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Crisi in Egitto: l’Unità, la capra e i cavoli

L’Unità non è l’unico organo del PD. Per certi aspetti lo è di più Repubblica, o La Stampa, a parte i vari Europa e simili. Ma l’Unità incarna alla perfezione l’anima del PD. Un classico è l’atteggiamento preso sulla crisi egiziana. In Egitto, per amore dell’ordine, prende sul serio le dichiarazioni del generale massacratore, e titola, in prima pagina e sull’intera pagina 8: “El Sissi apre: «C’è posto per tutti. Basta violenza»”. Ovviamente c’è posto sotto terra, com’è accaduto proprio ieri, con la tipica formula di tutte le dittature militari: “tentata evasione”. L’Unità, naturalmente, prende per buona la versione ufficiale su questi altri 38 morti.

Nel testo, tra le righe, si accenna solo brevemente alla folle minaccia di scioglimento dei Fratelli Musulmani che potrebbe innescare una spirale analoga a quella che insanguinò l’Algeria per molti anni, a partire dal 1991, ma nei titoli, e sottotitoli, si riprende solo la versione buonista del generale. Anche nell’articolo che completa la pagina, sui rapporti con la UE, si avalla la posizione ufficiale dei golpisti. Un titoletto è dedicato al “capo della diplomazia egiziana” che afferma “non possiamo accettare l’equidistanza tra le vittime”. Cioè accetta la versione ufficiale che parla solo delle vittime dei “terroristi”.

Il ministro degli esteri egiziano, Nabil Fahmi, avalla poi subito la trovata assurda di alcuni esponenti dei Tamarod di rifiutare gli aiuti europei e staunitensi, per evitare di subire qualche condizionamento. Si riporta solo la critica del governo golpista alle “ingerenze” europee, che non vogliono “prendere posizione di fronte alle violenze degli ultimi giorni”, che naturalmente non sono quelle del governo e dei picchiatori al soldo della polizia, ma quelle dei seguaci di Morsi.

Sempre sul piano dello sbilanciamento a senso unico, un ironico titolo annuncia: “El Baradei se ne va in Austria”. Si potrebbe pensare che se ne va in vacanza. In realtà El Baradei si è dissociato (tardi, ma alla fine lo ha fatto, dopo aver tentato a lungo la strada dell’impossibile accordo tra i golpisti e i Fratelli Musulmani). L’Unità riporta solo le critiche dei Tamarod, ma non dice che altri lo hanno criticato per aver collaborato per un mese e mezzo con i golpisti che hanno deposto e arrestato il presidente eletto.

Ma non è finita. Con grande rilievo, sulla pagina successiva, si riporta un’intervista a Mahmoud Badr, esponente dei Tamarod, scatenato contro i Fratelli Musulmani al punto di minimizzare le vittime islamiche (ufficialmente 888 ma verosimilmente molte di più) e di considerarle comunque “un prezzo accettabile” per evitare che l’Egitto sia portato alla rovina dai Fratelli Musulmani. Badr nega che ci sia stato un golpe, e considera invece l’intervento dell’esercito “il secondo atto della rivoluzione”. Beato lui.

Se ci si fermasse a questo punto, non ci sarebbe nessuna incoerenza, nessun tentativo di “salvare capra e cavoli”. L’organo “fondato da Antonio Gramsci nel 1924” sta completamente dalla parte di chi assicura il ristabilimento dell’ordine con i massacri. Ma invece c’è di più. Nel presentare le relazioni tra UE ed Egitto, manca completamente un’accenno critico ai toni blandi dei comunicati e delle dichiarazioni di Van Rompuy, Barroso e della Bonino, rimasti alla vaga proposta della “ripresa del dialogo”, poco verosimile una volta arrivati a questo punto, e comunque avanzata senza esercitare la minima pressione materiale. Cioè senza sospendere le forniture di armi, munizioni e capitali…

Ma il peggio viene fuori nel pezzo dedicato alla posizione degli USA, “Il bivio di Obama”, anch’esso iniziato in prima pagina. Federico Romero manifesta la sua comprensione per il “dilemma difficilmente risolvibile” che sta di fronte al presidente statunitense: “Tollerare la repressione che mette fine alle speranze di democratizzazione pur di mantenere una collaborazione con i generali egiziani? La stessa collaborazione che da decenni sostiene la pace con Israele e molti altri interessi strategici americani nell’area mediorientale? O rinunciare a quel collegamento per così tanti aspetti essenziale in nome di principi democratici e umanitari che tuttavia gli Stati Uniti non hanno i mezzi per propagare effettivamente nella regione?”. Incredibile: gli USA non hanno scelta, perché “non hanno i mezzi” per fare quello che vorrebbero…

I tentativi di dialogo sarebbero falliti non perché non è stata esercitata nessuna pressione in tal senso, ma semplicemente perché i generali, “ormai convinti a precipitare lo scontro per eliminare una volta per tutte la forza della Fratellanza Musulmana, hanno rigettato ogni consiglio di prudenza e optato per la violenza aperta. Dalla loro hanno non solo gli strumenti della forza e l’evidente consenso di una parte della società egiziana, ma l’incoraggiamento di Israele, dei ricchi Stati del Golfo, e di altri alleati arabi che stanno tutti chiedendo a Washington di non interrompere l’aiuto economico e militare ai generali, nella speranza che questi eliminino la percepita minaccia islamista”. Beh, almeno la descrizione delle forze che stanno dietro la scelta dei militari egiziani è realistica. E con questi alleati gli USA vorrebbero portare la democrazia nella regione?

Quanto all’evidente “consenso di una parte della società egiziana”, che ovviamente c’è, vorrei segnalare però che non solo in Italia ma anche in altri paesi europei ci sono state manifestazioni di residenti egiziani contro i golpisti.

Ma torniamo all’incoerenza de L’Unità: non è solo nello sbilanciamento a favore dei militari golpisti, ma anche negli argomenti per giustificare la passività di Obama. Poco più avanti si segnala infatti che Obama deve tener conto di una pressione interna netta: “Alcuni commentatori suggeriscono apertamente di mettere in frigorifero la retorica della democrazia e limitarsi invece a favorire la restaurazione di un ordine funzionante”. Ma guarda un po’ chi si rivede: i vecchi metodi usati in Indonesia nel 1965 (mezzo milione di morti), in Cile e altri paesi dell’America Latina, nella Grecia dei colonnelli, ecc. ecc. Metodi a cui pensano non pochi governanti europei, d’altra parte, appena si trovano di fronte un abbozzo di resistenza…

E quanto alla speranza che i militari “eliminino la percepita minaccia islamista”, vi ricordate come cominciò Saddam Hussein, armato e finanziato per attaccare l’Iran che si era appena liberato dallo Shah? Bei risultati…

Ma la conclusione di Romero, dopo aver ripetutamente giustificato le esitazioni di Obama, è penosa: poveri Stati Uniti, rischiano di perdere ancora credibilità. Si tratta di “un gigante privo di vere opzioni politiche e quindi impotente”. Bella definizione. Si potrebbe estendere anche al PD, che naturalmente è però solo un nano, ma certo ancor più “privo di vere opzioni politiche”.

 

Foto: Wikimedia

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