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Caso Airbus A320 della Germanwings: i precedenti

Il drammatico caso dell’Airbus A320 della compagnia tedesca Germanwings, presumibilmente fatto schiantare da un copilota con intenti suicidi rimasto solo nella cabina di pilotaggio, fa molto parlare di sé in questi giorni, sollevando interrogativi sulla sicurezza delle procedure comunemente adottate nel trasporto aereo anche in un’ottica di prevenzione del terrorismo.

Se da un lato i suicidi di piloti rappresentano un’ipotesi piuttosto rara nella casistica degli incidenti aerei mortali, d’altro canto non mancano precedenti noti degli ultimi decenni accertati nelle inchieste spesso attraverso la ricostruzione delle registrazioni contenute nelle scatole nere. A parte il recente caso della sparizione del volo della Malaysia Airlines, dove la pista del suicidio resta fra quelle seguite dagli inquirenti, si può citare una serie di episodi, come riporta un articolo de Le Monde.

  • Il 9 febbraio 1982 si tratta di un DC-8 della Japan Airlines, intenzionalmente fatto schiantare in fase di atteraggio presso Tokyo.
  • Il 21 agosto 1994 è il caso di un ATR-42 della Royal Air Maroc, sulle montagne dell’Atlante.
  • Il 19 dicembre 1997 e la volta di un Boeing 737 della SilkAir (compagnia di Singapore), caduto sull’isola di Sumatra: stavolta le scatole nere erano state addirittura preventivamente disattivate.
  • Il 31 ottobre 1999 è un Boeing 767 in servizio sulla tratta New York-Il Cairo a inabissarsi nell’Atlantico poco dopo il decollo, probabilmente per un suicidio dovuto ai problemi finanziari o alla volontà di vendetta di un copilota contro i superiori.
  • Il 29 novembre 2013 è infine il caso di un apparecchio della Mozambique Airlines, un Embraer 190 in servizio da Maputo a Luanda, il cui volo si è drammaticamente concluso sul Nord-Est della Namibia.

Foto: Wikimedia

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.172) 28 marzo 2015 19:46

    Andare oltre >


    La dinamica dello schianto dell’Airbus A320 sulle Alpi dell’Alta Provenza, fin dalle prime ore, si è presentata come “anomala”. Da qui l’eccessiva “prudenza” nel formulare delle ipotesi su possibili cause tecniche.

    Poi ha preso sempre più forza la versione di un evento “disastroso” frutto di una nefasta incidenza del fattore umano.


    Qualunque sia la causa dell’atto (inconsulto o deliberato), appare chiara la inadeguatezza delle attuali misure di “interdizione” alla cabina di comando. Visto che il fattore umano può riservare sempre qualche incognita.


    Quesito.

    Esiste un’alternativa risolutiva per siffatte situazioni d’emergenza?

    Nell’epoca dei droni è possibile arrivare a escludere l’agibilità di manovra a bordo per dirottarla verso un centro di comando remoto. Schema che tuttavia presuppone l’adozione di nuove funzionalità operative.

    Una computerizzazione dei comandi principali che sia inaccessibile dalla cabina.

    Un dispositivo alternativo di guida che sia attivabile e governabile dall’esterno tramite un sistema di trasmissione dei segnali non soggetto a “interferenze”.

    E, a garanzia, sarà necessario abbinare una “blindata” procedura di “segretazione” (tipo Rolling Code) dei codici d’accesso  al sistema alternativo di guida.


    Risultato.

    La costante presenza umana in cabina non risulterà più così determinante affinché un velivolo possa raggiungere il primo aeroporto disponibile.

    Nota.

    Se è vero che si tratta di un risultato di non facile acquisizione, è fatto innegabile che in palio ci sono le vite di centinaia di persone.

    E’ un’altra sfida da superare con la T come Tenacia

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