive, è la non necessarietà di una legge in tal materia. Ammontano a circa duemila, territori d’oltre mare compresi, le donne che adottano il burqa come tenuta da “esterno”. Un numero troppo piccolo per meritare un dibattito di tali proporzioni. Si agita lo spettro della battaglia al simbolo da parte del governo.
Che il burqa sia un simbolo è una tesi sostenuta anche da un’altra fetta dalla popolazione: c’è chi, alla questione della sicurezza collettiva, oppone la libertà della donna a mostrarsi. Uno strumento di clausura, così viene considerato il velo integrale, un mezzo atto a perpetrare la donna in uno stato di sottomissione e schiavitù.
Il quadro è dunque complesso: da una parte chi vuole, per ragioni pratiche, eliminare il velo tout court, dall’altra chi non ritiene necessario occuparsi ora di tale nodo, dall’altra ancora chi fa leva sui sentimenti di subordinazione derivanti da tale indumento.
Soltanto il corso del tempo potrà svelarci come si concluderà la vicenda, sperando che nel frattempo i problemi del resto del mondo si fermino un istante.
Fortunatamente il governo francese non ha a che fare con i continui scioperi della SNCF (l’equivalente di Trenitalia), con la chiusura di impianti della Total (con conseguente perdita del laovro per tutti i dipendenti) per trasferimento all’estero o con i suicidi a France Telecom (iniziati con un cambio della politica aziendale).
Fortunatamente anche loro sono il paese che in Europa esce meglio della crisi.
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