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Civitanova Marche: tutti presenti solo ai funerali

Qualcuno lo ha definito “omicidio di stato”, ma la morte dei tre anziani non nasconde solo un disagio economico, bensì sociale. E qui, lo stato, non è l’unico colpevole. Anzi.

Come esseri umani la morte, in ogni sua forma, è una violenza che ci terrorizza. E quando addirittura più persone decidono di togliersi la vita allora siamo di fronte ad un autentico dramma, insopportabile. Questi i recenti fatti di Civitanova Marche, eventi causati dalla crisi economica, da difficoltà materiali che sembrano agli occhi di chi li vive così insormontabili da portare alle estreme conseguenze. Fatti ripresi, masticati, morbosamente esposti a piene mani sul palcoscenico dei media, ma questi fatti, culminati con rabbia e grida della folla contro il colpevole, rendono più che mai chiaro che la crisi, che pure esiste e morde, ha piuttosto il sapore di un paravento utile solo alle nostre coscienze. Queste persone soffrivano certo delle carenze materiali, tuttavia, non necessitavano solamente dei servizi sociali, che pur c’erano, ma piuttosto di comprensione, affetto, di dialogo, avevano forse più bisogno di quel calore tutto umano senza il quale non possiamo vivere.

Una storia vecchia di duemila anni dove la spasmodica ricerca del colpevole è più finalizzata a scaricare il disagio del quale tutti siamo portatori. Se poi il presunto colpevole è pure lo stato, cioè nessuno, allora il gioco è fatto, la liberazione compiuta, gridata a squarciagola dal megafono liberatorio dei media, una musica per la coscienza collettiva, per ribadire a chi non lo avesse capito, che la responsabilità non è nostra. E così noi siamo salvi, liberi di tornare a tutto diritto alla nostra quotidiana indifferenza, al disinteresse per un amico in difficoltà, per un parente un vicino, cioè per quella moltitudine di “altri” nei confronti dei quali dimostriamo più freddezza che comprensione, possiamo tornare al vortice dei nostri affari, ricomporci in quella solitudine che talvolta genera i “mostri” del male di vivere.

Il nostro paese, che pur è stato costruito sulle macerie della guerra da un mirabile intreccio fatto di solidarietà, condivisione, fatto dalla forza mistica della parola, ha oggi rinnegato se stesso, ha definitivamente crocifisso quella pietas disinteressata e spontanea sulle regole calcolate della società dell’immagine, ha seppellito per sempre ciò che veramente conta nel delicato equilibrio delle nostre coscienze, ha ormai dimenticato che, come dice il poeta, non dobbiamo chiederci per chi suona la campana. Essa suona per noi, proprio per noi.

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