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Beirut, la ferita

Riflettere sull’incredibile e drammatica esplosione di Beirut può essere considerato “tempo perso”. Per motivi molto semplici. Perché non ne sappiamo abbastanza e perché l'intricatissima situazione geopolitica, oltre che sociale, del paese rende possibile qualsiasi scenario.

Le opzioni sono tutte aperte. Lo ricorda Guido Olimpo sul Corriere. 

Resta in piedi, ovviamente, la spiegazione ufficiale della prima ora che, a leggere la stampa, parla di saldatori in azione sulla porta d’acciaio di una fabbrica di fuochi d’artificio, che avrebbero innescato il primo incendio finito velocemente fuori controllo. Incendio che avrebbe a sua volta fatto esplodere il vicino deposito di nitrato d’ammonio, dove erano sciaguratamente depositate le 2750 tonnellate del materiale sequestrato anni fa a una nave russa. La seconda esplosione sarebbe derivata da questa concatenazione di eventi al limite dell’incredibile.

Fatto sta che i responsabili del porto sono stati messi agli arresti e il rimpallo di responsabilità è immediatamente iniziato. Non si spegnerà rapidamente, c’è da scommetterci.

Ma in un quadro così complesso hanno gioco facile le tifoserie più esaltate degli opposti schieramenti: i filoisraeliani accusano Hezbollah, il loro avversario più agguerrito e temibile, di aver stivato nitrato d'ammonio (oppure armi e munizioni ad alto potenziale) nel magazzino dal quale si è sprigionata la seconda, devastante deflagrazione e di aver causato così, per superficialità o imperizia, la distruzione di un intero quartiere della capitale libanese e del suo porto.

E non sarebbe poi così strano vista la predilezione del movimento per il nitrato d'ammonio. Ne fa un breve riassunto Daniele Raineri su Il Foglio. 

I filoarabi puntano invece il dito contro lo Stato ebraico, accusandolo di aver deliberatamente attaccato un deposito militare che il movimento islamista piazza spesso – è cosa nota e accertata – nei pressi di abitazioni o istallazioni civili come ospedali, scuole o, potrebbe essere questo il caso, porti. Sperando che Israele abbia degli scrupoli, morali o, più probabilmente, politici, a colpire (e nel caso non li avesse, lo sdegno per l'uccisione di civili sarebbe comunque un ottimo tornaconto per la propaganda antisionista).

A seconda delle accuse e controaccuse interne alla politica dello Stato dei cedri, le due opzioni si alternano conquistando l’interesse dei media e, ovviamente, l’entusiasmo dei sostenitori di questo o quel partito.

Nel mentre il responsabile “esterno” è già stato chiamato in causa. L’allusione è a uno dei tradizionali raid israeliani che cercano di mettere fuori uso armi sofisticate prima che arrivino nelle mani di Hezbollah. Di solito quando quel particolare tipo di merce è ancora in Siria.

E qui si entra nell’ambito delle questioni più delicate della storia recente dell’area.

Si sa che con la caduta di Saddam Hussein l’Iraq è finito nelle mani dei componenti sciiti (filoiraniani) della politica irachena post-Baath. Anche se gli americani hanno ancora basi in loco e anche se un missile ha posto fine alla vita del generale iraniano Soleymani, grande regista dell'infiltrazione iraniana verso il Levante.

Il cosiddetto “corridoio sciita” si è formato così, unendo fra di loro paesi religiosamente affini all’Iran e politicamente simpatizzanti con gli ayatollah: dall’Iran all’Iraq, dall’Iraq alla Siria e infine al Libano, qualsiasi carico misterioso potrebbe partire da Teheran e arrivare a Beirut senza particolari problemi.

L’intelligence israeliana spesso intercetta questi carichi in Siria dove arrivano insieme ai rifornimenti per l’esercito governativo siriano o per i suoi alleati in loco, fra cui iraniani e Hezbollah. E una volta intercettati vengono fatti saltare in aria.

Nonostante la presenza russa che, attraverso una fitta rete di radar, tiene costantemente sotto controllo l’attività aerea di tutto il Vicino Oriente.

Evidentemente esiste una sorta di tacito accordo fra Russia e Israele. La prima non vuole intromissioni nella sua opera di pulizia di tutte le forze, islamiste o meno, avversarie del governo Assad, suo storico (e ultimo) alleato in zona. Il secondo deve aver tracciato una linea rossa sul tipo di materiale bellico su cui è disposto a chiudere un occhio: nessun armamento particolarmente pericoloso può finire nelle mani di Hezbollah. Quando ne traccia l’arrivo interviene. E i russi non battono ciglio. Non preallarmano gli alleati, non avvertono, non intervengono. Tacciono e lasciano fare.

Tutta questa premessa, che si basa sulla mera osservazione di fatti avvenuti nel corso degli anni della guerra “civile” siriana, serve per inquadrare la recente esplosione di Beirut.

Per ipotizzare che possa effettivamente essere stata causata da un attacco israeliano a un deposito a dir poco imponente di chissà cosa. Magari roba scottante appena sbarcata da un cargo battente bandiera fantasiosa. Ma molto difficilmente un raid aereo non avrebbe lasciato tracce nei radar libanesi o siriani o russi o anche turchi. Cioè di tutti i paesi che da quasi un decennio in qua sono impegnatissimi a tener d’occhio tutto quello che si muove nei cieli mediorientali.

Inutile dire che se un tracciato radar ha registrato qualcosa, ben presto quel qualcosa diventerà di dominio pubblico e sarà una prova ben più tangibile dei video taroccati visti finora (la palma come sempre spetta al sito più bufalaro della storia contemporanea, Veterans Today) o delle supposizioni fantasmagoriche degli ultrà antisionisti.

Ma fino a quel momento, se mai avverrà, è opportuno non accusare a vanvera perché l’interesse a mandare il paese dei cedri nel caos possono avercelo in molti. E se non lo fa l’incapacità dei politici libanesi, che hanno già portato il paese sull'orlo della catastrofe sociale ed economica e che oggi sono pesantemente sotto accusa da parte della loro stessa opinione pubblica, qualcun altro potrebbe aver avuto il suo tornaconto a dare una spintarella decisiva verso il marasma.

Soprattutto farebbe gola a molti mettere in difficoltà la milizia del Partito di Dio, sia per gli interessi contrapposti che animano la politica interna libanese, sia per cercare di inceppare quel corridoio sciita che, con la sua stessa esistenza, sancisce la supremazia iraniana sul Medio Oriente. Indebolita, è innegabile, dalla morte di Soleymani, dalle sanzioni e dal Covid, ma tutto sommato ancora in piedi.

Di fatto le durissime proteste in corso a Beirut stanno aprendo uno scenario da "primavera libanese", che non sembra destinato a una conclusione autoritaria all'egiziana, quanto piuttosto – se non viene fermata in tempo – per una pericolosa deriva alla siriana.

E sappiamo bene cosa vorrebbe dire.

Foto: Wikipedia

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