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Ecuador: il fallimento della militarizzazione

La strategia repressiva di Noboa non è servita a fermare la violenza dei cartelli della droga. La criminalità organizzata, nonostante i numerosi arresti dell’ultimo periodo, si è impadronita del paese sfruttando le politiche neoliberiste da cui è derivata la crescita di imprese offshore e delle attività di riciclaggio di denaro sporco che le hanno permesso di ramificarsi tra le istituzioni.

  Foto: pagina12.com.ar

A circa un mese dal narcogolpe che ha messo a ferro e a fuoco l’Ecuador, emerge in maniera evidente il fallimento della strategia di militarizzazione del giovane presidente Daniel Noboa. La promessa di costruire più istituti penitenziari sul modello di quanto fatto da Bukele in El Salvador non solo non ha avuto alcun esito, ma è proprio dalle carceri che i narcos hanno dato vita alla rivolta. Se il 2023 aveva fatto registrare il poco invidiabile record di ben 8.000 morti violente, l’inizio del 2024 non è stato da meno e l’insicurezza, nonostante i proclami di Noboa, sembra farla ancora da padrona, come dimostra l’omicidio del pm César Suárez a Guayaquil, avvenuta il 18 gennaio mentre si recava a un’udienza, senza scorta, nonostante le minacce ricevute. Suárez aveva interrogato i responsabili dell’attacco alla tv Tc che aveva fatto il giro del mondo.

Le “organizzazioni terroriste” e gli “attori non statali belligeranti”, così il presidente dell’Ecuador ha definito i narcos, a seguito del “conflitto armato interno” che ne è derivato, hanno costretto Noboa a richiedere l’intervento degli Stati uniti, ai quali non è parso vero di sfruttare un’occasione in più per tenere sotto il controllo militare l’America latina. Daniel Kersffeld, nell’articolo “L’Ecuador si apre all’intervento militare degli Stati Uniti”, pubblicato su Página/12 e tradotto in italiano dal Comitato Carlos Fonseca, scrive infatti che “l’ultimo viaggio dell’ex presidente Guillermo Lasso negli Stati Uniti, realizzato alla fine di settembre 2023, è risultato chiave per la firma di due accordi internazionali che, non casualmente, non sono stati diffusi in modo ufficiale dal Dipartimento di Stato. Mentre il primo accordo permette la presenza di navi militari statunitensi nelle acque ecuadoriane, il secondo fissa direttamente le condizioni per la presenza di militari degli Stati Uniti in Ecuador”.

Attualmente, in Ecuador è in vigore lo stato d’assedio per 60 giorni stabilito da Noboa, ma ciò non è servito a rintracciare due criminali come Adolfo “Fito” Macias, fuggito dal carcere di Guayaquil, né Fabricio Colón Pico, quest’ultimo evaso a disordini già scoppiati. L’ondata di violenza di inizio gennaio è anche frutto delle scelte scellerate di Moreno prima e di Guillermo Lasso poi, che, in nome del neoliberismo, hanno smantellato definitivamente quel poco che restava dello Stato e adesso serve a ben poco il tentativo di Noboa di far sapere ai suoi concittadini che nel paese esistono oltre 20 gruppi della criminalità organizzata, poiché la situazione gli è già completamente sfuggita di mano.

Gli stessi proclami di Noboa, che definisce l’Ecuador un terreno di scontro dei cartelli della droga messicani di Sinaloa e Jalisco, più che un tentativo di smascherarli appare come una disperata richiesta di aiuto agli Usa. Le politiche di aggiustamento strutturale a cui tutti i governi susseguitisi al correismo si sono adeguati, oltre a rendere sempre più debole la presenza istituzionale dello Stato, hanno finito per permettere alla criminalità organizzata di installarsi in Ecuador anche dai paesi confinanti, snaturandone del tutto la sua struttura. È così che l’Ecuador si è trasformato, in pochi anni, da paese pacifico a paese governato dal narcotraffico.

Sulle cause che hanno portato l’Ecuador nel caos, anche Eloy Osvaldo Proaño non ha dubbi. La riflessione dell’analista del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico (CLAE) “Ecuador: Narcos, violencia, neoliberalismo e ¿intervención de EEUU?” pone l’accento sulle riforma strutturali neoliberiste promosse dalle destre in accordo con il Fondo monetario internazionale, da cui è derivata la crescita di imprese offshore e delle attività di riciclaggio di denaro sporco, attraendo così la criminalità organizzata che, pian piano si è ramificata tra le istituzioni, come testimoniato dall’“Operativo Metástasis” dello scorso dicembre, che aveva condotto a 29 arresti tra politici, giudici, magistrati, avvocati e poliziotti.

A ciò si è aggiunta, da parte di Noboa, la dichiarazione sul “conflitto armato interno” che, in pratica, permette alle forze armate di agire con metodi tipici di uno stato di guerra dove sono sospese le garanzie democratiche e costituzionali nei confronti di tutta la popolazione. Inoltre, Noboa dimentica i fallimenti degli ex presidenti di Colombia e Messico, Uribe e Calderón, i quali avevano cercato di combattere i narcotrafficanti esclusivamente sul terreno militare uscendone non solo sconfitti, ma creando, anzi, le premesse per un’insicurezza ancora maggiore nei loro paesi.

All’attuale presidente ecuadoriano, di soli 36 anni, manca anche quell’esperienza politica che lo ha indotto a nominare come ministro della Difesa Giancarlo Loffredo, a sua volta senza alcuna conoscenza della materia, noto solo per essere un tiktokero e un istruttore di difesa personale ed un ex generale in pensione alla guida del Sistema Nacional de Atención Integral a Personas Adultas Privadas de Libertad y a Adolescentes Infractores.

L’incapacità di Noboa, che puntava alla rielezione nel 2025 dopo il breve mandato in cui è stato eletto per rimpiazzare Guillermo Lasso e di certo non si aspettava di trovarsi in una simile situazione, rappresenta un vantaggio per i cartelli della droga. Il Plan Fénix per la sicurezza e la Ley de Recuperación de Seguridad Social y Económica, volti a limitare il dilagare della delinquenza, probabilmente non serviranno per fermare le mire dei narcos sui porti del Pacifico ecuadoriano, da cui partono le rotte del narcotraffico, e l’Ecuador rischia di divenire l’ennesimo stato in decomposizione dell’America latina.

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