FIAT: quando la finanza tira più dell’industria

Nei giorni scorsi i vertici della Fiat si sono incontrati con i rappresentanti del governo a Palazzo Chigi. A sentire la stragrande maggioranza degli araldi della notizia sembra che l’incontro abbia dato risultati più che positivi, ma sono in molti a pensare che ci sia stato solo “tanto rumore per nulla”. Allora dov’è la novità? Mentre Fiat faceva la passerella insieme a B. & Co. rassicurando tutti - ma solo a breve termine, giacché il “trasloco” della sua sede è stato solo procrastinato al 2014 – la famiglia Agnelli ha spostato verso la Cina il baricentro dei suoi - non secondari - interessi finanziari. Ecco la grande novità passata inosservata.
La notizia è di venerdì: John Elkann, oltre ad esserne presidente, è ora anche nuovo amministratore delegato della società finanziaria Exor S.p.A., controllata dalla famiglia Agnelli, attraverso la quale gli eredi dell’Avvocato controllano Fiat Auto e Fiat Industrial. Nella società sono sopravvenuti diversi cambiamenti, oltre quello accorso al vertice. In primis, Exor ha anche deciso di espandersi sempre più in Asia; a questo proposito ha pensato bene di avvalersi di top managers le cui specialità sono i mercati asiatici, quello cinese in particolare; infatti, la sede di Exor è stata spostata da Torino a Hong Kong, potenziando quest’ultima. A sentire i rumores, anche il giovane Elkann in un recente passato ha viaggiato molto in Oriente alla ricerca di nuovi investimenti, non tanto per l’industria automobilistica, che in Cina - almeno per ora - avrebbe pochi sbocchi, ma per quella finanziaria, sempre più, vero fiore all’occhiello della famiglia.
Che gli Agnelli vogliano sbarazzarsi del ramo automobilistico per dedicarsi alla finanza? Penso di no. A breve termine, sicuramente, non ci saranno cambiamenti eccezionali nei prossimi tre anni, giacché la Fiat ha confermato con il governo gli accordi presi già con le parti sociali precedentemente. Quello che preoccupa è il medio e lungo termine. Infatti, è matematico che, per una multinazionale che produce auto in paesi, dove tra l’altro il mercato è quasi saturo, che vuole controllare mercati dove le auto, per essere accessibili ai più, devono costare come minimo dalla metà in giù rispetto a quanto costano in Europa, è chiaro che debbano intercorrere cambiamenti epocali nella sua produzione. L’azienda sta premendo perché si applichi a tutti gli stabilimenti italiani il modello Pomigliano-Mirafiori, tuttavia non è detto che sarà vincolata a rimanere in Italia ad oltranza. La Fiat è da anni che ci prova; voleva una piattaforma nordamericana da sempre: dapprima ci ha provato con altri, ora sembra esserci riuscita con la Chrysler. È Certo che negli USA le macchine Fiat non costeranno così poco, ma sul mercato centro e sudamericano sì. In più, produrre in America per la Fiat è vantaggioso per vari motivi, innanzitutto per la maggiore flessibilità finanziaria del sistema statunitense con logiche di investimento più spregiudicate e anche molto più aggressive rispetto a quelle europee, ma anche, cinicamente parlando, perché il sistema socio-politico americano è molto più disposto a sacrificare i propri operai quando la baracca non tira più, senza tanti diritti e tutele sociali da tenere in considerazione. E così l’azienda, una volta fatta ulteriore fortuna negli States, potrà sbaraccare a suo piacimento anche da lì come sta facendo qui. In poche parole, la tattica del già citato motto del “sfrutta, satura e scappa”.
Pensando a B. che tempo fa palesò il suo “profondo pensiero” dicendo che se a Mirafiori avesse vinto il “no”, bene avrebbe fatto la Fiat ad andarsene dall’Italia, risulta chiaro da tempo ormai qual è l’ideologia portante del capitalismo italiano. Peccato che sia stato lo Stato a rendere possibile ciò, dapprima foraggiando la Fiat per decenni e poi dandogli mano libera di andarsene senza chiederle conto di nulla. Ma in una Nazione liberista, o almeno dove i suoi leaders si professano tali, lo Stato sarebbe dovuto essere arbitro e non giocare con una delle due squadre!
Comunque, da come si stanno muovendo le pedine sulla scacchiera sembra ormai chiaro che la Fiat dopo il 2014 porterà via altra produzione dall’Italia, forse tutta o quasi, con buona pace dei politici che sanno molto bene quali siano i reali piani della multinazionale; in più, da come gli Agnelli si stanno muovendo sul mercato asiatico con Exor, il vero obiettivo della famiglia sembra essere l’immenso mercato finanziario cinese con un’economia in piena espansione e con prospettive d’ingenti profitti da finanza senza tante tasse da pagare al governo italiano che, in parte, nei bei anni che furono, ha contribuito a creare quell’enorme ricchezza di cui ora la grande dinastia dispone, con buona pace dei contribuenti italiani. La cosa più bella – si fa per dire – è che quando Fiat un giorno avrà portato ulteriore produzione all’estero, continuerà a vendere le sue macchine in Italia, e magari costeranno pure di più!
Mi vengono in mente le parole che B. pronunciò in piena campagna elettorale dinanzi alla platea di Confindustria: “Il vostro programma è il mio programma!”.
Un popolo che sia tale dovrebbe capire cosa significa affidare a certi individui i più alti scanni del governo di una Repubblica, fondata tra l’altro sul lavoro.
Questo governo ha le più grandi e ampie responsabilità anche per quanto concerne la gestione del “caso Fiat” e affini.
Che le Multinazionali siano ciniche non c’è ormai ombra di dubbio, e se qualcuno li avesse, basta che faccia riferimento al nostro caro Sergio, che di “nostro” ha solo il nome, per il resto, per come si comporta, è un “alieno”. Tuttavia, doveva essere il governo a tutelare i più elementari diritti su cui questa Nazione ha fondato la sua Repubblica, ma così non è stato! E fra mutande, festini, gossip, giornalisti prezzolati, politici falsi e bugiardi che la mattina dicono una cosa e la sera un’altra, a cui è lecito aggiungere anche la categoria di certi imprenditori, l’Italia, giorno dopo giorno, oltre a perdere Pil, tasse, sviluppo e crescita a vantaggio di lobbies spregiudicate, ha già perso importanti tasselli della sua economia a svantaggio dei più e di sè stessa.
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