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Droga, gli arrestati dell’operazione "Impero" scelgono il silenzio

Scelgono di rimanere in silenzio sei dei quindici arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti. L’operazione "Impero" della Dda di Campobasso ha decapitato tre organizzazioni che avevano stabilito il monopolio del commercio di coca e eroina tra il Molise e l’Abruzzo. I ruoli di capi e gregari delineati dalla Procura e quello di madri e mogli intermediarie per aggirare le restrizioni imposte agli uomini. Parla il capo della Dda D’Alterio: <C’era un soggetto in grado di garantire la pace sul territorio. Qui, a differenza della camorra, non c’è l’intimidazione>

Ci sono tre aspetti nuovi, di cui uno inusuale, nell’inchiesta “Impero” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Campobasso che ha portato ai quindici arresti eseguiti dalla Squadra mobile di Isernia e che evidenzierebbero, se venissero confermati in sede d’istruttoria, un "salto di qualità" da un punto di vista criminale.

 

Il primo è dato dalla contestazione dell’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti, mai accaduto precedentemente in provincia di Isernia. Gli altri due li ha spiegati il capo della Dda, Armando D’Alterio che, insieme ai sostituti Maria Carmela Andricciola e Fabio Papa, ha seguito l’indagine nata oltre due anni fa: "Dall’ascolto delle intercettazioni – ha affermato – all’inizio pensammo che si potesse trattare di una sola organizzazione. In realtà dall’analisi degli elementi sono emerse tre organizzazioni distinte e federate". La pax criminale che, di fatto, avrebbe consentito di svolgere il traffico di droga in regime di monopolio sarebbe stata assicurata dal ruolo svolto dai fratelli Di Silvio ed in particolare da Cristian che, stando alle indagini, sarebbe il dominus del patto di non belligeranza che regnava tra gli appartenenti alle tre famiglie rom. I due fratelli sarebbero, dunque, coinvolti nelle tre distinte associazioni a delinquere. "Ricordo un’esperienza del genere nel ‘90 – ha spiegato D’Alterio – presso la Dda di Napoli durante un’indagine ci trovammo di fronte ad un soggetto della pubblica amministrazione che rappresentava un elemento di snodo in grado di assicurare la pace sul territorio". Ciò che distingue quella situazione da quanto sta emergendo nell’inchiesta “Impero” man mano che i contorni vanno definendosi, lo spiega lo stesso magistrato: "in questo caso non c’è l’uso dell’intimidazione, pur essendoci una divisione delle piazze di spaccio". In sostanza l’accordo sarebbe stato facilitato dalla comune origine etnica.

 

Infine emergerebbe dall’impostazione dell’accusa un salto di qualità da un punto di vista criminologico. I soggetti rom coinvolti, molti dei quali gravati da precedenti specifici in materia di spaccio, sarebbero riusciti ad organizzarsi, a stabilire delle regole gerarchiche, ad utilizzare un linguaggio decrittato, a dividersi i ruoli e, in talune circostanze, quando "esporsi" per gli uomini corrispondeva ad assumersi rischi eccessivi, avrebbero delegato le donne.

 

Intanto cinque degli arrestati, ristretti presso il carcere di Isernia, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere dinanzi al Gip Luigi Cuomo, delegato dal collega del tribunale di Campobasso Gianni Falcione. Da parte della difesa si prepara l’impugnazione dell’ordinanza di custodia cautelare mettendo in discussione l’ipotesi di associazione a delinquere. A breve il Riesame dovrebbe pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione per due donne avanzata dall’avvocato Carmine Verde. Sempre ad inizio settimana ci saranno gli interrogatori di garanzia per le cinque donne in carcere a Chieti e Teramo e per il resto degli arrestati ristretti ad Avezzano.

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