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Catalogna verso la stretta finale

Come era facile prevedere la questione catalana si sta avvitando nel più pericoloso dei modi.

 

Sembra arrivato alla stretta finale il ping pong tra Barcellona e Madrid dopo l’incomprensibile balbettìo del presidente Puidgemont che dichiara l’indipendenza (sulla base di un referendum a cui ha partecipato il 42% degli aventi diritto), ma immediatamente la “sospende”, cercando di passare la patata bollente a Madrid.

Il governo centrale ha avuto gioco facile nel rispondere che era quello catalano a dover dire chiaramente se l’indipendenza era considerata attiva o no.

Consegnata a Madrid, la risposta catalana non è piaciuta al governo spagnolo.

Benché i toni siano concilianti nella forma, la sostanza è sempre la stessa. Né si capisce, a questo punto, come potrebbe essere diversa: «La priorità del mio governo - scrive Puidgemont - è cercare con tutta l’intensità la via del dialogo. Vogliamo parlare, come fanno le democrazie consolidate, sul problema che le prospetta la maggioranza del popolo catalano che vuole intraprendere il suo cammino come Paese indipendente nell’ambito europeo».

Dopo aver rifiutato la proposta di Rajoy (e del socialista Sanchez) di indire nuove elezioni in cambio della non attivazione dell'articolo 155, i margini di trattativa proposti da Puigdemont sembrano racchiusi entro un recinto strettissimo: al più un accordo di buon vicinato tra due paesi separati e indipendenti (di cui uno europeo e l'altro no, se la Spagna mettesse il veto, con tutte le conseguenza che ne deriverebbero).

Non è chiaro che cosa Barcellona si aspetti da un governo centrale che vedrebbe stracciata la Costituzione - a cui si riferiscono 40 milioni di spagnoli, non solo i 7 milioni di catalani - e il paese avviarsi verso la dissoluzione visto che l'indipendenza sarebbe probabilmente pretesa poi, a ruota, da baschi, galiziani e così via.

Nella lettera di Puigdemont si afferma anche, scrive il quotidiano catalano La Vanguardia, che se fosse stato attivato l’articolo sospensivo dell’autonomia catalana, l’indipendenza sarebbe stata dichiarata subito.

Risposta considerata un “ricatto inaccettabile” da Madrid che trova in questo punto la motivazione di un rifiuto totale delle argomentazioni catalane. Già sabato prossimo sarà perciò attivato, salvo novità eclatanti, l’articolo 155 della Costituzione che prevede la sospensione dell’autonomia regionale. Cioè del governo di Catalogna, del suo parlamento, della sua polizia.

Al diktat centralista la popolazione separatista – a oggi si direbbe una metà dei catalani, forse qualcosa in più dopo le insensate violenze della Guardia Civil – potrebbe rispondere con pacifiche manifestazioni di piazza. La speranza potrebbe essere quella di bloccare così le iniziative di Madrid, impedendole nei fatti di governare la Catalogna se non attuando una repressione violenta che faccia perdere l’appoggio europeo al governo Rajoy, spingendolo sul banco degli accusati di fronte all’opinione pubblica mondiale.

È il gioco, pericolosissimo, che si temeva fin dalla prima chiamata alle urne dei catalani; un vortice di iniziative capace di innestare il tornado, un conflitto che nessuno poi sarà in grado di fermare. Il governo spagnolo è debole e, come tutti i deboli, messo alle strette potrebbe diventare violento.

Qualcosa si è già visto quando 800 persone sono finite in ospedale il giorno delle votazioni. Ma quello era solo un assaggio. Madrid potrebbe usare le maniere forti, quelle forti sul serio, rischiando di far apparire i catalani gli agnelli sacrificali di una politica decisamente “franchista” dando alla richiesta - fortemente trasversale - di indipendenza una coloritura politica molto più netta di quanto non sia in realtà: destra (spagnola) contro sinistra (catalana), monarchia contro repubblica, oppressione contro libertà, fascismo contro democrazia. Tutto forse un po’ vero, ma alla fin fine non molto più di "solo un po’". 

Madrid potrebbe però ricorrere a giochetti più sottili (e sporchi) di una palese repressione; giochi già visti molte volte in altre occasioni. Basta una provocazione, gruppi di black bloc in azione, una qualche forma di militarizzazione (vera o presunta) dell’opposizione catalana, una qualsiasi violenza (reale o pianificata a tavolino: ricordiamo le molotov “trovate” dalla polizia nella scuola Diaz di Genova) e i confini della questione potrebbero facilmente sfumare in quella melmosa zona grigia di torti e ragioni, di accuse e controaccuse, che preludono a ogni possibile nefandezza.

Da lì sfuggire decisamente di mano in un circolo vizioso dagli esiti che potrebbero diventare davvero tragici.

 

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