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E’ una notte in Italia - la sinistra e il circolo del bridge

È difficile confrontarsi con la propria storia, figuriamoci se è possibile farlo con i propri errori. In meno di quindici anni un enorme patrimonio di storia, idealità e democrazia è stato liquidato sull’altare del narcisismo di un personale politico di bassissima levatura.

Ceto e cultura. Ceto politico sordo e autoreferenziale, disattento e spesso (e quante volte!) arrogante. Cultura marginalazzita a accessorio non indispensabile. Tutto questo è traducibile e si è tradotto in un vuoto di iniziativa, analisi e passione per la polis. La sinistra ha completamente perso il contatto con la realtà. Non con l’elettorato che, ricordo, è fatto di persone, di corpi e emozioni di donne e uomini e non di schede e flussi di intenzioni di voto. L’ha perso con l’intero corpo sociale di riferimento. Basta guardare il livello inesistente di dibattito sulle idee e l’altissimo, invece, interesse al tatticismo di schieramento a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Anzi, azzardo. Ciò a cui abbiamo assistito dalla caduta del primo governo Prodi un’era fa.

“È una notte in Italia” titolava una vecchia canzone di Fossati. Una notte che non finisce più. Ha ragione Fausto Bertinotti a dire che si è sprecato un sei per cento e un’occasione unica di ricominciare a respirare dopo un anno e passa di apnea. Peccato che abbia così tante responsabilità, il buon Fausto, nel perdurare di questo disastro politico e culturale. Uno dei primi a interrompere l’antica tradizione dell’ascolto fu proprio lui. A dimostrazione quella stagione di promozione della mediocrità e dell’inesperienza arrogante a cui si è assistito durante l’ultima fase della sua guida al partito. Tanto per capirci, non si possono liquidare con un colpo di penna decine di circoli operai e poi lamentarsi che gli operai (mannaggia a loro, ingrati) si sono messi a votare Lega. Non è che i neo trinaricciuti di oggi, duri e puri e con i tappi nelle orecchie, siano poi andati meglio. Ma quel ciarpame di salotti, party, sorrisi di circostanza dopo una seduta in beutyfarm erano (e lo sono stati per la stragrande maggioranza di chi a quell’esperienza politica aveva creduto) intollerabili.



E che dire degli ambientalisti? Dopo l’orgia governativa di tre lustri di tatticismi che perfino Pannella avrebbe fatto fatica a ideare, si trovano oggi davanti alla loro più assoluta e incredibile marginalità. Oggi che l’ambientalismo diventa motore di nuova cultura e di rinnovata radicalità in tutto il mondo, in Italia (dove più forte sarebbe necessaria la loro presenza per far fronte al progetto distruttivo del berlusconismo) l’ambientalismo è ridotto alle dimensioni di un circo del bridge. Per me, che in quell’esperienza c’è cresciuto, che ne conosce valori e limiti fin dalla sua nascita, è un dolore immenso vedere a quanto poco si è ridotta quella storia. Che in parte, ripeto, è stata anche mia.

Uno dei confini di questa sempre più insistente e incalzante sindrome dell’auto sommministrazione del virus della sconfitta, va cercato in una parolina semplice semplice, ma nella sua semplicità enorme: “legalità”. Sulle tante crepe del dibattito (c’è stato un dibattito? Me lo sono perso?) su giustizia e legalità si è infranto un pezzo enorme del consenso a sinistra. Ogni richiesta di legalità in questi ultimi anni è stata semplificata e liquidata nella superficializzazione denigratoria della definizione “giustizialista”. Ora se ne vedono i risultati. Quando il 30 per cento dell’economia nazionale si basa su soldi provenienti dalle cassaforti delle mafie, quando le mafie si nutrono di esclusione sociale e sottosviluppo, quando le mafie saccheggiano e inquinano l’intero territorio nazionale, quando infiltrazioni, collusioni e corruzione sono diventate prassi per la politica e la pubblicca amministrazione, liquidare con un “sei troppo giustizialista” chi chiede legalità è un errore clamoroso. A riprova, il successo personale di Luigi De Magistris. Uomo di sinistra costretto a cercare nell’Idv, che con la sinistra ch’azzecca davvero poco, uno spazio per trasferire in politica la propria esperienza. Non l’ho votato, ho anche avuto occasione di dirglielo personalmente. Ma sono contento, e molto, del suo successo. Una lezione epocale per la sinistra. Potrebbe e dovrebbe esserlo. Ma la sinistra sembra troppo impegnata a ridisegnare scissioni e alleanze tattiche prossime e venture. Perdendo anche nel proprio condominio.

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