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Ciclismo: quel dritto di Stortoni

C’è chi nasce con un cognome a pedali: come Velo, come Sella. E chi con un cognome che non va neanche a spinta: come Stortoni. Invece, siccome il destino spesso è beffardo, Stortoni le spinte le deve dare. Per mestiere. Per passione. Per ciclismo.

Simone Stortoni, gregario. Se chiude gli occhi, la prima bicicletta che ricorda era rossa, la marca non se la ricorda, forse neanche c’era, la bici era piccola ma lui piccolissimo, tant’è che ci saliva come se fosse un cavallo e stringeva i freni anche senza volerlo. Quella della bici era una passione di famiglia, due zii che hanno corso fino a dilettanti, il papà che accompagnava prima i fratelli poi il figlio. E quella della bici era anche una passione del paese – Chiaravalle il paese, Pedale Chiaravallese la società, bianca e blu la maglia -, un locale come sede, Lino Secchi come presidente, dai giovanissimi agli allievi come attività, ritrovo il martedì in sede, poi tre volte la settimana sulla strada, e il tesoro di un circuito tipo pista, lungo un chilometro e mezzo, chiuso al traffico, per sognare a occhi aperti.

La prima corsa Stortoni ha reso onore al suo cognome: categoria G1, arrivato, dopo il traguardo si è dimenticato di avere i piedi imprigionati nelle gabbiette, ed è caduto. La prima vittoria Stortoni ha reso onore al ciclismo: categoria allievi, traguardo a Cupra Marittima, ma prima del mare c’era una salita, e lì Simone ha salutato la compagnia ed è arrivato da solo, ed è lì che ha cominciato a pensare che forse, magari, un giorno, avrebbe anche potuto fare il corridore. Che poi ha cominciato a fare veramente il secondo anno da dilettante, quando è emigrato, dalle Marche alla Lombardia, nel Bresciano, a Botticino, però l’ambiente era famigliare, dormiva in una casa con altri emigrati da Cremona e Milano, e insomma di nostalgia non si è ammalato.

Stortoni dice che, se dovesse spiegare il bello del ciclismo, allora a un bambino direbbe che è “un divertimento”, a una donna che è “un bel modo per tenersi in forma”, ai suoi genitori non ha dovuto dire nulla “anche perché avevano capito che, fra scuola e ciclismo, fra diploma di elettromeccanico e Giro e Tour, non c’era gara”, e a se stesso dice che “non c’è nulla come vincere”. Il che potrebbe suonare frustrante per uno che, da professionista, la vittoria l’ha solo sfiorata o accarezzata e molto immaginata, ma finora mai ottenuta e goduta. Cinque secondi posti, una volta perfino al Giro d’Italia, è come colpire cinque incroci dei pali, come inforcare cinque volte l’ultima porta di uno slalom. “Ma nel ciclismo c’è dell’altro. Aiutare, per esempio”. Dunque: spingere. E portare acqua, passare una ruota, tirare in salita. E anche girare il mondo. Per capire la vita.

Prima, però, bisogna capire se stessi. Stortoni – scalatore per natura: 1,68 per 57 chili – dice di ascoltare il proprio corpo, “perché il corpo non imbroglia, la testa sì, il corpo ha dei limiti, la testa no, così quando il corpo batte in testa, la testa cerca di distrarlo, di rassicurarlo, il corpo migliora a forza di allenamenti, la testa con l’età e l’esperienza”.

In novembre, Stortoni si sposerà con Lucia. Si sono conosciuti nove anni fa, in una discoteca, la domenica pomeriggio, d’inverno. Per lui è stato un colpo di fulmine, per lei no. Ma Simone, insistendo, tornante dopo tornante, è arrivato in cima al suo gran premio della montagna più ricco e profumato. Poi ha portato Lucia alle corse, per farle capire come sono fatti gli altri gran premi della montagna. E Lucia, senza fare domande, ha capito che anche per lei stava cominciando una nuova, lunga corsa.

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