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Erdogan e il rubinetto del gas

Alcune cose, nella politica internazionale, lasciano sempre senza parole. Un po’ per l’estrema complessità di alcune vicende che si protraggono per decenni senza che si trovi una via d’uscita, e un po’ anche per l’incredibile faccia tosta che alcuni politici riescono a mettere su davanti ad indiscutibili contraddizioni.

Un insieme di questi due elementi si trova, in proporzioni tutte da verificare, nella politica estera turca dell’attuale governo Erdogan.

Improvvisamente fattosi fautore dei diritti della minoranza palestinese e delle escursioni un po’ azzardate (e molto romantiche) degli equipaggi delle due Freedom Flottila, il premier turco sembra aver nascosto sotto al tappeto i due o tre problemi che la comunità internazionale rinfaccia al paese islamico. Parliamo, è ovvio, della questione curda, ma anche dell’irrisolto problema di Cipro (che sta piano piano tornando a galla) e, in un angolino dei grandi drammi ormai ridotti a faccenda da dibattiti storici, quello dello sterminio degli armeni.

E così, Erdogan minaccia sfracelli contro Israele, reo - secondo la diplomazia di Ankara - di aver compiuto un atto di pirateria in alto mare, ma sbugiardata all’istante dalla Commissione Palmer che il Segretario Generale dell’ONU ha attivato per chiarire i fatti della Mavi Marmara, costati la vita a nove attivisti dell’IHH (ong turca di ispirazione spiccatamente islamista).

Dal momento che la Commissione ha ritenuto legittimo dal punto di vista del Codice del Mare il blocco navale di Gaza, in quanto entità territoriale belligerante con Israele (e da cui Israele ha il diritto di difendersi, dice il rapporto Palmer), la posizione della Freedom Flottilla e del suo sponsor turco si sono trovati dalla parte del torto secondo il diritto internazionale (il che non significa necessariamente che Israele sia – eticamente – dalla parte della ragione rispetto a Gaza).

Ma la cosa che sorprende è che, proprio mentre la Turchia si inalberava scaldando gli animi di tutto il mondo arabo, i suoi cacciabombardieri si alzavano in volo per andare a bombardare, al di là del confine iracheno, le postazioni curde, facendo un centinaio di morti, con la scusa di un precedente attacco dei guerriglieri del PKK costato la vita ad una decina di soldati turchi; ma non sono le stesse ragioni che Israele accampa tutte le volte che compie i suoi raid su Gaza, in risposta ai missili che da anni vengono sparati sui villaggi prossimi al confine?

Strane logiche. Ma anche la questione di Cipro presenta aspetti paragonabili – senza forzare troppo le similitudini – a quella palestinese.

Un documento della BBC del 2004 riferisce degli esiti del referendum sulla riunificazione dell’isola, divisa dal 1974 a seguito di un golpe filogreco seguito dall’invasione di truppe turche che ha spaccato l’isola in due parti ostili e immusonite; il piano di riunificazione e pacificazione dell’ONU fu accettato a larga maggioranza dalla comunità turco-cipriota e respinto con altrettanta determinazione da quella greca.

Il motivo del rifiuto sembrerebbe essere che “la comunità greca è scontenta del fatto che la proposta limiti il loro diritto al ritorno, mentre permette a decine di migliaia di coloni turchi insediatisi dal 1974 di rimanere”. Fra l’altro pare che ai coloni turchi di recente (sic!) immigrazione fu concesso di votare al referendum, diritto negato invece ai profughi fuggiti dall’isola durante i disordini.

Trovate una differenza con il problema dei coloni della West Bank e del diritto al ritorno dei profughi palestinesi del ’48? Perché allora i diritti palestinesi sono sugli scudi e quelli dei curdi o degli esuli greco-ciprioti no? La Turchia ha le carte in regola per salire in cattedra a dare lezioni di etica? O muove le sue pedine per interessi geostrategici molto pragmatici e poco etici?

Gira e rigira sta emergendo che il nocciolo della questione giace in fondo al mare: l’enorme giacimento di gas scoperto a cavallo (tanto per semplificare le cose) tra le coste israeliane, libanesi e cipriote. Ma “cipriote” del sud greco o del nord turco? Sembrerebbe del sud greco, ai limiti appunto delle acque israelo-libanesi; e allora che vuole la Turchia?

Non è di deduzione immediata, ma il ragionamento è semplice: la comunità internazionale non ha mai riconosciuto la legittimità della separazione della parte nord di Cipro, riconoscendo invece legittimo rappresentante di tutta Cipro l’autonomo Stato meridionale, recentemente accolto fra i paesi membri dell’Unione Europea. Quindi le acque di interesse economico esclusivo cipriote, riconosciute dal diritto del mare, sarebbero di competenza di tutta Cipro, non della sola parte greca.

Non avete riconosciuta l’autonomia della Cipro turca – sembra dire Erdogan – allora adesso riconoscete il suo diritto a sfruttare i giacimenti di gas anche se sono a sud dell’isola. Diritto paritario a quello greco cipriota. E, per la parte turca, parla la Turchia e la sua marina militare. Qualcuno può dargli torto? Sembra che quegli imbrattacarte dell’ONU abbiano fatto un altro pasticcio.

Problema: lo scambio di schiaffi (dati e ricevuti) con Israele ha spinto quest’ultimo a stringere l’occhio alla Grecia, che se può fare lo sgambetto alla Turchia lo fa, anche se dovesse esalare nel frattempo l’ultimo respiro. E a stringere qualcosa più di un occhio con i curdi e forse gli armeni (e già le bombe scoppiano ad Ankara). Forse perfino la Siria, a cui la Turchia ha abbaiato di smetterla con il massacro di civili, non vede di buon occhio la politica neo-ottomana e chissà che ne pensano gli Hezbollah, targati Teheran, del nuovo feeling fra turchi ed egiziani, Hamas e ANP.

Insomma il magma mediorientale sta ribollendo ("primavere" comprese) e non si sa bene che cosa ne verrà fuori; certo è che piano piano - noi comuni mortali siamo sempre gli ultimi a sapere - si comincia a capire perché gli amici sono diventati nemici e i nemici quasi amici.

“Grande è la confusione sotto il cielo”, diceva il presidente Mao, concludendo “e la situazione è eccellente”. Ma non aveva ancora visto il Mediterraneo orientale di questi nostri fulgidi anni, che, non so a voi, ma a me fa un po’ paura.

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