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Festival Internazionale di Giornalismo: Prima giornata

di Francesco Piccinini e Rosa Pastena.

International Press Festival “Penso tutto il bene possibile del giornalismo civico”, parola di Carlo Vulpio.

La prima giornata dell’International Press Festival è finita e nelle orecchie rimangono le parole della figlia di Aldo Moro che chiede, per l’ennesima volta, che sia fatta luce sulla morte di suo padre. Agnese Moro indica la strada ai giornalisti presenti: “per capire cosa sia successo in quei 55 giorni bisogna ricostruire la biografia di mio padre”.
 
Le parole della figlia del Presidente della DC non sono le sole a sferzare la sala. Nel pomeriggio Carlo Vulpio, Peppe Ruggero, Silvie Coyaud, Andrea Purgatori e Maso Notarianni (direttore di PeaceReporter) parlano e “denunciano” i bavagli di una stampa che è schiva della pubblicità, dei “poteri forti”; fanno nomi e cognomi di famiglie e gruppi, politici e direttori: Dall’Ilva ai Riva; dall’Enel al Sindaco di Porto Empedocle; passando per Corriere e Rai. 90 minuti appassionati iniziati con un ricordo a Giancarlo Siani: “Gianca’ ci sono i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati, tu devi fare il giornalista impiegato; perché le notizie so rotture ’e cazzo”. Non ditelo a loro che tra muri di gomma, Why Not, rifiuti e medicinali si sono visti allontanati dall’informazione che “conta”.
 
Infine Antonio Sofi; Antonella Beccaria, John Byrne (direttore di Buisnessweek) e Mario Tedeschini Lalli hanno parlato di Web. John Byrne ha parlato di come Buisnessweek sia sempre di più 2.0, con le parti “in your face” dove il lettore-attore puo’ parlare al giornalista e “riprenderlo” nel caso in cui abbia scritto inesattezze. Oppure la possibilità di proporre macro-temi che saranno, poi, sviluppati dalla redazione. Il paragone con l’Italia è facile e immediato, gli USA dell’informazione “imbalsamata” di Bush si sono dati l’ennesimo colpo di reni per uscire dalla crisi – economica e di informazione – e l’hanno fatto battendo la strada dell’ecologia per la prima il web per la seconda. Il bel paese esce distrutto dal confronto che la vede sempre di più alla ricerca di un nocchiere che la porti fuori da questa tempesta.
 
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Quella che segue è un’intervista a Giuseppe Ruggero, regista del documentario Biutiful Cauntri, in cui il regista ci parla di cosa è oggi la criminalità e dell’importanza che altre forme espressive hanno nel parlare di questi fenomeni. Il giornalismo muta e Ruggero sottolinea l’importanza del Giornalismo Partecipativo perché "Il più grande gruppo editorale in questo paese siamo noi, i cittadini"
 
Ha parlato dei Rapporti sulle Ecomafie di Legambiente, cosa c’è ad oggi di non svelato?
Ad oggi c’è stata una trasformazione per quello che riguarda la criminalità organizzata, bisogna fare attenzione a non parlare solo di criminalità organizzata, quando oggi si parla anche di una criminalità ambientale fatta dai colletti bianchi, da professionisti, imprenditori, tecnici di laboratorio, da industriali. E’ un settore che deve ancora emergere. E’ difficile perchè non c’è una comunicazione immediata, qui non c’è una guerra tra clan, non ci sono i morti, non c’è una faida tra camorra, ’ndangheta... Qui la morte avviene nel tempo e non si vede. Non si usano le armi, si usano camion, rifiuti e le cui morti sono lente e silenziosi. Ed è proprio per questo che è difficile raggiungere la gente. Ma quando si riesce a bucare, a raggiungere il pubblico, come è accaduto con il nostro documentario e far capire che non è una questione di criminalità, ma di coscienza sociale, allora lì, quando riesci a colpire la singola persona, c’è lo scatto di orgoglio e riesci a colpire le coscienze.
 
Sull’ecomafia ci sono nuovi fronti, l’eolico, le energie rinnovabili perchè è lì che si è spostato l’interesse della criminalità organizzata. E’ una continua evoluzione: dobbiamo essere bravi ad aggiornarci per arrivare a capire e a spiegare cosa succede nel nostro paese.
 
Ha parlato, anche, di colletti bianchi, quali sono le difficoltà a rendere pubbliche le inchieste sul tema facendo nomi, cognomi e numeri?
E’ molto difficile soprattutto per quanto riguarda la grossa comunicazione.
Mi ricordo sempre Pierluigi Vigna, quando era presidente della commissione antimafia, diceva che è molto più facile arrestare un boss con le mani sporche di sangue, che un imprenditore, un colletto bianco che fa operazioni in banca o in borsa.
 
I nomi e cognomi li puoi fare quando hai la certezza, la criminalità organizzata è imprenditrice. Lavora e conosce le leggi meglio di chi lo fa per professione. Diventa difficile anche per questo. Ed è difficile proporlo a un giornale, per questo si scelgono altre forme: il libro o il documentario. Una cosa per essere denunciata da un giornale e arrivare al pubblico, deve essere fatta per forza da nomi e cognomi. Noi, con Biutiful Cauntri, non abbiamo fatto nomi, perchè ritengo che per denunciare non serva sempre farli questi nomi e cognomi. Lo abbiamo dimostrato con il nostro documentario dove i fatti raccontati valgono molto di piu dei nomi. Non si deve generalizzare. Ci sono varie forme espressive che sono tutte valide a raggiungere i risultati di un inchiesta.
 
Durante l’intervento ha messo in guardia riguardo il troppo rumore che può esserci intorno a queste questioni, e che può a volte degenerare in moda...
Faccio una premessa: E’ meglio parlarne e parlarne tanto che non parlarne affatto. Ho paura non del professionismo dell’antimafia, ma temo che il mondo degli editori guardi a quello che “tira”. Oggi tira la camorra. La ’ndrangheta, la mafia, la sacra corona unita sono in secondo piano. Oggi si parla di Don Peppe Diana. Bisogna fare attenzione a non scadere nel “Gomorrismo”. Gomorra è un opera eccezionale e Saviano è un grande, ma bisogna fare attenzione. Certo se ne deve parlare, senza scadere nel gossip e nella commercializzazione di fenomeni come la criminalità organizzata.
 
Secondo lei il giornalismo partecipativo può contribuire ad aiutare le inchieste su questi temi?
Penso sia fondamentale. Il più grande gruppo editorale in questo paese siamo noi, i cittadini. Dove ognuno è editor di se stesso. Ho una notizia, la comunico attraverso internet ad altre 10 persone e queste saranno a loro volta portatori di questa notizia.
 
Il giornale è un atto: devo scendere, andare a comprarlo e scegliere quale testata leggere. La rete il tam tam il parlare è meno evidente, però può essere di sicuro un elemento fondamentale per incidere in questo paese.
 
 

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