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Correre dietro a un pallone, il sogno di noi ragazzi di trentacinque anni fa

Semplicemente divertirci, calciare un pallone, era per noi negli anni 80 una passione a costo zero.

Senza pregiudizi, senza montarsi la testa, si giocava ovunque, per strada, nelle piazze, bastava un super santos e sette, otto amici.

Le porte erano le saracinesche dei garage, a ogni goal, il frastuono rimbombava forte, tanto da far esplodere di rabbia gli adulti, ossessionati dalle nostre urla ingenue e cariche di gioia.

Quanti palloni sequestrati, quanti pantaloni strappati, quante lacrime versate per una sconfitta non meritata.

Il nostro calcio era questo, puro e sano, i nostri idoli erano gli amici, quelli bravi col pallone, capaci di far goal da qualsiasi parte.

Poi arrivò il campo, quello vero, con l’erba o la sabbia da calpestare con le porte grandissime, le prime sfide in categoria, i primi tornei cittadini.

Emozioni al sol pensiero, una cornice di pubblico che invogliava a correre a sudare, a dare tutto.

In tv passavano le gesta di Maradona, Paolo Rossi, la Nazionale diventava campione del mondo, e noi sognavamo ad occhi aperti. Eravamo appena ragazzi, bravi ragazzi e, il sabato sera si stava dentro casa a dormire presto perché la domenica le partite iniziavano anche alle 10 del mattino.

Eravamo fieri di noi stessi, sempre pronti a calciare quel pallone.

Soprattutto, giocare non costava niente se non sacrificio e sudore.

Oggi invece, i bambini non giocano più in strada.

Per tirare i primi calci, devono pagare quote di iscrizione alla scuola calcio.

Altri tempi direbbe qualcuno, tempi in cui il calcio era puro e non contaminato dal dio danaro.

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