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Che fine ha fatto l’RU486?

Dopo infiammati scontri cha hanno coinvolto la politica, la religione e la scienza tutto tace sulla famosa pillola abortiva. Forse non tutti sanno però che il farmaco è in uso anche negli ospedali italiani che possono finalmente offrire un trattamento non invasivo e di minor impatto fisico per le donne che decidono di abortire.

Guardando per caso le statistiche del mio blog personale ho notato che una consistente parte delle visite al sito provengono da una stessa chiave di ricerca, ovvero "pillola abortiva" piuttosto che "ru486" e così via. Nel 2010 infatti pubblicai un articolo, redatto per un mensile della mia zona, proprio sulla famosa pillola che tanto fece discutere il nostro paese.

Nonostante la questione dell'aborto farmacologico sia un tema che difficilmente andrà a finire nel dimenticatoio come capita a tante altre notizie, è importante che ci sia una giusta e periodica informazione al riguardo.

Immagino che molti si chiederanno che fine ha fatto la RU486? Esiste ancora? Ma soprattutto, in Italia ne è consentito l'utilizzo? La risposta è sì. Dopo anni di accesi dibattiti il Cda dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha dato il via libera alla commercializzazione della pillola abortiva nel nostro Paese.

L'ospedale Salesi di Ancona fu uno degli ospedali che per primi in Italia adottarono la procedura di interruzione di gravidanza tramite la RU486. Procedura che prima dell'approvazione dell'immissione in commercio del farmaco mifepristone in Italia, avveniva dopo un lungo calvario burocratico per ottenere tale farmaco da uno degli altri paesi europei che ne consentivano l'utilizzo.

Oggi per fortuna la pillola è a disposizione delle farmacie interne degli ospedali riducendo così i tempi d'attesa e semplificando di molto l'iter delle pazienti. E' bene precisare che l'RU non è la “pillola del giorno dopo”, fraintendimento molto comune, essendo quest'ultima un sistema contraccettivo di emergenza che può essere utilizzato solo nelle 72 ore successive al possibile concepimento.

L'aborto farmacologico invece può avvenire entro il 49° giorno di gestazione, ovvero entro la 7° settimana di gravidanza e si divide in due fasi: la prima prevede l'assunzione del mifepristone (inibitore del progesterone, l'ormone necessario per la continuazione della gravidanza) e la seconda, che avviene due giorni dopo, riguarda la somministrazione di prostaglandine necessarie per completare l'aborto.

La questione più delicata sulla quale si è dibattuto a lungo riguarda l'obbligo del ricovero ospedaliero in merito al quale l'AIFA è stata molto chiara: al fine di garantire il rispetto dalla legge n.194 del 1978 il percorso di interruzione di gravidanza medica deve avvenire in regime di ricovero ordinario fino alla verifica della completa espulsione del prodotto del concepimento. Restano comunque delle contraddizioni tra l'applicazione di questa legge e quella a tutela del diritto del paziente che prevede per quest'ultimo la possibilità di decidere liberamente sotto sua responsabilità di rifiutare il ricovero.

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