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Canada, anni di criminalizzazione contro i nativi che si oppongono a un gasdotto

In occasione del 27° anniversario della sentenza della Corte suprema canadese che aveva affermato la validità delle leggi consuetudinarie del popolo nativo della Nazione Wet’suwet’en, Amnesty International ha diffuso un rapporto che racconta anni di violenze, minacce, discriminazione e perdita dei terreni ai danni dei difensori dei diritti umani locali, che cercano di resistere alla costruzione del gasdotto CoastalLink nelle loro terre ancestrali, senza che nessuno abbia chiesto il loro consenso libero, informato e preventivo.

Si tratta di un retaggio della violenza coloniale e delle politiche governative razziste con le quali i popoli nativi vennero privati del possesso dei loro territori e assimilati con la forza nella società dei coloni.

Il rapporto di Amnesty International chiama in causa le autorità federali canadesi, quelle dello stato del British Columbia, le aziende costruttrici del gasdotto CGL Pipeline Ltd. e TC Energy e la Forsythe Security, un’agenzia di sicurezza privata messa sotto contratto dalle due aziende.

Il rapporto descrive in dettaglio quattro sgomberi, violenti e su vasta scala, dalle terre dei Wet’suwet’en e gli arresti arbitrari di coloro che, in modo pacifico, hanno cercato di opporsi a tali sgomberi.

Il pretesto giuridico per questa persecuzione è una sentenza della Corte suprema del British Columbia del dicembre 2019, che vietava ai difensori dei diritti delle terre Wet’suwet’en di impedire l’accesso alla Morice Forest Service Road e autorizzava “la polizia ad arrestare chiunque ritenesse stesse contravvenendo al divieto”.

Risultato? Sgomberi cruenti da parte di poliziotti in assetto da guerra, con fucili, cani, bulldozer ed elicotteri; sorveglianza coi droni, minacce, intimidazioni, condotte insensibili da punto di vista del rispetto delle culture, distruzioni di proprietà dei popoli nativi; arresti di oltre 75 difensori Wet’suwet’en, solo per aver esercitato pacificamente il loro diritto di protesta pacifica.

La costruzione del gasdotto CoastalLink e le violazioni dei diritti umani a essa associate hanno creato un clima di paura e violenza. Alcuni appartenenti alla nazione Wet’suwet’en non si sentono più sicuri nelle loro terre, si trasferiscono e perdono contatti. La trasmissione culturale alle future generazioni risulta compromessa.

Dobbiamo dare conto della replica che CGL Pipeline Ltd. e TC Energy hanno inviato ad Amnesty International, che aveva sottoposto loro in anteprima il suo rapporto: la loro azione “è legalmente autorizzata e del tutto permessa dalle leggi del British Columbia e del Canada (…) Il progetto ha visto consultati i gruppi nativi ed è stato valutato il suo potenziale impatto sui loro diritti”.

Per tutta risposta, Amnesty International ha rinnovato la richiesta al governo federale canadese, a quello della British Columbia nonché alle due aziende, CGL Pipeline Ltd. e TC Energy, di sospendere immediatamente la costruzione e l’uso del gasdotto CoastalLink nelle terre Wet’suwet’en che non risultano legalmente cedute a tale scopo; alle autorità federali e statali, di porre fine alla criminalizzazione dei difensori dei diritti umani Wet’suwet’en; e, infine, alle forze di polizia pubbliche e private, di cessare di intimidire, minacciare, sorvegliare e arrestare arbitrariamente chi si oppone pacificamente al progetto del gasdotto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Attilio Runello (---.---.---.7) 8 gennaio 04:06

    Il British Columbia, territorio interessato alla realizzazione della pipeline, fa parte del Canada. Ha una superficie tre volte superiore all’Italia con una popolazione di quattro milioni di abitanti, minore di quella della Sicilia. È come se i Siciliani si opponessero a un progetto che riguardi Italia, Francia e Spagna. Ammesso che tutti i quattro milioni siano contrari. Ma probabilmente non è così. Dal sito dell’azienda apprendiamo che sono stati appaltati contratti alle aziende locali per oltre un miliardo e mezzo. Hanno creato venticinquemila posti di lavoro. Hanno offerto alle venti comunità di nativi di condividere il percorso e soprattutto una partecipazione agli utili attraverso una partecipazione all’azionariato. Venti comunità di nativi - non sappiamo quanti abitanti rappresentano, un milione? - non possono considerarsi proprietari di un territorio grande tre volte l’Italia. Anche in Italia c’erano persone contrarie al Tap, gasdotto che ci porta in casa il gas dall’azerbaijan. Per fortuna lo abbiamo fatto. Senza e senza il gas russo saremmo rimasti al freddo nelle nostre case. C’è spazio per tutti.

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