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Dimissioni ad personam

Non c'è niente da fare. Un baro è un baro e pure in punto di morte troverà sempre la forza per provare a truccare la partita. Del resto, pur volendo confidare nel rigore e nella capacità del Capo dello Stato di far sì che il percorso indicato nella sua nota ufficiale si compia senza sorprese, come si fa di contro a credere che Berlusconi intenda realmente mantenere fede al solenne impegno annunciato dopo essere salito al Quirinale?

E' la storia di quest'ultimo che rende sospettosi, scandita da lustri di molteplici proclami sempre uguali a se stessi e puntualmente disattesi. E dall'anteposizione spregiudicata, ostentata al limite della decenza, dei propri interessi personali a quelli del Paese.

Le dimissioni, in una democrazia degna di questo nome, si rassegnano e non si promettono. In una società che funziona non si consente a un premier imbonitore di trascorrere le ore decisive della bufera finanziaria, che rischia di mettere a repentaglio le sorti del proprio governo e la tenuta sociale della comunità nazionale, a consulto col proprio "azzeccagarbugli", con gli amministratori delle proprie aziende e, dulcis in fundo, in compagnia di una delle tante giovani e disponibili cortigiane.

Se vivessimo nella normalità, con la borsa che affonda e lo spread che si impenna il presidente del Consiglio si sforzerebbe di gestire la crisi assieme al presidente della Repubblica, al governatore della Banca centrale, al Ministro dell'Economia. Ma siccome, ormai dal lontanissimo 1994, tutta la vicenda pubblica di questo Paese ruota attorno alle ben note esigenze di un sol uomo, c'è poco di cui essere sorpresi.

E "lui" non si è smentito neanche questa volta, pensando bene di verificare in via assolutamente prioritaria i rischi che potrebbe correre, assieme alla sua "roba", nel caso rimettesse a disposizione della politica la poltrona di Palazzo Chigi. Il problema, dal suo punto di vista, è tutto qua: come evitare di finire in galera e come salvare l'impero personale dall'assalto della Guardia di Finanza. Ecco perchè i diletti Piersilvio e Marina, col vecchio amico Confalonieri, lo hanno supplicato di non mollare.

Ma allora dove sta il trucco? L'ultima "berlusconata", a prima vista, sarebbe tutta politica e consisterebbe nella tattica dilazionatoria che vincola l'ufficializzazione del passo indietro all'approvazione delle misure di stabilità che peraltro, pur essendo urgenti e indispensabili, non sono ancora state presentate e discusse in parlamento. Senza tempi certi, dunque, e con il palese obiettivo di resistere fino a dicembre nella speranza di far emergere le divisioni nello schieramento avverso e recuperare consensi, ovvero di scongiurare la formazione di un governo alternativo favorendo invece lo scioglimento anticipato delle camere.

Tuttavia, non è detto che il tentativo riesca. Non soltanto per le forti pressioni delle opposizioni affinchè si arrivi il prima possibile al passaggio di testimone fra Berlusconi e un altro premier (Mario Monti?) e per i dubbi di Napolitano circa l'opportunità di una campagna elettorale proprio mentre i nostri mercati sono sottoposti a un attacco senza precedenti da parte della speculazione internazionale, ma pure per le divisioni dentro il Pdl e la Lega con le aree cosiddette degli "scaioljani" e dei "maroniani" decisamente poco consenzienti all'interruzione prematura della legislatura, nemmeno se a guidare il centrodestra a nuove elezioni fosse il più presentabile delfino Alfano. Non scordiamoci, infine, dei tanti peones terrorizzati dalla prospettiva di non maturare il diritto al vitalizio e di non essere ricandidati e rieletti.

La realtà, quindi, potrebbe essere ben diversa da come appare. In gioco, a voler essere fino in fondo perfidi e circospetti, non c'è tanto la salvezza del politico Berlusconi, del bipolarismo, della seconda repubblica, del modello politico-istituzionale plasmato a sua immagine e somiglianza in tutti questi anni, quanto invece proprio quella dell'uomo Berlusconi e del suo patrimonio. E allora, il vero ricatto del "me ne vado se" potrebbe mirare all'ottenimento di quel salvacondotto giudiziario e patrimoniale da molti evocato nelle scorse settimane e poi apparentemente finito nel dimenticatoio. Una questione, una proposta di scambio, rispetto a cui ci si può porre solo in due modi: accettando o rifiutando.

Dando di nuovo per scontata l'irreprensibilità etica e istituzionale del Presidente della Repubblica, e auspicando che la prima opzione non trovi assolutamente cittadinanza nelle invisibili trame politiche di queste ore, magari attraverso l'inserimento di straforo, all'ultima occasione utile, dell'ennesima legge ad personam dentro il provvedimento di stabilità, suggerirei alle forze di opposizione di non attendere passivamente l'indeterminata data delle paventate dimissioni del premier e di procedere senza indugio a raccogliere le firme per tenersi comunque pronte a presentare una mozione di sfiducia.

Lo spread continua a volare (e magari quelli più realisti del re diranno ora che è la prova provata che il collasso economico dell'Italia non è legato alla presenza di Berlusconi), il disagio sociale continua a dilagare nel Paese (tanto da essere ormai prossimi allo sciagurato epilogo della Grecia) e di quel personaggio lì, col senso delle regole e coi quattrini che si ritrova, non ci si deve più fidare. Neanche se sta esalando l'ultimo respiro.

Commenti all'articolo

  • Di Geri Steve (---.---.---.26) 10 novembre 2011 20:21

    Condivido in pieno le tue valutazioni e ho gia’ espresso opinioni simili qui in Agoravox in qualche commento.

     

    Esprimo pero’ forti riserve sul comportamento del presidente della Repubblica G. Napolitano.

    - assolutamente non avrebbe dovuto avallare: o Berlusconi si dimetteva o doveva metterlo alla porta, perche’ le "dimissioni condizionate",  oltre che essere un ricatto, sono anticostituzionali.

    - ha fatto dichiarazioni sulla necessita’ di approvare presto un certo maxiemendamento di cui neanche erano noti i contenuti.

    - dichiara che quell’approvazione e’ necessaria per creare fiducia sull’Italia, mentre non si capisce che fiducia possa dare un provvedimento da parte di un governo uscente e approvato da un parlamento sotto ricatto: "se non approvi Berlusconi non si dimette".

    - avrebbe dovuto utilizzare la sua autorevolezza per rivolgersi alla UE e affermare che la manovra sara’ invece scritta e gestita dal nuovo governo, in tempi rapidi ma con rispetto della chiarezza e con la dovuta ponderazione, e quindi con maggior autorita’.

     

    Geri Steve

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