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Copiare per credere

Un preside zelante interviene contro il copia ed incolla presunto o vero che sia e blocca le tesi di alcuni studenti. Ha ragione, ha torto? Io credo che abbia torto e vi spiego il perché. Che senso ha il copia ed incolla al tempo del networking?

Vi propongo un caso concreto di modernità controversa.

Colgo l'occasione della recente discussione nel gruppo di Google mediasenzamediatori per spiegare una decisione che ho maturato in questo ultimo anno.

Ho messo il link della discussione cui faccio riferimento perché i miei quattro lettori, se sono interessati a comprendere correttamente ciò che sto per dire, farebbero bene a dare uno sguardo all'argomento cui faccio riferimento.

Nei giorni scorsi ho deciso di non rinnovare più, dopo sette anni di insegnamento, il mio contratto con l'università di Perugia per il modo casermesco con il quale si procede in una materia che viene poco frequentata, e ancor meno, assimilata, ossia la nuova cultura comunicativa digitale.

Mi riferisco all’annoso temna delle tesi accusate di essere copiate. Una situazione che nel nuovo contesto multimediale assume spessore e rilevanza del tutto diversa dalle vecchia birichinata di un pelandrone.

Io credo che, lo dico subito, che il copia-incolla sia ormai un vero linguaggio del nuovo mondo .Un linguaggio complesso, creativo e maturo, che può essere respinto ed esorcizzato solo da chi cerca pretesti per difendersi dall'onda di disintermediazione che sta investendo l'intera società, l'Università per prima.

Come spiegava Roland Barthes l'intera nostra letteratura è un'insieme di citazioni. Non dichiarate, aggiungo io.

L'intera cultura planetaria, in tutte le sue latitudini, è un processo di integrazioni e assorbimenti. Siamo tutti sulle spalle dei giganti, diceva Bernardo da Chartres.

A oggi i giganti sono accerchiati e soverchiati da una moltitudine di nani, che producono, scambiano, scelgono, citano remixano. E' cambiata l'economia di base del mercato della creatività,che non è più caratterizzata da successioni lineari di pensieri, ma dalla contemporaneità e complementarietà delle momentanee riflessioni.

Tutto questo per dire che copiare, ossia acquisire, scegliere, selezionare è il comportamento ordinario del moderno letterato.

Ovviamente l'accortezza di segnalare la fonte rimane ancora una convenzione regolamentare. Così come lo è la raccomandazione di non appropriarsi di contenuti altrui in rete, o, magari, di non usare le tesi degli studenti per fare libri, tanto per rimanere in famiglia.

Ma la consuentudine ci sta portando lontano. Copiare in ambienti di limitata varietà di scarsa offerta è segno di capacità limitate. Copiare in ambienti segnati da una materia abbondante e alluvionale è segno invece di grande capacità di destreggiarsi e orientarsi nei nuovi linguaggi del networking. Tanto più che copiare diventa solo la premessa per un’altra forma espressiva che è appunto il remix: la rassegna, la compilation, il blob.

Possiamo dire che un disk jockey copia? Possiamo dire che il programma televisivo non è altro che una serie di ritagli di lavori altrui? Possiamo dire che una rassegna stampa è una pedante riproposizione di cose scritte da altri?

O invece dobbiamo dire che la giustapposizione di contenuti diversi ed altrui, pescati in un mare magnum di comunicazione, e selezionati attorno ad un’idea è, oggi giorno, una forma straordinaria di giornalismo culturale?

Trovo davvero disarmante che in una facoltà di Scienze della comunicazione si possa derubricare tutta questa riflessione sotto l'atto autoritario di un semplice diniego alla laurea.

Mi era capitato di chiedere, qualche mese fa, una riflessione, una discussione, un confronto, con i colleghi docenti, magari allargato in rete al mondo che ruota attorno all'indotto universitario. Non si è potuto realizzare.

Ora vedo che siamo all'estremizzazione della paura del nuovo.

Ma , come in molti altri campi, credo che solo il calendario deciderà come e quando seppellire gli inadeguati; nel frattempo, chi può se ne va.

Ma come dicevo vorrei capire se riusciamo a fare noi quello che la facoltà non ha ritenuto di fare: discutere e ricercare. Proviamo ad avviare una discussione, cercando in rete i riferimenti di un dibattito globale.

Ovviamente copiando, a man bassa.

Commenti all'articolo

  • Di Porcu Silvana (---.---.---.34) 9 luglio 2011 17:42

    Dipende dalla tesi. La mia era una tesi di studio delle varie teorie didattiche per l’insegnamento delle lingue e le loro basi teoriche.
    Mi ricordo che mi è venuto un callo a forza di copiare e sistemare tutto. All’epoca non c’era il PC.
    E’ ovvio che se la tesi deve illustrare un percorso personale di analisi di qualche fenomeno sociale o qualche esperimento scientifico è un altro paio di maniche.
    Credo che il tutto si risolve citando la fonte.
    Ricordo che nella mia università circolava la voce che la tesi si poteva comprare. Il giorno nel quale l’ho discussa la studentessa prima di me l’ha esposta così male che un cattivissimo docente romagnolo ha messo in dubbio che l’avesse fatta lei.
    Per quel che ho potuto capire dal suo articolo, la differenza fra ieri ed oggi sta tutta nel callo. Cordiali saluti.

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