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Fine del programma "Emergenza Nord Africa". Quale futuro per i rifugiati in Campania?

Il programma “Emergenza Nord Africa”, adottato in Italia nel 2011 per fronteggiare lo stato di necessità determinato dall’arrivo di migliaia di fuggiaschi dalla Libia, rischia di avere in Campania un epilogo tanto infausto quando prevedibile.

Alla vigilia della scadenza del termine perentorio entro il quale i rifugiati dovranno lasciare i centri d’accoglienza, la maggior parte non è stato messo in condizioni di trovare un'altra sistemazione. Il processo burocratico, terminato con ampio ritardo rispetto alle previsioni ministeriali, ha consentito agli esuli di ottenere la documentazione (foglio di via, permesso di soggiorno) solo in tempi recenti. In alcuni casi inoltre, come nel casertano e nel napoletano, non è stato ancora corrisposto il pocket money per far fronte alle prime esigenze e la tessera sanitaria. 

A due anni di distanza dal loro arrivo, quindi, l’odissea per le popolazioni nord africane approdate sulle nostre coste per sottrarsi alla guerra civile è tutt’altro che terminata; colpa di scelte politiche e burocratiche risultate inadeguate.

L’emergenza umanitaria del 2011 è stata affrontata relegando in centri d’accoglienza improvvisati le migliaia di disperati che l’Italia ha preferito disciplinare giuridicamente attraverso l’imposizione dell’istituto dell’asilo politico, piuttosto che offrire protezione umanitaria. 

Nigeria, Liberia, Togo, Guinea, Costa D’Avorio, le nazioni d’appartenenza di questa comunità multietnica che si trovava in Libia nel 2011 (per fuggire a conflitti etnici, politici o religiosi nel paese d’origine) nei mesi in cui è scoppiato il conflitto che ha portato alla destituzione del generale Mu’ammar Gheddafi. Non clandestini, ma fuggiaschi dagli orrori di una guerra che li stava inghiottendo.

L’iter per il riconoscimento dello status si è subito presentato assai articolato. Le numerose domande di asilo presentate alla questura competente e poi trasmesse alla prefettura, che ha dovuto valutare la reale insufficienza dei mezzi di sussistenza del richiedente, sono state sottoposte al vaglio definitivo della Commissione territoriale per il diritto d’asilo. Una procedura tanto lunga da esigere la procrastinazione della fine del programma d’emergenza dal 31 dicembre 2012 al 28 febbraio.

In questi due anni il trattamento riservato ai richiedenti asilo quasi mai è stato supportato da un effettivo programma d’inserimento sociale. Se in alcune regioni come le Marche, grazie alla mediazione offerta dalla protezione civile e dalle cooperative sociali, sono stati organizzati programmi di scolarizzazione, insegnamento della lingua e start up propedeutici ad una futura integrazione, in altri casi i rifugiati sono stati abbandonati a loro stessi. 

In Campania, ad esempio, gli oltre 2000 fuggiaschi (1200 solo a Napoli) sono stati fatti alloggiare in strutture alberghiere. Lo Stato ha stanziato per lungo tempo 46 euro al giorno (dopo scesi a 35) per ogni ospite di hotel o residence; di questi solo 2,50 (distribuiti mensilmente sotto forma di ticket) erano stati destinati all’uso personale. Nonostante il costo di 1200 euro sostenuto mensilmente per ogni singolo ospite, in piazza Garibaldi a Napoli o sulla strada Nazionale Appia tra Casagiove e Caserta, una lunga fila di hotel sono divenuti luoghi di stallo permanente dove non vigono né diritti né doveri. Gli africani, ammassati in stanze dalle pessime condizioni igieniche dove sono state accertate diverse emergenze sanitarie, hanno dovuto condividere la loro completa inattività nella febbrile attesa di veder riconosciuto il proprio diritto alla libertà.

La decisione di utilizzare gli albergatori come mediatori non si è rivelata felice alla luce dell’incompetenza palesata dal personale alberghiero nell’accoglienza ed integrazione di questa comunità sui generis. I fenomeni più gravi d’insofferenza, che hanno risvegliato l’interesse dei media, sono stati determinati da dolore psicologico più che fisico. L’essere sospesi in questo limbo giuridico, che costringe all’ozio giovani uomini e che non permette loro di allontanarsi dalla struttura per più giorni, ha avuto per alcuni effetti devastanti. All’Hotel Regina un uomo si è tolto la vita, due sue compagni sfiniti hanno chiesto il rimpatrio, molti sono i casi di depressione accertata. Senza alcuna politica d’integrazione e di mediazione culturale, non sono mancati i momenti d’agitazione in un micro cosmo divenuto invisibile agli occhi del paese a cui aveva chiesto accoglienza .

La proroga di due settimane domandata dai profughi dalla Libia alle strutture ospitanti del casertano potrebbe rappresentare una scelta che permetterà ai ragazzi di lasciare gli hotel, come tanto agognato, senza ulteriori tensioni.

Mai come in questo caso, la necessità di prevenire frizioni tali da mettere in pericolo l’ordine pubblico, prima ancora della solidarietà dovuta a questi popoli, dovrebbe prevalere sull’immobilismo decisionale che caratterizza l’attuale fase politica.

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