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Declino e «pensiero unico». È possibile una no-fly zone tra «neoliberali» e «neokeynesiani»?

Il prolungarsi della crisi economica e le incognite sulla sua durata, inducono economisti e intellettuali di varia estrazione a proporre e firmare manifesti per la rinascita del Paese. Notevole attenzione mediatica ha ricevuto quello, ispirato a principi liberisti, e firmato da Michele Boldrin, Sandro Brusco, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino, Andrea Moro, Carlo Stagnaro e Luigi Zingales, dal titolo Cambiare la Politica, Fermare il Declino, Tornare a Crescere.

 A questa impostazione se ne contrappongono altre, quale quella fatta propria dai firmatari dell'appello-denuncia Crisi e informazione: il “pensiero unico” uccide la democrazia, che accusano non solo «la teoria economica neoliberale» di essere «concausa degli eccessi speculativi e degli squilibri strutturali nella divisione internazionale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza sociale», ma anche i mezzi di informazione e le più alte cariche dello Stato di presentare quella teoria, non come una opzione tra le tante, ma come verità «auto-evidente» e quindi percorso obbligato.

«Neoliberali» e «neokeynesiani», insomma, orgogliosi e battaglieri, alzano le loro bandiere e affilano le lame. Eppure, a indagare un po' le loro proposte, ci sarebbe forse materia per firmare un armistizio, per delimitare una no-fly zone, dove non far volare i propri cacciabombardieri.

Nel Fermare il declino, ad esempio, accanto a medicine come la riduzione della spesa di almeno sei punti percentuali del Pil in cinque anni; la privatizzazione delle imprese pubbliche e della Rai e una maggiore flessibilità nel mondo del lavoro che non potrebbero, crediamo, che sortire l'effetto di una generale chiamata alle armi degli opposti eserciti, ve ne sono altre, quali la «riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d'impresa», la lotta all'«evasione fiscale, destinando il gettito alla riduzione delle imposte», l'adozione di una «legislazione organica sui conflitti d'interesse», l'estensione a tutti i lavoratori, a prescindere dalla dimensione dell'impresa in cui lavoravano, di un sussidio di disoccupazione e l'incremento delle risorse destinate a scuola, università e ricerca, che potrebbero trovare consenzienti i due fronti contrapposti.

Certo, il possibile disaccordo sulle misure per conseguire quegli obiettivi, non permetterebbe alle parti coinvolte di fumare il calumet della pace, ma almeno di sotterrare, perlomeno momentaneamente, l'ascia di guerra.

 

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