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Economia, Shar’ia, Umma e Fatwa

Il "fainestai", l'apparenza, cambia, la sostanza resta. E l'economia è anche cultura, è modo di vivere cioè di spendere. E due fatti, a poca distanza uno dall'altro, la crisi degli anni '90 e l'attacco alle torri gemelle, hanno aperto uno iato tra economia dell'Occidente, in particolare degli USA, ed economia dei Paesi islamici con uno spostamento massiccio di capitali a favore di questi ultimi. Il trascorrere del tempo sino ad oggi ha solo rafforzato il trend.

La crisi degli anni '90 porta in auge uno dei Paesi islamici più colpiti dalla stessa, la Malesia, la quale però è connotata da una economia fortemente aderente ai principi islamici, specie nel settore bancario e finanziario, in particolare alla Gharar, il divieto della speculazione ed il dovere della Shar'ia, quella che noi chiamiamo solidarietà.

L'applicazione della Gharar e della Sharia sono basilari per la realizzazione dell'Umma, il bene comune. È proprio con un appello alla Shar'ia che l'allora premier Mohamad Mahathir riesce ad uscire dalla drammatica situazione in cui versa il suo Paese, la risposta dei "fratelli" islamici è infatti immediata e tutti aiutano e tra gli aitanti più illustri, oltre ai sauditi c'è ad es. Mohamed Al Fayed, padre di Dodi.

Il fattore religioso culturale dunque è stato ed è ancora attualmente determinante per l'economia. Fattore che ci differenzia - connotandoci in negativo - dalla cultura islamica: noi infatti ci sentiamo prima americani o francesi o italiani e solo poi ed eventualmente cristiani; l'islamico si sente prima ed anzitutto islamico e poi malese o arabo o egiziano. Noi ci sentiamo prima legati ad un mercato e solo poi ed eventualmente alla concrezione dei valori cristiani del divieto della speculazione, dell'usura, al dovere della solidarietà.

L'economia islamica li pone con la Fatwa, ossia per editto, cioè con norme direttive di fatto vincolanti a quei valori che di fatto invece la ns economia occidentale avversa nella sua disonesta pratica. La crisi degli anni '90 perciò finisce per creare una barriera normativa tra i Paesi islamici e quelli occidentali. L'11 settembre partorisce invece il "Patriot Act", normativa antiterroristica la quale di fatto però interviene - e fortemente - anche nel settore economico creando una ulteriore barriera, questa volta da parte degli USA, che disincentiva di fatto - e portandoli al crollo - gli ingenti investimenti islamici. Doppie barriere dunque ancora esistenti, ben salde ed in forte ispessimento.

Si ripropone oggi perciò ciò che già si era visto nei tempi andati e che uno dei più autorevoli specialisti del Medio Evo, Henri Pirenne, aveva indicato quale sfondo contestuale connotativo della Storia di quel periodo in un suo celeberrimo studio dal titolo assai significativo: "Maometto e Carlo Magno". È forse utile ricordare che l'impero carolingio ha potuto crearsi proprio nella ispirazione a quei princìpi cristiani, l'allontanamento dai quali ne fu la causa del disfacimento.

Guardando oggi alla Shar'ia, alla Gharar, alla Umma, poste come norme concrete dell'economia, e poi volgendoci a quella nostrana, viene in evidenza anzitutto il sempre più massiccio ateismo dell' Occidente, e poi la figura di quel Padre Flynn di joiciana memoria che si staglia nel primo dei racconti di "Gente di Dublino".

È triste per un occidentale dover riconoscere che la gigantesca crescita finanziaria dei Paesi islamici abbia per origine una superiorità morale: loro praticano quei valori ai quali specie noi cristiani diciamo di ispirarci, solo che loro lo fanno, noi siamo come Padre Flynn ed il suo pubblico: facciamo belle parole agendo poi apertamente in contrasto con esse, anzi, dando per scontato che così sia: Padre Flynn celebrava messa e faceva il predicozzo davanti ad un pubblico di usurai dai quali era allegramente finanziato ... E così mentre da noi banche e finanza tracollano nella sporcizia dei derivati, inventati da Michele Sindona, degno uditore di Padre Flynn, da loro prosperano (e meritatamente).

 

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