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Ebola | L’Africa corre ma non pianifica: una lezione dalle epidemie di ebola

L’Africa Centrale si avvicina a un punto critico mentre sempre più persone si riversano nelle città. Le strade aumentano ma non si può dire lo stesso di accesso ai servizi e infrastrutture sanitarie.

di Cristina Da Rold

Analizzare l’andamento delle epidemie nel tempo ci dice molto sulla qualità del “progresso” che stiamo portando in Africa Centrale. Nel corso dei decenni abbiamo affinato la capacità di curare alcune malattie o prevenirle grazie ai vaccini, ma i dati ci mostrano che in alcuni casi abbiamo peggiorato la situazione.

La corsa all’urbanizzazione e alla costruzione di infrastrutture stradali non è stata accompagnata da un potenziamento di quelle sanitarie, per un reale ed equo accesso ai servizi. L’Africa centrale sta vivendo il più veloce del mondo tasso di urbanizzazione, con il 50% della popolazione che prevede di vivere nelle grandi città entro il 2030.

Luoghi storicamente rurali come Mbandaka e Goma, nella Repubblica Democratica del Congo (DRC), stanno diventando città da un milione di abitanti. Ma dove ancora oggi l’aspettativa di vita è di appena 59 anni per i maschi e di 62 anni per le femmine, con l’11% dei decessi dovuti a diarrea. Secondo un rapporto dell’OMS, nel 2015 il 42% dei congolesi viveva nelle città ma sette su 10 non avevano accesso ai servizi igienici di base. (Qui a pagina 62)

Imparare dalle epidemie

Nei giorni scorsi un gruppo internazionale di ricercatori ha pubblicato sul New England Journal of Medicine una riflessione su che cosa possiamo imparare dalle recenti epidemie di ebola che hanno scosso l’Africa Centrale negli anni più recenti, e che stanno colpendo in questi mesi ancora una volta la DRC.

Dopo una prima epidemia da aprile a giugno che si è riusciti a contenere, contando “solo” 29 morti, i festeggiamenti si sono spenti ad appena qualche giorno dalla dichiarazione di conclusione dell’OMS, con primo nuovo caso a Nord del paese.

Una seconda epidemia che già dai primi giorni si è rivelata più difficile da contenere in termini di mortalità: al 26 agosto l’OMS contava infatti 111 casi, di cui 83 confermati, e 75 decessi, di cui 47 in casi confermati di ebola. L’epicentro di questa seconda ondata è la zona sanitaria di Mabalako, nella provincia di Nord Kivu, seguita dalla provincia di Ituri, zone che vivono un’emergenza umanitaria.

Nord Kivu e Ituri sono tra le province più popolate della Repubblica Democratica del Congo – Goma ha un milione di abitanti, Butembo 670.000 e Beni 230.000 – e stanno vivendo un’intensa insicurezza e un peggioramento della crisi umanitaria, con oltre un milione di sfollati interni e un continuo movimento di rifugiati verso i paesi vicini, tra cui Uganda, Burundi e Tanzania.

Il Nord Kivu in particolare confina con l’Uganda e il Ruanda. Inoltre il paese è uno dei più vessati dell’Africa da continue epidemie oltre a ebola tra cui il polio, colera, morbillo e vaiolo delle scimmie. L’8 agosto 2018 sono iniziate le operazioni di vaccinazione e finora sono state trattate 4130 persone.

Attualmente sono note diverse specie di appartenenti al genere Ebolavirus, battezzate a seconda della zona dove sono state riscontrate: Zaire ebolavirus (ZEBOV), Sudan ebolavirus (SEBOV), Bundibugyo ebolavirus, Reston ebolavirus e Tai ebolavirus.

Clicca sull’immagine per accedere alla storymap interattiva.

Il caso dell’Africa Centrale

Secondo i dati NEJM, dal 1976 a oggi solo l’Africa Centrale – Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo e Gabon – è stata interessata da 16 epidemie di ebola. Senza contare quelle vicine in Uganda e Sud Sudan. Il virus dell’ebola (in particolare Zaire ebolavirus) è stato descritto per la prima volta proprio dopo l’epidemia di febbre emorragica scoppiata in Sudan e Zaire (oggi RDC) nel 1976, la più grave della storia dell’Africa Centrale con 318 casi.

La seconda quanto a gravità l’epidemia scoppiata nel 1995, che ha visto 315 casi, mentre la terza è quella del 2007 con 264 casi. Si è trattato prevalentemente di epidemie che hanno interessato regioni remote, dove c’era una bassa possibilità che si espandessero su vaste aree geografiche.

Diversamente è andata invece in Africa Occidentale con l’epidemia che ha colpito la Sierra Leone, la Liberia, Mali e Nigeria fra il 2013 e il 2015. Dall’inizio dell’epidemia al 27 marzo 2016 sono stati segnalati all’OMS 28.646 casi sospetti, probabili e/o confermati e 11.323 decessi.

Clicca sull’immagine per accedere alla mappa interattiva.

 

os ebola
Infogram

Una fondamentale differenza fra le epidemie del 2018 e quelle del 2013-16 è la possibilità di oggi, proprio grazie all’epidemia in Africa Occidentale, di avere un vaccino per l’ebola. Ma bisogna ragionare anche in termini sociologici. Secondo gli autori hanno pari responsabilità le logiche di inurbamento massiccio e rapido di alcune zone dell’Africa e quelle di potenziamento dei collegamenti stradali in aree prima pressoché isolate.

Cambiamenti che non sono andati di pari passi con una logica di potenziamento dell’infrastruttura sanitaria, non da intendersi solo come ospedali o farmacie ma presenza di un sistema di promozione della salute.

È l’eterno dramma delle periferie e di logiche urbanistiche non lungimiranti: costruire strade per unire il centro e le periferie senza preoccuparsi di ridisegnare una nuova struttura urbana realmente inclusiva in termini di accesso ai servizi. Se ci aggiungiamo il fatto che in alcuni paesi dell’Africa la promozione della salute non è prioritaria nemmeno nei centri urbani, è evidente che siamo davanti a un corto circuito. Basti pensare alla diffusione dell’obesità e del diabete in alcune metropoli africane.

L’Africa Centrale si sta avvicinando a un punto critico anche dal punto di vista sanitario. Le forze internazionali che la supportano nello sviluppo di infrastrutture dovrebbero riflettere sull’importanza di investire in promozione della salute come una priorità.

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Questo articolo è stato pubblicato qui

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